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Il cantiere di Dio nella storia

da “Oreundici” di novembre 2005

Che il Concilio vaticano II sia stato profetico ne abbiamo prove inconfutabili che ci vengono per una via di negazione, cioè per non essere avvenuto nel tempo come si sperava soprattutto per l’attesa delle novità annunziate. Mi consolo pensando che le parole dello Spirito Santo non tornano indietro. Cominciamo a pensare all’immagine della Chiesa che ha soprattutto il compito di mantenere la visibilità di Gesù come persona e come progetto, quello che chiama regno di Dio. La Chiesa – e mi riferisco al suo essere gerarchia e popolo di Dio – vive l’alternativa di velare o svelare il volto di Cristo, di rendere attivo o fermo il progetto regno che Teilhard de Chardin indicava nell’intuizione precisa amoriser le monde, rendere visibile la forza che orienta la convivenza umana ad essere sempre più fraterna, solidale, pacifica.

Il documento conciliare comincia con la presentazione del fondatore della Chiesa, Gesù che inaugura in terra il regno dei cieli e rivela il mistero di Lui che con la sua obbedienza ha operato la redenzione (L.G. 1,3). In questa obbedienza è compresa la morte di croce. L’espressione è ripresa da Paolo che presenta Gesù obbediente fino alla morte. La morte non è dunque un sacrificio espiatorio, un’autopunizione delle offese di cui Dio sarebbe il bersaglio, un sacrificio che l’uomo in tutti i tempi ha escogitato per ottenere il favore dell’Essere supremo. Quella di Gesù è una amorosa obbedienza al progetto del Padre di amorizzare il mondo fino a oltrepassare l’opposizione, la spessa muraglia di odio che si oppone al progetto. E così la morte del Figlio di Dio diviene modello e simbolo della decisione di quegli esseri umani che, assumendo il progetto del Figlio, oltrepassano come Lui la barriera spargendo il loro sangue. Non si tratta dell’offerta di sé a un Dio adirato contro l’uomo; ma dell’obbedienza al progetto del Padre che vuole trasmettere ai figli la sua essenza di amore. L’unico senso della vita nostra è accogliere il DNA del nostro Padre che è solo amore. La Chiesa si presenta come l’istituzione che insegna all’umanità chi è Dio e come relazionarsi con Lui, è anche e soprattutto il cantiere di Dio nella storia. Che vuol dire questo strano attributo che non troviamo nei libri di teologia? Vuol dire quello che Gesù dice con parole semplici e chiare. Ci riferiamo al capitolo 5 del vangelo di Giovanni che parla della guarigione del paralitico nel giorno di sabato. Questo suscita uno degli scontri con i difensori della legge. La difesa di Gesù è questa: mio Padre è all’opera fino ad oggi ed anch’io sono all’opera. E nella risposta si rivela una nota sulla creazione. Il creatore non ha operato una volta per tutte riposando il sabato, continua a creare e anch’io (Gesù) sono all’opera. E di che si tratta? Le opere che il Padre mi ha dato a compimento, quelle stesse opere che io faccio, mi rendono testimonianza che il Padre mi ha mandato. E queste opere si riassumono in una, la vita: voi non venite a me per avere la vita. la vita si presenta nelle carenze diverse, fisiche (gli zoppi, i ciechi ecc.), psichiche (Zaccheo che non dorme perché è agitato dalla coscienza di succhiare il sangue dei poveri), spirituali (perché l’uomo non agisce secondo l’orientamento verso il bene e il vero ma spinto dalle sue pulsioni – i suoi molti peccati le sono perdonati perché ha molto amato, Lc 7), oppure si perde nelle troppe occupazioni o affascinato da troppe offerte e non trova l’unico necessario (Lc 10).

La missione affidata a tutti indistintamente i membri della Chiesa è questo operare che non vuol dire altra cosa che portare a compimento la creazione, o in altre parole fare accadere il regno di Dio qui e ora. E questo è il centro del messaggio di Gesù e il centro del concilio vaticano II. Sulla chiesa maestra di fede e dottrina il concilio non ha avuto novità da annunziare, sulla chiesa che continua l’opera di Gesù resta aperto alla nostra meditazione. Vorrei fermarmi su due enunziati importanti del concilio, il primo è il posto dei laici nella chiesa: per svolgere il suo compito è dovere permanente della chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo (G.S. 4) e l’altro: ad ogni vescovo è affidato l’ufficio pastorale ossia l’abituale e quotidiana cura del suo gregge, né deve essere considerato vicario del romano pontefice, perché è rivestito di autorità propria e in tutta verità è detto sovrintendente del popolo che governa (L. G. 27).

