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Vivo sotto la tenda

VIVO SOTTO LA TENDA
Lettere ad Adele Toscano
a cura di Piergiorgio Camaiani
e Paola Paterni

Edizioni San Paolo, 2006 

Si chiama “Vivo sotto la tenda” il libro, pubblicato dalle Edizioni San Paolo e curato da Pier Giorgio Camaiani e Paola Paterno, che raccoglie la corrispondenza epistolare tra fratel Arturo Paoli e Adele Toscano, una donna che ha vissuto a Viareggio, dove ha trascorso oltre 40 anni senza poter uscire di casa perché immobilizzata da una grave malattia. Le lettere, che coprono il periodo dal 1960 al 1988 – anno della morte di Adele – consentono di cogliere una parte consistente della vita di Arturo, che già allora era impegnato in America Latina a portare la parola del Vangelo. In queste lettere si potranno trovare le riflessioni che Arturo man mano faceva, i suoi stati d’animo, le sue sofferenze, le sue gioie, le sue riflessioni sull’America Latina e sulla Chiesa. Qui di seguito pubblichiamo l’introduzione al volume a firma di Pier Giorgio Camaiani.IL DIO “AMICO” DI UN PELLEGRINO TRA I POVERIdi Pier Giorgio CamaianiTra il 1960 e il 1988 Arturo Paoli ha intrattenuto una corrispondenza con Adele Toscano, sua confidente ed amica, nata in Calabria il 21 maggio 1901 e residente a Viareggio, da tempo gravemente ammalata. Scrivendo nel 1978 all’arcivescovo di Lucca la definisce “mia consigliera” e “mia sorella amatissima” (1). Dopo i primi anni le lettere si fanno sempre più confidenziali; l’amicizia si rafforza e diventa un momento molto importante nella vita di fratel Arturo. E’ per questo che le lettere ne rivelano il volto più vero, meno mediato da preoccupazioni esterne: si presumeva non avessero altri lettori. Consentono quindi di cogliere le sue riflessioni religiose, i suoi stati d’animo, le sue sofferenze, le sue gioie, i suoi giudizi sull’America Latina e sulla Chiesa. Nessun altro documento, neppure le sue pubblicazioni, può dare un’idea così viva di quali siano state la vita di Arturo Paoli e la sua fede.
Nel 1979 così scrive ad Adele: “Tu sei libera di lasciare le lettere a chi vuoi; io ne ho perduto la proprietà, però non penso mai che le possano leggere altri” (2). Tre anni dopo ripete: “Tu puoi fare delle mie lettere quello che vuoi” (3). Adele evidentemente desiderava che non venissero perse e per questo pensava ad una loro pubblicazione in un futuro non immediato; comunque dopo la sua morte. Era consapevole della loro importanza, che trascendeva la sua persona. Avrebbero potuto aiutare anche altri (4).
Arturo Paoli dal 1960 si trova stabilmente in America Latina; prima in Argentina, poi in Venezuela, infine in Brasile. Ma il suo impegno per il Vangelo lo porta in moltissimi luoghi. Queste lettere, tra l’altro, permettono di seguire i suoi spostamenti. Certamente colpiscono la frequenza e l’ampiezza dei suoi viaggi per l’America Latina, compiuti per le esigenze della Fraternità dei Piccoli Fratelli e le richieste continue da parte di vescovi e comunità religiose di ritiri spirituali o conferenze. Egli spesso si lamenta confidenzialmente con Adele di non saper mai dire di no a queste richieste, di dover quindi sottoporsi ad una vita massacrante. All’inizio del 1982 si può trovare tra le lettere un roteiro (itinerario e programma) dei ritiri che avrebbe tenuto durante l’anno in Brasile e in altri paesi (5). Ma nel suo girovagare non si limita a frequentare ambienti religiosi; cerca la compagnia dei più poveri e vive in mezzo a loro nelle più diverse situazioni (6). E’ importante sottolineare che non è mosso dagli intenti di un agitatore politico, come crede la polizia della dittatura militare argentina. Non è spinto soltanto dalla solidarietà umana o dallo zelo apostolico; ci sono in lui certamente anche questi due aspetti, ma non bastano a fornire una spiegazione adeguata. La molla interiore è quella del pellegrino che va da un luogo all’altro in cerca di Dio e sa di trovarlo nei poveri: sono il santuario dove il pellegrino sa che è presente Cristo (7). E’ per questo che può dire: “Vivo sotto la tenda” (8).
Queste lettere devono essere lette senza schemi precostituiti. Lo sguardo giusto non è quello di chi vuole trovare il prete impegnato nelle lotte sociali, o di chi si preoccupa di valutarne l’ortodossia o sussulta per qualche giudizio duro su alcuni vescovi, sacerdoti e religiosi. La pubblicazione non deve servire a favorire un processo di canonizzazione. Il modo giusto di avvicinarsi a questi scritti è quello di chi ha a cuore l’uomo, il suo mistero, la sua sofferenza. Queste lettere infatti sono percorse da un grande senso di dolore per le condizioni in cui vivono gli uomini; soprattutto i poveri dell’America Latina. Dolore che si ripercuote nella vita quotidiana di chi le scrive, per le difficoltà e le incomprensioni che deve affrontare; un dolore a cui c’è sempre una risposta, per certi versi stupefacente, che è la presenza dell’Amico.
