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Meditazione e responsabilità

da “Oreundici” di maggio 2007

Sostare nel deserto per incontrare il mistero dell’eterno, per ricongiungerci con la nostra anima cioè con il nostro vero io, è forse l’unica risposta, l’unica cura per ogni uomo e donna di coscienza inevitabilmente inquieta ma di buona volontà (1). Leggendo queste parole nel contesto di vita attuale ci sembra di ritornare indietro di qualche secolo. La cronaca del Parlamento italiano parla continuamente di scontri, gli stadi sono ogni domenica teatro di violenza, nelle scuole la sola voce che riesce ad impartire insegnamenti è il racconto di noi superstiti di generazioni molto lontane. La tragedia accaduta di recente in una scuola americana lascia atterriti: pensare al Regno di pace in questi contesti è veramente una follia; e mi chiedo spesso se proporre il deserto non sia chiedere qualcosa di assolutamente irreale. Nella mia gioventù ci fu un’epoca di grande fioritura di scritti che aiutavano alla meditazione. Molti di quelli che volevano vivere una religiosità più autentica e soprattutto volevano orientare la loro vita a un impiego positivo e utile per gli altri, scoprivano facilmente metodi di meditazione e di silenzio. Il tempo che stiamo attraversando è decisamente anticontemplativo. I mezzi di comunicazione sempre più perfezionati, le offerte di prodotti non necessari gridati dalla propaganda e rappresentati da immagini seducenti, tolgono l’io narcisista dal controllo dell’io vero, profondo. Tutti viviamo in questa alienazione permanente. Paolo ha rappresentato per noi tutti e per tutti i tempi, questa situazione drammatica: non riesco nemmeno a capire quello che faccio; non faccio quello che voglio ma quello che odio. Però se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; allora non sono più io che agisco ma il

peccato che abita in me… In me c’è il desiderio del bene ma non c’è la capacità di compierlo ( Rm 7,14 ss). Vale la pena di fermarci su questo discorso per capire il fenomeno dell’alienazione, l’epidemia diffusa dal capitalismo che domina il mondo attuale, creando aggressori e aggrediti, una situazione di conflitto permanente sempre più grave. Nella sceneggiatura presentata da Paolo è presente un soggetto che parte da uno stato di buona salute, si tratta di un io robusto, ben alimentato che sa come e dove alimentarsi, colpito dalla malattia ma con un organismo robusto, capace di recuperare. Nella situazione attuale ci troviamo di fronte ad un io debole, che non ha mai fatto una scelta chiara e decisa del bene, vagamente sa cosa sia il bene ma non se ne è mai nutrito, per usare il termine di un filosofo attuale, e quindi viene facilmente travolto. E non ha la capacità di scegliere il deserto. Credo che un risveglio, un rinascere sia possibile solo attraverso un’esperienza che scuota dalle radici tutta la persona e agiti la sua sensibilità. La scoperta levinassiana del volto mi sembra importante e molto attuale. L’alienato può cambiare solo quando scopre che i prodotti che lo seducono, sono quelli che provocano il bambino scheletrico che lo guarda con gli occhi immobili e si mostra a lui già afferrato dagli artigli della morte per denutrizione. In questo momento di intensa commozione, l’io può essere trasferito in una rotta differente. Il filosofo si sentirà chiamato alla ricerca della responsabilità di ogni esistenza e la religione potrebbe essere il luogo preferenziale per comprendere ed assumere questa responsabilità. Traccio queste righe guidato dalla gratitudine verso lo Spirito perché rivedo con gioia le tappe della mia esistenza. Questo io, destato dal volto del povero più che dalle parole che chiedono soccorso, ha poi bisogno di un regime di vita per liberarsi dallo stato di passività in cui è vissuto fino a quel momento. Il pensatore lascia il percorso abituale della sua ricerca per scendere sul terreno dell’esistenza. Il giovane dovrebbe seguire il metodo del deserto; solo in questi spazi di silenzio l’io autentico scopre la responsabilità di vivere in altro modo, accorgendosi che nel metodo fin lì seguito, ha prodotto tanto male nel mondo. La commozione provata in un viaggio turistico può essere facilmente cancellata al ritorno, perché la pressione dell’ambiente è troppo forte.

Karl Rahner ha scritto: il cristiano del ventunesimo secolo o sarà mistico, o non sarà nemmeno cristiano. E il monaco camaldolese Benedetto Calati mi ha ripetuto con un fil di voce negli ultimi giorni della sua esistenza che l’uomo necessario all’umanità del futuro, sarà il contemplativo cioè l’uomo che sa trovare e vivere il deserto. La sfida alla nostra generazione ci mette di fronte ad una decisione certamente molto più difficile che nel tempo lontano della mia gioventù. Sperimento quotidianamente che otterrei più adesioni se chiedessi di compiere a piedi scalzi il pellegrinaggio fino a Compostela mendicando il pane, piuttosto che chiedendo mezz’ora di silenzio per trovare un cantuccio dove essere soli per sentire rinascere il proprio io vero e metterlo di fronte alla sua responsabilità. La situazione del mondo attuale è certamente più drammatica e molto più grave che nel passato: a mali gravi si richiedono necessariamente rimedi energici e difficili. I seminari vuoti non denunzieranno un bisogno della società attuale? Meno preti e più contemplativi, meno dottori e più mistici, meno maestri e più modelli di vita, meno produttori e più compagni dell’uomo attenti ai reali bisogni di ciascuno. Anche i ‘centochiodi’ piantati sulle pagine dei libri significano questo.

Nota 1: “Eros Agape, un’unica forma d’amore”, A. Meluzzi, Ed. OCD