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Il valore simbolico della moneta

da “Oreundici” di marzo 2002

Nella tradizione cristiana la moneta non ha mai avuto una buona fama. Se ne è sempre parlato in maniera spregiativa, chiamandola ” vil moneta”, accompagnandola poi con altri attributi meno simpatici, come sapete. Però tutte le persone che ne hanno parlato male, maledicendola, definendola “sterco del diavolo”, poi non hanno portato alle estreme conseguenze tutto quest’odio. Pare che la “vil moneta” si possa trasformare all’occasione in oggetto desiderato.

In questo tempo della globalizzazione in cui la moneta diventa preda agognata e conquistata da alcuni abili cacciatori e disperata miseria per quelli cui viene sottratta, appare sempre più chiaro il suo valore simbolico. Il significato vero, reale, pulito è quello di essere simbolo della condivisione e partecipazione di tutti ai beni della terra. Attraverso la moneta, infatti, noi ci conquistiamo la vita perché ce ne serviamo per acquistare gli alimenti, le medicine; attraverso la moneta si esprime il diritto che tutti noi abbiamo a partecipare ai beni della terra.

La moneta per il suo senso simbolico mi fa pensare all’Eucarestia. Anche la forma rotonda della moneta richiama quella dell’ostia e gli stessi valori e le stesse realtà sono significate in entrambi questi simboli. Attraverso l’Eucaristia cerchiamo la vita ed esprimiamo la vita, e allo stesso tempo ci impegniamo a compartecipare i beni reali. L’Eucaristia non ha senso o valore per noi, se non ci impegniamo a usare i beni, e quindi la moneta, nella linea della carità, della fraternità e della giustizia. Sono consapevole che questo accostamento della moneta all’Eucarestia possa lasciare perplesso e addirittura scandalizzato un cattolico praticante. Non è blasfemo questo confronto? Mentre l’Eucarestia ci mette a parte di beni spirituali, ci comunica una vita superiore, la moneta è quanto di più materiale si possa pensare. Ma questa forma dualistica di ragionare è stata fatale per l’occidente; oggi appare una delle cause -e forse la fondamentale- della sua decadenza. Limitando il senso della moneta al suo potere di acquisto non se ne coglie le conseguenze. Credo che oggi non occorre spendere parole per concludere che le guerre e moltissime delle forme di violenza hanno sempre una causa economica, e inversamente come si può pensare alla pace fuori dell’economia il cui simbolo è la moneta?

La moneta ha certo, un senso negativo. Come l’Eucaristia, del resto. San Paolo dice chiaramente nella lettera ai Corinti che l’Eucaristia è simbolo di vita o simbolo di morte. Ci sono alcune persone che ricevono l’Eucaristia e invece di ricevere la vita ricevono la morte. Si tratta di coloro che non esercitano la giustizia, la carità e la fraternità. Per la moneta vale lo stesso discorso: in sé è positiva, ma se usata male, per fini di egoismo e di accumulazione anziché di amore e di condivisione, provoca morte. Possiamo usare la moneta in maniera egoista o in maniera altruista, rendendola veicolo di soprusi e di dominazione o mezzo di giustizia e di fraternità.

Anche le guerre e i conflitti trovano il proprio simbolo nella moneta. Come per l’Eucaristia, anche per la moneta varrebbe il richiamo: “Attenti, non usatela così indifferentemente, come se fosse senza valore! Attraverso l’uso che ne fate, voi trasmettete la vita o trasmettete la morte”. Quando uso la parola economia, io intendo una grande virtù cristiana. Vorrei dire che il centro della nostra vita spirituale e il cammino della nostra perfezione, si manifesta attraverso l’uso dei beni della terra, e quindi della moneta, che di quelli è simbolo.

A volte congregazioni e gruppi religiosi si riuniscono per discutere e trovare soluzioni per riformare l’Istituto e chiamano specialisti, esperti in psicologia, sociologi. Penso che dovrebbero invitare prima di tutto economisti. La Chiesa dovrebbe avere un indirizzario di economisti di una certa linea, che oggi – epoca di crisi galoppante del progetto capitalistico – sono assai numerosi. E’ venuto il momento di pensare l’invito di Gesù al giovane ricco “va – vendi – dallo ai poveri”- invito restato congelato nel voto di povertà che è stato aggredito e contaminato dal liberalismo o liberismo finanziario e non si è mai cercato una revisione esigita dai guasti gravissimi e disastrosi prodotti dall’economia attuale. Sarebbe straordinariamente fecondo se i responsabili di comunità col voto di povertà cominciassero a pensare che la loro crisi abita nelle loro casseforti o nei loro depositi bancari e negli immobili inutili e vuoti come orbite di scheletri. Nella nostra formazione spirituale è stata una gravissima lacuna quella di parlare dei valori senza parlare degli strumenti – la moneta – con cui realizzarli. Siamo tutti buoni, ma quando si tratta di usare i beni non arriviamo molto più in là dell’elemosina di quello che ci avanza.