Arturo Paoli in questa espressione traduce in maniera molto viva e personale l’idea di Dio e l’immagine di Cristo. Quando parla dell’Amico si avvertono una freschezza e una spontaneità sorgive, come se leggessimo pagine bibliche in cui il popolo ebraico tratta con il suo Signore misericordioso e i discepoli ascoltano Gesù. E’ un Dio dolcissimo e insieme terribilmente esigente: “Lo sguardo di Dio, questo insopportabile sguardo di Dio” scrive nel 1976 (9). In una lettera del 1983 arriva a parlare di un “Dio nemico” (10). Sono espressioni che non devono stupire. Nell’esperienza dei mistici, così come nei testi biblici (basta pensare ai Salmi), convivono due visioni opposte di Dio: l’essere supremo, severo e terribilmente lontano; e l’amico intimo, pieno di tenerezza per l’uomo, di cui raccoglie ogni lacrima. Arturo Paoli ha vissuto e vive l’esperienza del “deserto”; ha provato la sofferenza dell’abbandono, particolarmente dopo il suo allontanamento nel 1954 dall’incarico che aveva a Roma nell’Azione cattolica e nel periodo di noviziato tra i Piccoli Fratelli nel deserto dell’Algeria (11). Tuttavia ha vissuto e vive spesso momenti di luce e di gioia profonda. Con la sua vita testimonia che per cercare di capire qualcosa di Dio (anche se molto poco), è necessario aver vissuto ambedue le esperienze. Un Dio facilmente raggiungibile dalle devozioni dei fedeli e dai concetti dei teologi rischia di diventare banale; un Dio intuito nella sua incomprensibile grandezza è dolorosa oscurità e spaventa. Arturo fa capire che ha trovato la sintesi nella figura di Cristo: l’Amico.
Nelle lettere descrive moltissime volte l’alternanza di tenebre e di luce, di sofferenza e di gioia; ambedue indispensabili per trovare l’Amico (12). Gli capita spesso di sentire Dio molto vicino quando scrive o parla di Lui; e di veder sparire tutto non appena ha terminato di parlare (13). E’ un modo di essere tipico dei mistici, che vedono e non vedono. Ma è convinto che questo è come un gioco di Dio che purifica la fede di chi lo cerca nell’oscurità.
In un breve passaggio si può cogliere quale sia il punto di partenza di questa esperienza: “Sono ora 15 anni che vivo così e so quanto è duro: soave e durissimo” (14). Tenendo conto che la lettera è scritta alla fine del 1968, non è difficile capire che intende riferirsi alla sua defenestrazione da viceassistente nazionale della Gioventù di Azione cattolica, avvenuta nella primavera del 1954. All’inizio di quell’anno fu invitato a lasciare il suo incarico e ad imbarcarsi sul Corrientes, una nave argentina destinata al trasporto degli emigranti (15).
Confidandosi con Adele (che per altro gli comunica esperienze interiori simili), Arturo scrive spesso di trovarsi nell’oscurità e di sentirsi abbandonato da Dio; ma contemporaneamente non fa altro che dire che l’Amico gli riserva sempre delle attenzioni, delle “delicatezze”. Molte circostanze impreviste del suo vivere quotidiano, in cui all’improvviso gli si presenta una via d’uscita alle difficoltà, le interpreta come interventi “provvidenziali”, segni della presenza di Dio, che lo accompagna costantemente nella sua vita. Si rende conto, grazie anche al suo bagaglio culturale “occidentale” (16), che può sembrare ingenuo o eccessivo quando attribuisce questi episodi alla protezione costante e amorosa del Dio lontano e vicino (17). Ma prosegue imperterrito nel descrivere moltissime volte le “delicatezze dell’Amico”, che riguardano ogni più piccolo avvenimento della sua vita (18). E’ uno degli aspetti che colpisce di più e forse sorprende chi legge queste lettere. Talvolta si tratta del superamento di rischi seri, derivanti dalla situazione politica e sociale dell’America Latina, come d’altronde era già avvenuto in Italia durante l’occupazione tedesca (19).
E’ comunque evidente che non presenta queste esperienze come prove dell’esistenza di Dio o conferme della sfera del miracoloso. Il suo racconto è totalmente estraneo ad intenti apologetici; non a caso questi accenni si trovano raramente nelle sue pubblicazioni o nelle lettere circolari. E’ un modo di vivere l’abbandono in Dio, su cui insiste così di frequente nelle lettere ad Adele (20). In questo modo la sua vita itinerante ha sempre un senso, anche quando sembra non averne nessuno.
Questo aspetto è importante per spiegare la costanza nel cercare i segni di un mondo nuovo, in cui si manifesti il messaggio evangelico di giustizia e di pace. Arturo Paoli ha una dimensione mistica che alimenta un impegno storico. Nei diversi luoghi in cui ha posto la sua “tenda” ha sempre cercato di favorire la nascita di iniziative di promozione sociale, soprattutto delle cooperative, a partire dai boscaioli di Fortin Olmos in Argentina. Sono esperienze singole che hanno migliorato le condizioni di vita di popolazioni povere. Ma la sua predicazione ha una visuale più ampia, che trasmette la tensione verso un avvenire diverso e migliore dell’America Latina; un continente che ama e vede dibattersi in una situazione insostenibile. Qui la dimensione mistica ha importanza, perché lo porta a ritenere che si deve muovere in questa direzione indipendentemente dai risultati, che per lo più non sono confortanti. E’ certo che l’Amico vuole da lui questo impegno e non sta a calcolare se vede o non vede fruttificare subito i semi che sparge.