Conoscere i segni dei tempi è un invito che Gesù rivolge con molta vivacità ai responsabili del tempio rimproverandoli rimproverandoli di trascurare questo elemento indispensabile per collaborare al regno di Dio. I responsabili della Chiesa sono assistiti dallo Spirito Santo per garantire la rivelazione e difenderla dagli attacchi di interpretazioni considerate contrarie alla verità; ma negli interventi della storia concreta i pontefici non sono stati esenti da errori come ha riconosciuto Giovanni Paolo II nelle sue richieste di perdono. E come latino americano per adozione e per il doloroso affetto che mi lega ai popoli di questo continente ho condiviso la sofferenza di molti pastori per l’atteggiamento di Roma. Il papa polacco è stato un valido lottatore contro le dittature comuniste. Ma questa dittatura non era la stessa che ha tenuto e continua a tenere sotto il suo dominio l’America Latina. Questo continente ricchissimo di risorse è stato nei secoli vittima della conquista che è continuata spostandosi dall’Europa agli Stati Uniti. Ormai è rivelato che in un incontro avvenuto nei primi tempi del suo governo con Reagan, Giovanni Paolo II è stato persuaso che le Chiese latino americane e specialmente la brasiliana presentavano delle infiltrazioni comuniste. Giovanni Paolo II ha visto l’America Latina come un’estensione dell’Europa e ha normalizzato le chiese sostituendo veri pastori solleciti del loro gregge e veri protettori e difensori della parte più debole e più indifesa, con vescovi con gli occhi bendati di fronte ai segni dei tempi. Con la conseguenza di far sentire al vero oppressore del continente americano il pericolo della sovversiva unità cattolica del continente e quindi il disegno di frantumarla, foraggiando le sette che hanno invaso il continente come la vera terra di missione. E’ stato un errore non considerare i vescovi locali dotati di quella autonomia che avrebbe permesso loro di riconoscere che il Brasile non è la continuazione geografica della colonia. Non mi pare strano né una deficienza della responsabilità della Chiesa che la sua infallibilità non sia estesa ai suoi interventi politici, molte volte tutt’altro che attenti alla giustizia. Un governo pontificale infallibile nello spirituale e infallibile nel materiale finirebbe per occupare lo spazio nel quale il laico deve muoversi con libertà e responsabilità, per garantire la sua pienezza di vita nella linea politica e realizzare la sua spiritualità attraverso l’impegno libero verso la società nella quale vive. Bisogna anche capire che il papa può esorbitare, come del resto genitori molto amorosi invadono facilmente lo spazio di libertà dei figli. Appartengo a quella generazione formata da cattolici coerenti che praticavano la politica nel rispetto profondo della laicità e nel rispetto della libertà di ogni membro nelle sue scelte politiche. Si otterrebbe certamente un più equilibrato intervento della Chiesa se il governo di Roma rispettasse la norma conciliare di permettere ai vescovi di svolgere in tutta la sua ampiezza la loro responsabilità pastorale. L’uniformità delle chiese nei diversi paesi e continenti danneggia fortemente la chiesa universale spogliandola di autorità e di senso negli avvicendamenti della storia.

Il cardinale Martini ha presentato alla chiesa Benedetto XVI con un accento di speranza: questo papa vi sorprenderà. Una sua decisione potrebbe davvero sorprenderci e sarebbe quella di dirigere la sua attenzione preferenziale all’America Latina, distraendola da questa terra del tramonto dove la chiesa appare troppo aggrovigliata nella causa politica e in una politica che non è né teoria né prassi, è solo un dozzinale adattamento a interessi di bassa lega, scandaloso modello soprattutto per la gioventù. Sarebbe ingenuo e fuori tempo chiedere al papa di spostare la sede a Sao Paulo o a Caracas, ma chiederei di dirigere la sua cura pastorale di preferenza all’America Latina, convocando vescovi e laici interessati al futuro della chiesa e fermandosi con loro nell’esame dei movimenti popolari e della teologia e spiritualità della liberazione. La scoprirebbero più in sintonia con i segni dei tempi di quella che – pur con adattamenti intelligenti – non è uscita dalla galassia aristotelico tomista. Da quella galassia si sono staccati definitivamente i filosofi occidentali spinti dal bisogno urgente di liberarsi dalla complicità nella catena di crimini orditi in territorio cristiano. Il papa è un intelligente teologo e ha la possibilità di accogliere una ortoprassi molto più vicina al vangelo di quella dei movimenti laicali veicolati nella pratica pastorale delle nostre chiese sotto l’impero dell’idolo mercato. Non può il papa e il suo esecutivo della curia romana elaborare progetti pastorali richiesti dalla storia e capaci di dinamizzare il divenire del regno. Ma il papa potrebbe scoprire con i vescovi latino americani, nella comunità più numerosa della chiesa cattolica, questo nuovo indirizzo pastorale della chiesa. Anche recentemente il papa ha lamentato questa moltiplicazione delle cosiddette sette foraggiate dal progetto anticomunista e antiterrorista americano. Questa parte della chiesa cattolica attende un’attenzione preferenziale svincolata da preconcetti, anche come riparazione di una relazione con Roma non idonea al momento storico vissuto da queste chiese. La sorpresa potrebbe essere un rinverdire primaverile del progetto chiesa suggerito dallo Spirito Santo ai padri riuniti nel concilio ecumenico, dopo la lunga stagione invernale che ha logorato tante persone e deluso tante attese. Forse un’amorosa cura pastorale spogliata da quella fastosa solennità che convoca i popoli abituati a spettacoli del genere, ma li lascia al loro abbandono, potrebbe riportare queste numerose comunità attratte dalla tecnica propagandistica che si presenta come una liberazione dalle falsità cattoliche. Questo sarebbe una giusta riparazione del gran danno arrecato a questo continente dove si può realmente pensare al rinnovamento della chiesa. Credo che l’America Latina meriti il privilegio di inaugurare un nuovo periodo della chiesa che apparirebbe come il sale e il lievito della storia.