da “Oreundici” di settembre 2006
Un giorno Filippo, uno degli apostoli, chiese a Gesù: mostraci il Padre. Gesù rispose nessuno ha mai visto il Padre e poi: chi vede me vede il Padre mio. Così dicendo voleva dire a Filippo tu vedi in me l’atteggiamento di figlio, di obbedienza, di amore, di relazione continua con lui e attraverso questo vedi il Padre. Non puoi andare più in là, perché nessuno ha visto il Padre e nessuno lo può vedere. Gesù non dice di essere l’immagine del Padre, ma che tutto quello che fa e dice, manifesta che dietro di lui, al di sopra di lui, c’è qualcuno a cui sempre si riferisce. Il desiderio di Filippo di conoscere Dio è un desiderio necessario, ma è strutturalmente diverso dal desiderio di conoscenza delle cose materiali, delle persone, dei concetti perché non possiamo mai farci un’idea giusta del Padre. La sola cosa che sappiamo di Lui è che è amore, cioè un’energia che ci invade, è presente dentro di noi e che può essere talmente forte da travolgerci. Oggi è importante precisare come pensare Dio e come possiamo conoscerlo perché nel nostro tempo ci sono tante immagini false di Dio e tante situazioni concrete in cui Dio appare il garante del male, della morte, del negativo. Siamo tutti contaminati da varie forme di idolatria per cui approfondire questo tema è importante non per una chiarezza intellettuale ma perché Dio sia Dio per la nostra vita.Vorrei partire dall’incontro e dal dialogo di Gesù con la samaritana raccontato da Giovanni nel quarto capitolo del suo vangelo. Gesù dice alla samaritana l’acqua che io ti darò zampillerà per la vita eterna. Che cos’è quest’acqua? È la vita, senza gli aggettivi di naturale, soprannaturale spirituale, che noi le attribuiamo. La vita è ciò che il filosofo francese Jullien chiama il ‘soffio celeste’ parlando dell’esperienza di un saggio cinese vissuto mille anni prima di Cristo. Questo soffio che ogni uomo porta dentro di sé è quello che Paolo chiama Spirito: ‘non rattristate lo spirito, non spengete lo spirito che è in voi’ perché anima la nostra esistenza, è il motore della nostra vita, anche se molte volte – come dice Paolo – lo possiamo mortificare. Quelli che gettano bombe sui bambini di Gaza, quelli che fanno operazioni bancarie che estendono la fame nel mondo, quelli che portano la morte dove è la vita, hanno spento lo spirito. Vivono perché hanno una mobilità indipendente da questo soffio di vita, ma hanno spento questo soffio invisibile che rende vera l’esistenza. Spesso quando ci fermiamo a discutere e riflettere sul mondo nel quale viviamo, avvertiamo la morte che incombe, appaiono delle decisioni e del-le azioni che manifestano risentimento, o-dio, spirito di vendetta contro la vita. Rivelano dei soggetti umani che hanno spento lo spirito e non sopportano il grido della vita, non ascoltano il suo lamento né le sue espressioni di gioia. Odiano la vita e hanno bisogno di spengerla. Gesù ci dice che questa fiamma viene da Dio, è la vera rassomiglianza con il Padre. E’ la presenza di Dio in noi, lì dobbiamo cominciare a riconoscerlo, a rispettarlo, a onorarlo. Questo è il Dio senza immagine, il Dio interiore che ci segue, ci accompagna, la radice profonda della nostra vita. E’ quello che fa l’uguaglianza di tutti gli uomini, indipendentemente dalla religione, dall’etnia, dalla cultura, dall’importanza politica e sociale. Gesù ne parla come di un vento e lui è venuto unicamente per indicare questo. Io sono la vita del mondo, io voglio che il mondo viva di questa vita che è la vita di Dio. Non esistono altre fonti, altre sorgenti, altre origini della vita. Quanto più l’uomo spenge questa vita tanto più si illude di trovare un’altra immagine di Dio: il dio potente, vendicatore, forte. Coloro che hanno costruito i più grandiosi templi alla divinità sono quelli che hanno spento il Dio interiore. I profeti ci ripetono continuamente che è inutile sacrificare animali grassi, bruciare incenso sugli altari, pensare di glorificare Dio, presentare doni costosi, perché Dio non li vuole, semplicemente non sa che farne. Ci sono molte persone che si tormentano chiedendosi: che cosa posso fare per Dio? La risposta è: niente. Si domandano: come posso amare Dio? La risposta è: non puoi! Pensate alle cascate dell’Iguaçu o alle fontane di Roma o ai ruscelli di montagna e immaginate una donna che ogni mattina si alza con una piccola brocca d’acqua per portarla a questa fonte. A vederla pensereste che è impazzita! Giusto sarebbe se andasse con la brocca vuota ad attingere acqua alla fonte. Solo così si può amare Dio, che è come un torrente che scende su noi e che noi dobbiamo semplicemente accogliere. Amare Dio significa lasciare che questo amore corra verso gli altri, non trattenerlo nella fossa del nostro io perché allora marcisce e muore. Chi pensa di amare e onorare Dio in realtà ha spento la fiamma, dentro non l’ha accolto, è come quella donna che la mattina riempie una brocca d’acqua e pensa di arricchire di acqua un torrente. L’ultimo capitolo del vangelo di Matteo ci spiega molto chiaramente che l’unico modo per amare Dio che non si vede è quello di amare i fratelli che vediamo: avevo fame e mi avete dato da mangiare, mi avete amato nell’affamato, nel povero, in colui che hai perdonato, nel tuo nemico che ti chiedeva una maglia e gliene hai date due, che ti ha percosso una guancia e gli hai rivolto anche l’altra. Coloro che fanno monumenti, pellegrinaggi, sforzi, non si sono fermati e non hanno ascoltato il piccolo canto che sgorgava dentro di loro. L’unica ragione d’essere dell’uomo – sia ebreo, cristiano, musulmano, nero, bianco -, l’unica religione è quella di estendere la vita che esce dalle mani di Dio nel mondo e non mettere la morte dove lui ha messo la vita. Ampliare la vita, amorizzare il mondo. Tutto il resto delude, è morte. La vita non è semplicemente riproduzione di esseri, è una energia cosmica, è armonia, è stare bene al mondo insieme agli altri, essere la loro gioia. Questo è il senso dell’esistenza e se non sono in sintonia con questo mi sento armato di ira, di vendetta, di violenza. E’ la nostra storia umana, se vogliamo guardarla seriamente. L’acqua che io darò zampillerà per la vita. Sono venuto per dare al mondo la vita, tutte le altre teologie che parlano di un dio diverso, lontano, sono creazioni dell’uomo, sono proiezioni delle sue paure, del suo egoismo, delle sue angosce. E’ perfettamente inutile trastullarsi nella sofferenza perché il mondo è sempre peggiore, gli uomini soffrono sempre di più. Fermati, guarda te stesso, alimenta questa fiamma. Non dobbiamo cercare la verità, dobbiamo essere verità. Bisogna entrare nella verità, liberarci dalle apparenze, dalle paure, dal tempo passato e futuro che ci terrorizza. Semplificarci, liberarci. Questo vuol dire se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli. La mia fiamma deve essere come quella di un bambino, non sperperata nel lavoro e in tanto affannarsi, o spenta per le ipocrisie, le falsità, i tradimenti. Dobbiamo togliere coraggiosamente le pietre che ingombrano il nostro cuore, liberare questa fiamma che è in noi e allora la nostra esistenza sarà vera.
(Testo rivisto dall’autore e tratto dalla prima meditazione al convegno di Trevi 2006)