Questo è il motivo per cui si sente solidale con la teologia della liberazione (21). Quando giungono le riserve di Roma su questa corrente teologica, si domanda se ha qualcosa da rimproverarsi. Ricorda una conversazione avuta a questo proposito con il vescovo di Caxias do Sul, Paulo Moretto:
“Dicevo al vescovo, commentando il decreto di avvertenza del Sant’Uffizio, che questo ci aiuterà a controllare il nostro linguaggio che, a volte, con buona intenzione, può suonar male. Anch’io confesso, dicevo al mio amico, a volte posso aver dato motivo di far credere che il mio linguaggio era più politico che religioso. E il vescovo mi ha interrotto: ‘Niente affatto, discordo, perché la ragione per la quale ti accettiamo e ti approviamo è proprio questa, di sentire che tu sei nella linea della teologia della liberazione, ma non ti stacchi mai dal linguaggio di fede’. Confesso che la dichiarazione non cercata, ma spontanea, mi ha fatto piacere” (22).
Il vescovo colloca correttamente l’ispirazione di fratel Arturo in un ambito religioso. La discussione, talvolta eccessiva, sulla teologia della liberazione ha spesso sottovalutato posizioni come questa, che d’altronde non era solo sua.
L’esperienza di Arturo Paoli è interessante anche perché si realizza in lui un difficile equilibrio tra un impegno “storico”, non spiritualistico, a favore dei poveri e la vita di fede. La garanzia è data dalla dimensione interiore di tipo mistico, di cui si sono già viste le manifestazioni. La direzione da seguire è quella della lotta per la liberazione di chi è sfruttato e oppresso (la maggior parte della popolazione latino-americana); ma questa liberazione storica non è il fine ultimo: c’è sempre una tensione che va al di là. In questo può essere accostato a don Milani (23) . E’ il motivo per cui Arturo, che pur certo non è indifferente agli orientamenti politici, può scrivere: “Io non vedo la salvezza nella vittoria delle sinistre” (24). Ma nelle lettere affiorano ripetutamente i rilievi critici sulle connivenze di una parte della gerarchia ecclesiastica e degli istituti religiosi con il sistema capitalistico (25). Il suo ideale è una “Chiesa dei poveri” che sia libera dai condizionamenti dei poteri economici e politici.
Il risultato di questa posizione è un alternarsi di approvazioni e disapprovazioni nei suoi confronti da parte dei vescovi, preti e laici, a seconda delle loro posizioni, che sono molto variegate anche in America Latina. C’è chi lo “perseguita”, come egli stesso scrive (26), e chi lo loda e lo incoraggia. Capita che alcuni vescovi prendano parte ad esercizi spirituali da lui predicati (27). Ma ell’ottobre del 1982 in Venezuela nella diocesi di Barquisimeto, dove era situata la comunità di Monte Carmelo, il vescovo Críspulo Benítez Fontúrvel, che era favorevole ad Arturo, viene trasferito e al suo posto viene nominato Tulio Manuel Chirivella Varela, che gli è sfavorevole (28). E’ uno dei motivi per cui gli appare preferibile la residenza in Brasile (29), dove può godere dell’amicizia del card. Paulo Evaristo Arns, arcivescovo di S. Paolo (30), e di Helder Camara, arcivescovo di Recife, descritto come “l’uomo più umano che conosco, essendo personalmente di una austerità impressionante” (31).
E’ d’altronde quello che era successo in Italia negli anni della crisi della Gioventù di Azione cattolica. Luigi Gedda era riuscito ad allontanarlo dall’Italia, valendosi dell’ascendente che esercitava su Pio XII, e facendo sì che non restasse in Sardegna, dove era stato inviato come Piccolo Fratello da padre Voillaume. Giovan Battista Montini, allora sostituto alla Segreteria di Stato, aveva cercato di difenderlo, proponendo soluzioni che non lo emarginassero completamente (32). La divaricazione di atteggiamenti si era riprodotta anche nel popolo cristiano, dai preti ai laici: alcuni conservavano una profonda amicizia, che si spingeva fino alla devozione; altri ritenevano di doverlo criticare, visto che era stato allontanato da Roma e quindi qualcosa doveva aver fatto. Questi opposti schieramenti erano particolarmente visibili a Lucca (33). Montini aveva conservato una grande stima nei suoi confronti e, divenuto pontefice, lo aveva ricevuto in udienza. “Cosa vuoi che il Papa faccia per te?” gli aveva chiesto. E, visto che non aveva risposta, aveva ripetuto la domanda. Al che Arturo, ringraziando, aveva dichiarato di non aver nulla da chiedere: era contento della vita che faceva (34).