Nel vangelo c’è tutto: sia la visione positiva che quella negativa della moneta. La parabola della dracma perduta ci illustra la visione positiva: questa donna che fruga ogni angolo della casa per trovare la moneta che ha perduto e che le è necessaria per vivere, per comprare il pane. È una delle scene più belle e luminose del vangelo. Appena ritrova la moneta, questa donna si mette alla porta e chiama le amiche: “Venite, venite: l’ho trovata! Eccola qua! Venite e fate festa con me!”.

Altro passo illuminante del vangelo è l’episodio in cui Gesù si ferma davanti alla cassa delle elemosine e osserva quelli che con grande evidenza vi mettono grosse banconote. Ma una piccola donna, povera, arriva li’ con una piccola moneta, un centesimo che prende dal fondo della tasca e depone nella cassa. “Guardate quella donna! Ebbene, ha versato più di chiunque altro, perché ha versato la moneta che le serviva per la vita!”. Vedete come Gesù coglie il valore del simbolo: per gli altri la moneta versata era il superfluo, e avrebbero continuato a mangiare lo stesso; ma la povera donna ha messo tutta la sua vita nell’unica moneta che aveva.

C’è stato uno studioso europeo di cui si è parlato sempre male, e di cui si continuerà a parlare male: Karl Marx. È uno dei pochi economisti che ha capito benissimo il senso simbolico della moneta, che diventa feticcio quando si stacca dal suo valore simbolico e si trasforma in oggetto desiderato e amato.

Nella preparazione ad un uso corretto e vero dell’Eucarestia si e’ insistito eccessivamente sulla purezza fisica pensando ad un contatto diretto, quasi materialistico, della nostra carne con la “carne di Dio” senza dare il giusto rilievo alla responsabilità nell’uso dei beni attraverso il quale si esplicita il nostro egoismo o il nostro altruismo. E’ semplicemente grottesco parlare di amore al prossimo escludendo l’uso delle cose che sono necessariamente la mediazione del nostro amore o della nostra indifferenza. Hanno pensato mai le persone religiose che la frase che esce spesso dalla loro bocca: – per me i soldi non hanno nessun valore, non contano nulla – equivale a una bestemmia? Non posso usare i beni in senso esclusivamente individualista dicendo: “Me li sono guadagnati e sono miei, assolutamente miei, io non ho rubato niente a nessuno. Io ho guadagnato per me, li ho messi da parte per me, e questi beni sono miei, miei, miei!” .Questo atteggiamento porta a svuotare di valore la moneta, a privarla del suo significato vero. Diventa diabolica: invece di portarmi vita, mi rinchiude in un atteggiamento di chiusura mortale e distrugge la mia vera vita.

Non troverò la salvezza se non faccio i conti con questo significato della moneta, se non comincio a pensare quanto sia pericolosamente mortale dire: “È mia e ne posso fare quello che voglio!”. Certo i soldi li hai guadagnati tu, hai lavorato e hai fatto delle belle cose, ma non puoi mai dire che sono tuoi in senso totalizzante, perché la moneta ha una funzione intrinsecamente comunitaria. Come l’Eucaristia è intrinsecamente comunitaria, e non serve a farmi santo da solo, a farmi buono, pulito dentro, persona onorata, ma mira a rendermi persona responsabile degli altri, serve a liberarmi dalla mia chiusura egoistica, dal mio narcisismo, dal mio egocentrismo. Altrimenti l’Eucaristia perde senso, gusto, valore! San Paolo spiega che l’Eucaristia può diventare anche simbolo di morte, e ciò accade quando ti sei dimenticato che nella tua comunità c’è qualcuno che muore di fame, mentre tu hai il mal di fegato perché hai mangiato troppo!

La rappresentazione negativa della moneta la troviamo in Luca al cap. 16. Potremmo definire Luca il cantore dell’economia, tanto si occupa del problema dell’uso dei beni nel suo vangelo. È tanto bello questo capitolo 16 di Luca che gli austriaci ne hanno tratto uno spettacolo nazionale, con un balletto celebre dal titolo Jedermann, l’uomo di sempre. L’uomo che pensa unicamente a sé stesso e accumula beni su beni : “Posso star tranquillo, vivere cent’anni e godermi tutti i beni. Non ho paura del domani!”. È solo, pare che non abbia né moglie, né figli, né conoscenti, né amici! Nell’episodio del vangelo di Luca non appare alcun altro personaggio al di fuori di quest’uomo e i suoi magazzini dove accumula i beni. E bisogna costruirne degli altri, che più non bastano a contenere la produzione di grano.

