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VIVERE IL QUOTIDIANO CON PASSIONE

Desiderio, idealità e realtà.

A che punto siamo con l‘avventura della nostra vita? Proviamo a prendere in mano la nostra personale esperienza. Qualunque sia la strada fatta, siamo soddisfatti della vita vissuta fino ad oggi? Siamo stati così fortunati  da aver avuto tempo e opportunità per domandarci cosa la vita ci chiedeva? Oppure gli eventi ci hanno costretto a correre e a rotolare?
“Né in oriente né in occidente siamo capaci di vivere”. Questa affermazione di Vimala Thakar è provata dall’esperienza che ognuno di noi fa in certi momenti della propria vita. La preoccupazione di ciascuno è conservarla, salvarla, prolungarla, ma pochi si occupano di come la vivono, di prestare attenzione alla qualità della propria esistenza. Quando sono in Brasile, nella no-stra Madre Terra, vedo che tutto intorno la natura grida quello che noi qui con difficoltà cerchiamo di balbettare. La vita ha una forza prorompente, incontenibile, ci avvolge anche quando non ne siamo consapevoli, e ogni volta in cui incontra degli ostacoli, come l’acqua di un torrente trova un rivolo per continuare nel suo cammino. Che cosa assopisce l’entusiasmo di questa forza nell’esperienza umana? Perché in certi momenti ci è difficile vivere intensamente, assaporando con gioia tutto quello che la vita ci offre, grande o piccolo che sia? Spesso le grandi idealità che proclamiamo mascherano una grande fatica nello stare a contatto con le parti più fragili di noi. Ci mancano la forza e il coraggio di fermarci per lasciar emergere la nostra vulnerabilità, il nostro bisogno di amore. Sembra che un fato perverso giochi a toglierci la cosa più bella che abbiamo, il gusto del vivere.
In ogni momento storico ci sono poi degli indicatori di questo disagio esistenziale. Correre, consumare, riempirci la bocca di mille apparenze per non sentire il vuoto, assaporare voracemente tutto ciò che ci capita… Sono parole di un linguaggio comune con cui esprimiamo il mal-essere, il mal-di-vivere del nostro tempo.
Vi sono poi dei momenti speciali e particolari in cui il vivere diventa difficile o addirittura impossibile: incontrare la morte improvvisa di una persona cara, ancora più drammatico se di un giovane o un bambino, la diagnosi di un tumore, lo scoprire dopo anni che il proprio compagno ci tradisce con una persona dello stesso sesso, o per un genitore che il  proprio figlio o la propria figlia è omosessuale, improvvisamente ritrovarci circondati dal buio della depressione dove tutto perde di significato e la morte sembra l’unico modo possibile di sopravvivere.
Cosa ci può aiutare in questi snodi terribili della vita?
Credo che al di là delle definizioni e delle immagini del vivere, ci sia un filo unico e personalissimo che è il proprio modo di sentire, affrontare, dialogare, rispondere alla vita. Qualcuno ha detto che la nostra esistenza può essere rappresentata come un gomitolo d’oro da dipanare lentamente. In quali condizioni si trova oggi il nostro gomitolo? È un gomitolo grigio, una somma di tristezza e dolori? Riusciamo a cogliere il nostro filino d’oro tra i tanti colori e rumori che lo contrastano?
C’è una espressione del vangelo molto forte, che può sembrare paradossale ma è il punto di svolta per cambiare il corso della nostra esistenza: “Chi ama la propria vita, la deve perdere”. Questa frase di Gesù ci introduce sul terreno della spiritualità: quale spiritualità può alimentare la vita? Per spiritualità intendiamo l’insieme dei principi e dei valori che nutrono il nostro spirito e orientano i nostri comportamenti.
Nel periodo della nostra formazione quali modelli di spiritualità e di umanità abbiamo assorbito e introiettato? Ci hanno aiutato a vivere la quotidianità? Quali sono gli indicatori che ci dicono che siamo bene indirizzati? Il criterio per valutare la bontà di una spiritualità sono i risultati che genera. Quando producono sensi di colpa o di superiorità, ansietà, competizioni, sterili comportamenti ripetitivi, chiusura di fronte alle novità, fuga dalla storia, moralismo e rigore nei confronti degli altri sono modelli di spiritualità lontani dai processi di vita. Al contrario è spiritualità che aiuta a vivere il quotidiano tutto ciò che allarga gli orizzonti, che alimenta circuiti di positività e di bene, che accoglie ogni realtà umana con i suoi limiti e le sue potenzialità, che è preoccupato non dei principi ma della ricchezza e delle potenzialità che i processi possono generare, che non crea pesi impossibili da portare ma dà pace e serenità duratura nel tempo, che dà la consapevolezza di essere inseriti e partecipare creativamente all’armonioso fiume della vita.
La storia della nostra vita è intessuta dal convivere con l’altro. Altro inteso come l’ambiente e la cultura nel quale siamo cresciuti, ma anche come le persone che hanno alimentato in positivo e negativo la nostra esistenza e la costruzione della nostra identità. L’altro, reale o immaginato, è il referente continuo del nostro operare. Il dramma e la felicità della nostra esistenza dipendono dalla quantità e dalla qualità del nostro ininterrotto dialogo con l’altro, che può essere qualche volta imprigionato dal suo desiderio. La sfida è riuscire a compiere il grande viraggio della maturità, in cui ci mettiamo in ascolto del nostro desiderio che continuamente ci viene proposto dalla forza più essenziale e primordiale del nostro esistere.
Come superare le ambivalenze nella relazione con l’altro? L’altro è oggetto di amore e di sofferenza, l’altro è contemporaneamente fonte di amore e di odio. Come uscire dal vicolo cieco nel quale ci sentiamo spesso intrappolati e impotenti? La strada d’uscita è sottile ma garantita dal nostro modello che è Gesù. La legge dell’amore, che sappiamo essere l’unico alimento della vita, passa attraverso la capacità di amare prima di tutto il nostro desiderio e poi il desiderio dell’altro.
Gesù ci ha detto che dobbiamo imparare ad amare come Dio ci ama, con la stessa gratuità e con la stessa finezza. Il vero Dio non può che amare il desiderio dell’uomo, affinché emerga alla luce il gomitolino d’oro di ogni uomo, il solo luogo dove ognuno di noi può incontrare se stesso e la propria felicità.

Don Mario De Maio

(da “Oreundici” di ottobre 2008)