Nelle lettere scritte dall’America Latina si alternano giudizi sulla Chiesa amareggiati, e talvolta duri, con espressioni di grande amore e fedeltà. “Tutta la Chiesa qua è in agonia, ma non muore, perché è animata dallo Spirito Santo” scrive nel 1969 (35). “Mi rendo conto che io appaio un critico feroce e maldicente, eppure amo la Chiesa a morte” scrive nel 1970 (36). Il suo è un amore critico in cui si sente libero: “Sento di muovermi nella Chiesa con assoluta libertà e senza rimorsi di nessun genere. Le accuse di non essere figlio devoto della Chiesa non mi scalfiscono minimamente” scrive nel 1976 (37). “La Chiesa si pronunzia, si vede che ha coscienza dell’oppressione, della miseria del popolo, sente il suo dovere di occuparsene, ma poi si tira indietro” scrive nello stesso anno; e aggiunge: “Penso che devo essere fedele alla Chiesa anche in queste sue terribili contraddizioni. Perché? Perché lo vedo come una fedeltà a Cristo” (38). Ha scoperto in una suora, “che è una vera contemplativa”, cosa vuol dire davvero riconoscere la presenza di Dio nei poveri. “Però questo mi fa sentire sempre di più il disagio della Chiesa, che non è certamente la Chiesa dei poveri” (39).
Mostra di essere scandalizzato dal silenzio della conferenza episcopale argentina sulla morte di Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja, trovato morto il 4 agosto 1976 su un’automobile in una scarpata. Si era negli anni della dittatura del generale Videla. Dieci anni dopo un giudice argentino sentenzia che non si era trattato di un incidente, ma di un assassinio. Il vescovo tornava da El Chamical, dove aveva potuto appurare che dei militari erano responsabili dell’uccisione di due sacerdoti. La conferenza episcopale a suo tempo aveva preferito avallare l’ipotesi dell’incidente e nel 1986 si mostra riluttante ad accettare la sentenza. “Di fronte alla diplomazia, alla falsità, la mancanza di amore che raggiunge anche uomini di Chiesa, uno si domanda se hanno mai letto il Vangelo” (40). Ma del “nostro carissimo martire Angelelli” parla un vescovo argentino, Miguel Esteban Hesayne, in una lettera del 1984 (41). Arturo sa che alcuni sacerdoti e Piccoli Fratelli, con cui aveva vissuto in Argentina, sono tra i desaparesidos, uccisi dai militari o dalle organizzazioni paramilitari, e che anche lui ha mancato per poco dal fare la stessa fine (42). Era una realtà particolarmente dolorosa per chi aveva il compito di promuovere le Fraternità in America Latina (43).
Nel 1977 aveva scritto: “Siamo in gran pena perché ora sono ben tre i fratelli scomparsi in Argentina: penso che i religiosi devono pagare la liberazione e nello stesso tempo, con vergogna, che poco pago io. Mi rifugio un po’ nel pensiero che ultimamente la mia sofferenza è stata tanto profonda, tanto midollare, che ho detto al Signore di prendermi. Non credo di aver desiderato la morte, così semplicemente, ma ho detto a Gesù che certamente sarebbe stato più facile morire che continuare a vivere così” (44).
In un continente così lacerato anche le visite del Papa sono oggetto di manipolazioni. Nel 1985 Arturo Paoli nella consueta lettera circolare agli “amici d’Italia” (45) passa in rassegna le differenti opinioni sulla visita compiuta quell’anno da Giovanni Paolo II in Venezuela. “C’è stata una manipolazione consumistica, una politica e anche una certa manipolazione ecclesiastica. La consumistica ha raggiunto livelli osceni e addirittura sacrileghi come quella propaganda della Pepsi Cola: ‘Chi riceve voi riceve me, Pepsi’, ripetendo la frase del Vangelo e trasportandola di peso al Papa e alla Pepsi […]. Politicamente si è cercato di recuperare il discorso del Papa, spesso abbastanza critico e scopertamente a favore delle classi oppresse, come appoggio allo status quo […]. Un altro aspetto di manipolazione è quello di dare alle parole del Papa una interpretazione che attacchi il meno possibile i nervi dei veri caudillos. Così mi risulta che la insistenza del Papa sulla scelta preferenziale dei poveri è stata tradotta, in una riunione ad alto livello, come la raccomandazione a ‘fare la carità’. Attribuire al Papa una frase così grossolana, davvero è fargli torto”.
Queste lettere sono state scritte ad una persona da tempo malata, che poteva (doveva) morire da un momento all’altro. E’ un aspetto che si può cogliere anche dalla ripetuta raccomandazione con cui spesso si chiudono: “Non se ne vada”; e, quando passa al tu (46): “Aspettami”. Arturo valorizza consapevolmente le sofferenze, anche interiori, di Adele, in una visuale ispirata dalla teologia del Corpo mistico e della comunione dei santi. La rende compartecipe della sua opera di evangelizzazione, come se costituisse una miniera a cui attingere. Sa che in questo modo dà senso alla malattia dell’amica, le dà voglia di vivere nonostante tutto. Ma non è un espediente psicologico; è il filo rosso di questa amicizia fondata su un atto di fede. C’è un “patto” stabilito fin dall’inizio della loro relazione (47). Arturo si mostra convinto che Dio si vale della debolezza per mostrare la sua forza; che opera soprattutto nei momenti di vuoto e di fallimento (48). Di questo è certo dopo la sua esperienza del deserto e nelle lettere cerca di trasmettere la convinzione alla “sorella”, che spesso attraversa periodi di oscurità, non riesce a pregare, soffre spiritualmente oltre che fisicamente (49). Dio vuole emergere dall’impotenza dell’uomo: è un atto di fede, che non solo vale per Adele ma viene annunciato a tutti, in cui è evidente l’ispirazione paolina (50).
