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IL CORAGGIO DELLA MANCANZA

I mistici e le donne sanno creare spazi per la vita.

Il Cardinale Martini è seduto su una poltrona bianca, accanto a una finestra luminosa. Mi accoglie con un sorriso dolce. Gli occhi gli brillano. Il Parkinson, senza pietà, sta facendo il suo corso, e la voce ne è rimasta vittima, caduta sul fronte di questa battaglia che non si può vincere. Ma la luce degli occhi, quella, non l’ha potuta spegnere. Ed è una luce nuova, rispetto a come la ricordavo. Perché ha guadagnato un che di fanciullesco. (…) Non so da dove incominciare. Fosse per me, sinceramente, starei in silenzio, ma vorrei anche che questo incontro potesse diventare un regalo, per quanto piccolo, ai tanti che vogliono bene al cardinale. E allora decido di partire da un punto che potrebbe sembrare lontanissimo da lui. Rivolto a questo grande vescovo, parto da una piccola donna, Madre Teresa di Calcutta, e da una sua rivelazione. Mi riferisco a quando la santa disse che per lunghi anni sperimentò, in un periodo della sua vita, la terribile esperienza del buio interiore, dell’assenza di Dio. Faceva le cose di sempre, si comportava come al solito, assisteva i moribondi, viaggiava, parlava in pubblico, ma dentro di lei c’era quel vuoto. Ecco: vorrei sapere se anche il grande biblista e arcivescovo Carlo Maria Martini ha mai fatto un’esperienza simile. Prima parlano gli occhi, poi, in un sussurro, arriva la risposta. «Sì, è stato alla fine degli anni Settanta, tra la fine dell’incarico di rettore all’Università Gregoriana e l’inizio del mandato episcopale a Milano. Consideravo tutte le cose come fatte dagli uomini e non provenienti da Dio, ma non avvertivo alcun dolore, e proprio la mancanza di dolore era la prova del vuoto. Ci sono passato». Chiedo: come vive ora questa fase della sua storia personale? «In questa parte della mia vita non sento l’assenza di Dio. Anzi. Si possono fare tante cose anche nelle mie condizioni. Mi sento al centro della mia vecchia diocesi, al centro degli affetti e dell’attenzione di tanti. Ricevo moltissime visite, e poi lettere. Mi trovo nel cuore di una grande rete di rapporti». 
Ho scelto queste parole di Aldo Maria Valli, pubblicate sul quotidiano Europa il 15 settembre scorso, per introdurre il tema di cui vorrei parlare in queste pagine, quello della mancanza, su cui ritorneremo ancora. L’esperienza di vita di madre Teresa e del cardinale Martini, raccontate dal giornalista, rivela l’onestà nel cammino spirituale che immancabilmente porta all’esperienza del vuoto e della mancanza. Esperienza che ritroviamo nella vita di tanti mistici, basti ricordare come esempio san Tommaso che al vertice del suo lavoro teologico disse: “tutto è paglia”. Vivere e sperimentare la mancanza è l’esperienza umana più autentica. In realtà noi nasciamo mancanti, bisognosi, affidiamo agli altri la possibilità di “riempire e supportare” la nostra fragilità, che di per sé è incolmabile perché parte integrante della nostra struttura umana. Ci organizziamo sul desiderio dell’altro perché è l’altro che ci permette di sopravvivere. Il problema è che ci abituiamo ad essere organizzati su quello che l’altro desidera, perché la sensazione del vuoto è estremamente spiacevole. In più tutto intorno a noi è disposto per riempire il vuoto, le nostre vite non sono vissute per sperimentare l’esistere o il semplicemente vivere, al contrario siamo organizzati per riempire il tempo di attività, la casa di oggetti, la mente di immagini e pensieri, la vita di presenze. Si è perso completamente il piacere delle piccole cose: godere di un tramonto, prendere il caffè con un amico, non rincorrere gli avvenimenti, gustare il silenzio senza essere sopraffatti dall’azione e dai rumori, ma soprattutto sentire di vivere la propria vita in prima persona, liberi dai vincoli e dai condizionamenti generati dai giudizi degli altri. Imparare a gustare l’armonia e la gioia delle piccole cose. 
Ci sono due categorie di persone che raggiungono con maggior facilità il senso di pienezza della vita attraverso la mancanza: i mistici e le donne. La donna intuisce l’oltre esistente al di là del vuoto, ha una visione del vivere che genera spazi di vita. Anche i mistici sanno vivere il senso della mancanza, l’assenza, la povertà intesa come rinuncia al possesso. Il mistico entra in una dimensione diversa da quella comune, sa mettersi in contatto con la dimensione dell’oltre, con il nucleo essenziale del vivere. Quando Karl Rahner ci ricorda che il futuro del mondo sarà dei mistici o non sarà ci dice proprio questo: il sistema ideologico dominante ci rende schiavi di una dinamica consumista e distruttiva che approfitta della nostra incapacità di viverci fragili e, riempiendoci di oggetti e di cose, ci destina inevitabilmente al fallimento. Il senso di noia, il gusto e disgusto del nulla, il senso di incompiutezza che tante volte i nostri giovani esprimono, sono indicatori fedeli, da interpretare, del giusto senso del vivere, la forza autentica della vita vera, che ha bisogno di novità per esprimersi. Soltanto i mistici, sapendo vivere la mancanza, l’assenza, l’esperienza del vuoto, saranno in grado di rivelare l’inadeguatezza di questo sistema e la possibilità di un’armonia inedita. 

Don Mario De Maio

(da “Oreundici” di ottobre 2011)