“Amico mio, tu sei proprietario di tutto, meno che di una piccolissima cosa: la tua vita! Stanotte uno te la toglie, che cosa farai, allora?”. È la miglior rappresentazione di un uso della moneta staccato dalla vita. La vita va per conto suo, ed è come se Gesù dicesse: “Hai separato la moneta dal suo senso, ora la vita si staccherà da te, ne hai fatto qualcosa di irreale, di staccato dalla concretezza dei rapporti e della condivisione con gli altri: ora me la riprendo”.

L’altro brano evangelico è quello famoso per la frase: “Date a Cesare quel che è di Cesare”. C’è da mettersi le mani nei capelli per il modo in cui è stata interpretata nel tempo questa frase di Gesù. L’episodio ve lo ricordate: qualcuno presenta a Gesù una moneta con l’effige di Cesare, con l’intento di tendergli un tranello: “Che si deve fare con questa moneta? Bisogna pagarlo o no il tributo a Cesare?”. Sapete che pagare il tributo significava riconoscere di essere sottomessi a Roma, mentre Dio ci ha creati liberi, non dipendenti da nessun altro uomo. Quest’episodio è stato interpretato nel nostro contesto culturale… I teologi politici si sono scervellati su queste righe: ne è venuta fuori tutta una teoria politica, un sistema dei rapporti tra Chiesa e Stato, e intere biblioteche si sono riempite di commenti a questo episodio così semplice e chiaro. Perché è sorto questo equivoco? Perché ci siamo dimenticati che Gesù è ebreo, e parla da ebreo! Noi lo abbiamo occidentalizzato, combinando un guaio perché abbiamo interpretato le sue parole secondo una logica dualista: date a Cesare quel che è suo, cioè il corpo, la parte materiale di noi (e quindi è implicito il riconoscimento del servizio militare, dei tributi), mentre l’anima, la parte spirituale è di Dio.

Nella cultura di Gesù non esiste questa divisione tra anima e corpo, inconcepibile per un israelita! Quando Gesù, come tutta la Scrittura, parla di “anima”, intende la vita. “Perdere l’anima” significa perdere la vita, tutta intera: corpo, sensazioni, emozioni, pensiero. Allora, che vuol dire Gesù con la frase: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”? Vuol dire: “Date pure a quel cialtrone di Cesare che ci domina questa moneta, se è sua che se la prenda pure, e se ne vada fuori, fuori! Ridategliela e buttatelo fuori. Piuttosto date a Dio quello che gli spetta! Tutta la Bibbia, dall’inizio alla fine afferma: ‘Io sono il tuo Dio e tu sei il mio popolo. Non avrai altro Dio all’infuori di me’, che vuol dire che non hai altro padrone. Quindi attento! Non devi dipendere da nessuno, né da idoli, né da potenti! Non devi dipendere da altri, perciò fuori questo invasore! Dategli quella moneta! E rendete a Dio il suo popolo!”.

Pensando al senso della moneta oggi nella società globale, ci viene offerto l’euro come moneta unica simbolo dell’unità europea da costruire giorno per giorno con l’ideale che la terra d’Europa non sia più macchiata di sangue fratricida come lo è stata nel secolo scorso. Molti dimenticano troppo presto gli olocausti di due guerre, Auschwitz, che non sarebbero avvenuti in un contesto di unità europea. Non riflettono sufficientemente che il supremo bene che è la pace può solo essere conquistato dall’unione fra le nazioni e che l’euro è uno dei simboli forse il più significativo e importante. La pace non è un valore disincarnato, metafisico. La pace è un valore che prende corpo nello scambio dei beni, nella complementarietà dell’uso delle materie prime che dovrebbe rimpiazzare la lacerante competizione che è la legge della società capitalistica. Non dovrebbe essere decisivo che il petrolio sgorghi in una terra o in un’altra, che una parte dell’aiuola-mondo sia più ricca di minerali e un’altra più climaticamente capace di produrre alimenti.

Sono consapevole che quello che sto scrivendo è utopistico, che l’euro non è simbolo di questo accordo, ne siamo lontani. Ma volevo solo affermare che la pace è allo stesso tempo causa ed effetto di questa incarnazione nei beni della terra. Penso che l’atteggiamento distruttivo dell’uomo verso la natura manifesta all’esterno la frustrazione della persona che non è in armonia con se stessa per non aver raggiunto l’unità fra l’angelo e la bestia, secondo la terminologia di Pascal. Un uomo non unito in sé che non sta bene con se stesso è portato a distruggere le risorse della terra. E su questa distruzione si può predicare: ma la pace che non si posa sulla giustizia di cui la moneta è simbolo, vola lontano da noi.