Per questo è importante che le lettere siano lette in questa ottica. La lettura può essere particolarmente feconda per chi vive momenti difficili e si pone delle domande su Dio. Arturo ripete che Dio, anche se può sembrare un nemico, è un Amico. Ma non è indispensabile avere la stessa fede di Arturo. E’ necessario però camminare in punta di piedi, cercare di capire e ascoltare. Forse può risultare prezioso essere nella sofferenza. Chi soffre può intuire, anche se crede di non avere fede. Anzi, può essere un modo di tentare di capire chi, per un dono misterioso e gratuito, ha pagato molto e gioito molto per una fede non facilmente ripetibile.
Queste lettere restano comunque, per chi crede e per chi non crede, un documento straordinario di umanità (51).NOTE:

1. Lettera scritta da Monte Carmelo, Venezuela, per Pentecoste 1978. La figura di Adele Toscano è stata rievocata da Arturo Paoli su “Il Regno”, n. 22, 15 dicembre 1995, pp. 658-660. Dell’articolo, intitolato L’età contemplativa, è riprodotta in appendice la parte che riguarda Adele.
2. Lettera da New York, 7 gennaio 1979.
3. Lettera da Caracas, 2 febbraio 1982.
4. Credo di dover ricordare alcuni passaggi che riguardano necessariamente anche la mia persona. Ho conosciuto Adele Toscano qualche anno prima della sua morte, andandola a trovare insieme ad Arturo nella sua casa di Viareggio da cui non usciva mai. I due corrispondenti hanno deciso di comune accordo di consegnarle a me per una futura pubblicazione. Non le ho prese subito, anche perché la corrispondenza continuava. Nel febbraio del 1988 ho ricevuto una telefonata da Adele: “Professore, venga a prendere le lettere, perché sento che non ho molti giorni da vivere”. Non sono corso subito a Viareggio, perché non ho creduto a questa previsione, che era già stata fatta varie altre volte. La mattina del 23 febbraio 1988 mi è giunta la notizia che Adele era stata trovata rantolante nel suo letto. Aiutato da amici (Allegretti e Bandettini), ho trovato le lettere in un armadio, ben ordinate in una scatola. Dopo qualche anno ho capito che ad incaricarsi del lavoro poteva essere Paola Paterni, una delle mie migliori allieve, che lo ha portato a termine con grande dedizione, trascrivendo gli originali delle lettere e intervistando lo stesso Arturo Paoli numerose volte, in occasione delle sue visite in Italia, per raccogliere notizie su luoghi, persone, avvenimenti. Si devono a lei le annotazioni alle lettere, redatte grazie a queste interviste e ad ulteriori ricerche.
5. “Roteiro dos retiros do Arturo Paoli em 1982”. L’itinerario è stato inviato in due riprese: per la prima metà dell’anno è allegato alla lettera da Città del Messico del 20 dicembre 1981; per la seconda metà alla lettera da Monte Carmelo, Venezuela, 14 gennaio 1982.
6. E’ la spiritualità tipica dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld; cfr. R. VOILLAUME, Les fraternités du père de Foucauld: mission et esprit, Parigi, 1946; ID., Au coeur des masses: la vie religieuse des Petits frères du père de Foucauld, Parigi, 1950 ( trad. it., ID., Come loro. La vita religiosa dei Piccoli Fratelli del padre de Foucauld, Edizioni S. Paolo, Roma, 1955; di questo volume si sono avute numerose edizioni).
7 . “In questo mondo, così tenebroso, appaiono delle persone che ti fanno vedere da vicino che Gesù, il Salvatore, il restauratore della giustizia, è con noi. Per vederlo non c’è altro punto di osservazione che quello dei poveri. Fuori di lì non si può assolutamente vedere” (lettera da Santiago de los Caballeros, S. Domingo, 31 gennaio 1983).
8. “Uno è venuto ora qua per dirmi con le lacrime agli occhi che non me ne vada, che non lasci più Bojò. E veramente, se stessi a sentire il cuore non me ne andrei più. Però quante volte ho dovuto far tacere la ragione del cuore! […]. Vivo veramente sotto la tenda come gli uomini dell’Antico Testamento” (lettera da Bojò, Venezuela, 13 giugno 1975). “Fra qualche anno dovrò pensare dove è la mia casa. Già ora mi sveglio e mi occorrono 5 minuti per pensare dove sono” (lettera da Curitiba, Brasile, 22 agosto 1982).
9. Lettera da Cordoba, 2 novembre 1976.
10. “Domani spero di mettermi a scrivere la seconda parte dell’esperienza di Dio, il Dio nemico. Mi pare di vedere degli aspetti interessanti e forse queste agitazioni interne sono adatte a farmi comprendere questo aspetto di Dio” (lettera da Caracas, 1 marzo 1983).
11. A. PAOLI, Facendo verità, Gribaudi, Torino, 1984. Cfr. in particolare i capitoli “L’esperienza del deserto e del nulla” (pp. 36-58) e “Gesù visto e non visto” (pp. 59-89).
12. “Stamani mi sono svegliato con Gesù tanto vicino che mi faceva impressione. Poi se ne va. Perché?” (lettera da Rio de Janeiro, 27-28 luglio 1984).
13. “Perché [lo Spirito Santo] non mi lascia questa fede che mi trasmette quando parlo con altri? […]. Questo caldo-freddo, questa pienezza-vuoto, questa gioia di vedere e poi piombare nell’oscurità, è così doloroso che mi verrebbe voglia di… di… di non so. Una volta, una suora mi chiedeva che mi piacerebbe fare dopo un ritiro e io le risposi: “ubriacarmi”. Non fu molto edificante per lei” (lettera da São Leopoldo, Itaciè, Brasile, 24 febbraio 1987).
14. “Conosco questi baratri del vuoto e del nulla, e quindi so, per esperienza, che non c’è conforto che possa venire dal di fuori […]. Sono ora 15 anni che vivo così e so quanto è duro: soave e durissimo. Sono alla porta del cielo o dell’inferno, della resurrezione o del nulla? Me lo sono domandato forse troppi anni, ora non me lo domando più: sono alla porta del Cristo e questo mi basta” (lettera da Fortin Olmos, Argentina, 19 dicembre 1968).
15. Così Arturo Paoli rievoca questo momento nell’intervista concessa a Francesco Piva: “Mi chiamarono o mi chiamò Urbani nella residenza del cardinale Piazza. Tutti e due prima parlottarono fra loro, poi il cardinale Piazza mi disse: ‘Sai, abbiamo deciso che tu vai come cappellano di navi’ – perché il cardinale Piazza era il superiore dei cappellani delle navi – e aggiunse: ‘Sai, è una cosa bella, eccetera’. Io risposi che andavo e lì ci furono le mie dimissioni”. Cfr. F. PIVA, “La gioventù cattolica in cammino…”. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954), Angeli, Milano, 2003, p. 390. A Genova, all’imbarco sul piroscafo Corrientes, lo accompagnarono due amici lucchesi: don Sirio Valoriani e un giovane ventiquattrenne.
16. In una lettera si definisce “razionalista incorreggibile” (da Santiago, Cile, 28 settembre 1962).
17. “Come sempre mi sento oggetto di mille attenzioni da parte dell’Amico, che sa perfettamente che sono un eterno disorientato incapace di organizzarmi ecc. ecc. Non so come ringraziarlo pubblicamente, perché mi accorgo che quando si parla di queste attenzioni o ti stimano un bigotto (il che oggi è interpretato malissimo anche e soprattutto negli ambienti religiosi) o accolgono la notizia in maniera superficiale” (lettera da Città del Messico, 27 novembre 1981).
18. “Negare l’esistenza dell’Amico che mi accompagna sarebbe per me impossibile; lo vedo nei minimi dettagli delicatissimi” (lettera da Miracema do Norte, Brasile, 25 luglio 1981).
19. “Per me, oggi, la Trasfigurazione, è un giorno molto importante, perché il Signore mi fece la grazia della vita liberandomi miracolosamente dalle mani dei tedeschi” (Barquisimeto, Venezuela, 6 agosto 1973). Durante l’occupazione Arturo, che faceva parte della Resistenza, era stato arrestato e poi liberato improvvisamente da un ufficiale tedesco. Sulla vicenda rimando al profilo biografico in appendice.
20. “Sempre più mi sento inondato di pace, e sento spegnere in me i desideri. Sia fatta la santa volontà del Signore. Spero di morire nell’atto di abbandono: non posso contare sui meriti: veramente non ci posso contare; ma conto sull’atto di amore finale” (lettera da Santiago, Cile, 28 settembre 1962). “Adele ha le sue gioie, quella di riposarsi in quella sua estrema povertà , in quel vuoto che le ha fatto il Signore. Sono sicuro che, sia pure a sprazzi, il Signore le farà assaggiare la gioia dell’abbandono” (lettera da Fortin Olmos, Argentina, 25 settembre 1962).
21. “Mi hanno invitato […] a un incontro di teologi, filosofi, protestanti e cattolici, della ‘ teologia della liberazione’. Mi sono sentito piccolo piccolo, nonostante le prove di affetto e di accoglienza, di stima che mi hanno dimostrato tutti, specialmente Gustavo Gutiérrez, il tedesco Hinkelammert, frei Betto ecc. ecc. Che peccato che Roma non capisce che tesori intellettuali e che valori umani portino questa gente. In tutti è molto chiara la volontà di obbedire al Papa (per i protestanti è rispettare) e ai poveri” (lettera da Rio de Janeiro, 27-28 luglio 1984). Una delle migliori ricostruzioni del dibattito è data dal lavoro di L. Ceci, La teologia della liberazione in America Latina. L’opera di Gustavo Gutiérrez, Angeli, Milano 1999.
22. Lettera da São Leopoldo, 14 settembre 1984.
23. Si può ricordare a questo proposito la nota lettera di don Milani a Pipetta.
24. Lettera da Bojò, Venezuela, 6 giugno 1976. Vedi anche la lettera inviata da Monte Carmelo, Venezuela, il 10 luglio 1976.
25. Particolarmente dura e sofferta è la lettera da Cali dell’11 ottobre 1981.
26. “Un vescovo di Argentina mi ha lanciato addosso una persecuzione, e fa una propaganda… più convincente di Carosello. Ma anche questa è una grazia e vorrei prenderla. Non è per questo che le ho chiesto sopra di pregare; questi sono i segni evidenti di una vera elezione da parte di Dio” (lettera da Roçao Novas, Brasile, 28 febbraio 1969).
27. Lettera da Caracas, 21 settembre 1974.
28. “Ieri ho ricevuto una lettera in cui mi si dice che il vescovo della diocesi dove è Monte Carmelo non mi vuole: non è d’accordo col cardinale di São Paulo e, siccome io sono suo amico, niente da fare” (lettera da Uberlândia, Brasile, 16 ottobre 1982).
29. “Il Brasile mi affascina sempre di più […]. E’ la sola Chiesa che io conosco che si è fatta popolo e che in questa comunione assume la sofferenza dei poveri” (lettera precedente).
30. “Mi hanno invitato a concelebrare la messa in cattedrale con il cardinale Arns che io ammiro molto. Quando mi ha visto in sagrestia mi ha abbracciato lungamente e mi ha detto in (sic) voce alta (io morivo di vergogna): ‘Continua, continua a lavorare con coraggio per la giustizia e la verità, non ci abbandonare!’ ” (lettera da Lins, S. Paolo, 27 gennaio 1981). Nell’ultima lettera inviata ad Adele si accenna alla collaborazione richiesta dalla Conferenza dei vescovi del Brasile (lettera da Foz de Iguaçu, 2 febbraio 1988).
31. Lettera del 3 ottobre 1979 (senza luogo di spedizione).
32. Il contrasto tra i dirigenti nazionali della Gioventù di Azione cattolica (GIAC) e Luigi Gedda aveva cominciato a profilarsi da tempo e si era manifestato apertamente nel 1952 in occasione della cosiddetta operazione Sturzo, osteggiata dalla GIAC. Carlo Carretto in questa occasione aveva espresso, in opposizione a Gedda, la piena solidarietà della sua organizzazione con De Gasperi; poco dopo era stato “dimissionato” da presidente. I contrasti erano proseguiti anche sotto la nuova presidenza di Mario Rossi e riguardavano soprattutto l’eccessiva esposizione politica dell’Azione cattolica voluta da Gedda (Comitati civici) e i suoi tentativi di accentramento (Base missionaria). Più in generale i giovani si mostravano sensibili alla nuova teologia che avrebbe ispirato il rinnovamento conciliare. Di questo Arturo Paoli era considerato il principale responsabile. Mario Rossi nell’aprile del 1954 sarebbe stato costretto alle dimissioni poco dopo l’allontanamento di Arturo Paoli. La ricostruzione più completa di queste vicende è stata fatta, anche sulla base di numerose testimonianze, da F. PIVA, “La gioventù cattolica in cammino…”, cit.; in particolare pp. 360-427.
33. L’allontanamento da Roma è avvenuto quando l’arcivescovo di Lucca era Antonio Torrini (1928-1973). Questi aveva resistito a lungo alle richieste da parte di Montini di avere a Roma Arturo Paoli, perché riteneva che la sua presenza in diocesi fosse preziosa. Quando però la fortuna romana del sacerdote era tramontata non aveva fatto nulla per richiamarlo a Lucca, perché riteneva che la decisione non fosse gradita. Formato ad una devozione totale verso la Santa Sede, che estendeva ad ogni emanazione dell’autorità pontificia, e quindi anche alla presidenza dell’Azione cattolica, si sottomise alla richiesta che fratel Arturo limitasse al massimo i suoi incontri lucchesi, soprattutto coi giovani. Così nel 1958 invita padre Voillaume, priore dei Piccoli Fratelli, di consigliargli di “volersi astenere da altri impegni di predicazione e di tenere adunanze della gioventù durante la sua permanenza in questa diocesi” (lettera di Torrini a René Voillaume del 29 agosto 1958; cfr. L. LENZI, Concilio e post-Concilio in Italia. Mons. Enrico Bartoletti arcivescovo a Lucca, EDB, Bologna, 2005, p. 201).
Nel periodo in cui è stato vescovo Bartoletti, i rapporti con Arturo Paoli sono stati sinceramente amichevoli, ma senza riflessi pratici, anche perché il presule fiorentino a lungo a Lucca non ha avuto alcun potere canonico. Arriva nel 1958 come vescovo ausiliare, diventa amministratore apostolico nel 1966 e arcivescovo solo nel 1973, alla morte di Torrini. Con questo titolo resta a Lucca pochi mesi, dopo che nel 1972 era stato chiamato da Paolo VI alla carica di segretario generale della CEI. Il successore, Giuliano Agresti (1973-1990), compare in queste lettere per una vicenda singolare. Nel 1978 Arturo Paoli scrive ad Agresti pieno di speranza, una speranza alimentata dagli incontri privati, chiedendogli di accoglierlo nella diocesi in una parrocchia abbandonata durante l’anno sabbatico di cui doveva fruire. L’arcivescovo non trova soluzione migliore di quella di non rispondergli. Arturo commenta la vicenda con molta amarezza (lettere dal 15 maggio al 9 dicembre 1978). La svolta si è avuta con l’episcopato di Bruno Tommasi (1990-2005), che ha “riabilitato” pubblicamente agli occhi della diocesi Arturo Paoli, facendolo concelebrare con lui nella cattedrale e invitandolo a prender parte insieme al clero lucchese alla processione del 13 settembre in onore del Volto Santo, che per Lucca è una solennità molto importante. La riabilitazione prosegue con l’attuale arcivescovo, Italo Castellani.
34. Da una intervista che Arturo Paoli mi ha concesso del 1984. Non mi è stato possibile ricostruire la data dell’udienza; presumibilmente è avvenuta nella seconda metà degli anni Sessanta. Tra le lettere è stata trovata una fotografia dell’incontro.
35. Lettera da Roçao Novas, Brasile, 28 febbraio 1969.
36. Lettera da S. Miguel, Argentina, 29 giugno 1970.
37. Lettera da Monte Carmelo, Venezuela, 10 luglio 1976.
38. Lettera da Salvador, 19 novembre 1976.
39. La lettera prosegue: “Sta tranquilla che se non impazzisco non abbandonerò mai la Chiesa, mi parrebbe assurdo il solo pensarlo, ma mi riesce sempre più difficile l’accettare tante cose della Chiesa. E’ la nostra famiglia, come dovremmo lasciarla?” (lettera da Bojò, Venezuela, !6 luglio 1975).
40. Lettera da São Leopoldo, 12 agosto 1986. Dieci anni prima fratel Arturo era stato sollecitato da padre Voillaume, priore dei Piccoli Fratelli, a stendere un articolo su Angelelli. Ad Adele aveva scritto: “E’ stata una enorme perdita per la Chiesa argentina e per la Chiesa in generale. Difficilmente si trova un uomo così dedicato ai poveri veramente come lui. Dio sa perché succedono queste cose. E’ certo che il martirio è sempre stata l’arma di Dio per trionfare sul male; questo mi consola moltissimo” (lettera da Monte Carmelo, Venezuela, 25 settembre 1976). Sulla vicenda vedi Nunca más in appendice.
41. E’ allegata alla lettera inviata ad Adele da São Leopoldo il 14 settembre 1984. Il vescovo ha parole di grande stima per Arturo e lo invita a collaborare con la Chiesa di Rio Negro, “da dove lei con alcuni altri fratelli de Foucauld potrebbero essere una luce e un fuoco dell’Alto, per questa nostra Patagonia”.
42. Lettere da Acarigua, Venezuela, 11 giugno 1974; da Barranquilla, Colombia, 15 agosto 1975 (vedi i nomi in nota); da Vitoria, Brasile, 20 ottobre 1976. Sulle vicende di Arturo rinvio alla nota biografica e a Nunca más in appendice.
43. Lettera da Monterrey, Messico, 30 gennaio 1975. Nel 1970, a proposito dei Piccoli Fratelli che seguiva in Argentina e che sarebbero stati colpiti dalla repressione dei militari, Arturo aveva scritto: “Qua la Fraternità va bene, con tutti i limiti umani siamo uniti e i fratelli dimostrano buona volontà, ma oggi è difficile vivere la vita religiosa perché c’è da ripensarla di nuovo. A diritto o a rovescio la Chiesa si va rinnovando profondamente, e questo mi convince sempre di più che è lo Spirito Santo che la conduce e la anima” (lettera da S. Miguel, Argentina, 29 giugno 1970).
44. Lettera da Monte Carmelo, 2 luglio 1977.
45. Allegata alla lettera inviata ad Adele da Caracas il 26 febbraio 1985.
46. “Ti do del tu perché mi pare strano date del tu con tanta facilità qua a persone appena conosciute e non darlo a te che sei così dentro la mia vita” (lettera da S. Miguel, Argentina, 16 settembre 1970).
47. “Il Signore Gesù ha voluto la nostra fraternità. Non siamo noi a scegliere queste parentele strette nella comunione dei santi. In Paradiso vedremo […]. Sono certo che molti frutti del mio sacerdozio andranno a lei” (lettera da Fortin Olmos, Argentina, 16 agosto 1960). “Penso che il Signore sempre mette la sua potenza in vasi di terracotta che si possono rompere da un momento all’altro. Confido moltissimo sul patto che c’era fra noi due e spesso lo ricordo per ricorrervi specialmente nei momenti di bassa marea” (lettera da S. Miguel, Argentina, 29 giugno 1970).
48. “Il Signore vuol farsi vedere nella sua vita, non solo farsi vedere a lei, ma farsi vedere al mondo, agli uomini. E’ venuto per manifestarsi al mondo e lo fa sempre attraverso l’umanità, dalla incarnazione in poi. E ha sempre, costantemente pensato che l’umanità capace di manifestarlo al mondo è una umanità povera, debole, inesistente, perché gli uomini dicano: qui c’è Dio, perché umanamente questa cosa non si spiega. Quindi mai come ora lei è portatrice di Cristo” (lettera da Fortin Olmos, Argentina, 25 settembre 1962).
49. Una testimonianza rivelatrice è offerta dalle lettere di Adele Toscano ad Arturo Paoli pubblicate in appendice.
50. “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor. 12, 9-10). Il richiamo è fatto esplicitamente nella lettera del 3 ottobre 1979.
51. Vale la pena di ricordare, tra le altre, due lettere che narrano rispettivamente l’incontro con bambini indios sulle Ande della Bolivia e la messa celebrata tra le prostitute di un quartiere di Lins in cui erano confinate (cfr., rispettivamente, la lettera da Titicachi del 12 luglio 1982 e quella da Lins, Stato di S. Paolo, del 12 maggio 1984).