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LA NOSTRA STORIA D’AMORE

Quanti pesi inutili ci portiamo addosso?

Davanti agli impiegati dello Ior, papa Francesco ha detto: La Chiesa è una storia d’amore, le organizzazioni ci sono ma possono anche non esserci.È molto bella questa espressione: la Chiesa è una storia d’amore. In realtà è la somma di tante storie di amore – di tutte le nostre storie -, fatte di passione ma anche di infedeltà, tradimenti, inadeguatezza. A che punto è la nostra storia di amore? Mi rivolgo a un’autrice che sento vicina, Christiane Singer, per andare avanti: “perché lei parla così poco d’amore?” scrive la Singer citando una espressione di Durkheim. “Perché da moltissimo se ne parla senza viverlo, e quando se ne parla tutti rassicurati ci addormentiamo. È come essere dei sonnolenti dell’amore”. Poi prosegue: “Dirò soltanto cose che so, e che anche voi sapete da sempre, ma tenterò di dirle per la prima volta. … è l’intensità che più manca all’uomo di oggi, dov’è il desiderio e la passione? Dov’è quell’amore che ci tiene svegli? Non è l’ascesi che fa sì che noi attraversiamo la notte senza dormire, è l’amore che ci tiene svegli. L’amore arredo, che abbellisce le apparenze, ricopre ciò che non è presentabile. La ripulitura della facciata sociale non è amore. L’amore o ciò che crediamo essere l’amore, prima che abbia avuto luogo il litigio, l’attrito, il corpo a corpo con la creazione, il confronto con l’ombra che ci abita, quell’amore è soltanto il luogo della leziosaggine. Ciò che chiamo amore sta interamente nella frase di un rabbino superstite in un campo della morte: la sofferenza ha bruciato tutto, consumato in me ogni cosa tranne che l’amore. (…) L’amore è ciò che rimane quando non resta più nulla. Esiste uno spazio che nulla minaccia, che nulla ha mai minacciato, quello dell’amore che ha affondato il nostro essere”
Ci sono momenti preziosi della nostra esistenza, sono quelli in cui attraversiamo il nostro nulla, le illusioni finiscono per scomparire e incontriamo il nulla. Possiamo caderci dentro, esserne inghiottiti o rialzarci riprendendo a riempire il vuoto di tante cose, ma può essere anche il momento per iniziare a porci in modo diverso di fronte a tutte le realtà. Smettere di usare l’altro, l’istituzione, la verità, Dio, e cominciare a servire l’altro, l’istituzione, la verità, Dio. Se riusciamo a vivere fino in fondo la nostra povertà, il nostro nulla, l’inconsistenza di quello che noi siamo, il nostro essere diventa prezioso. Che cosa ci fa diventare preziosi? Quello che noi siamo e quello che gratuitamente possiamo offrire all’altro partendo dal nostro nulla. La storia cambia dentro e intorno a noi, possiamo essere un bene per l’altro, il nostro nulla diventa prezioso. Questo tema è delicato ma essenziale per la vita di ogni uomo, perché è la storia del nostro amore. La domanda che dobbiamo farci è: sono abbastanza consapevole di quello che è la mia vita? Se noi potessimo dare un’immagine plastica di noi stessi, probabilmente ci accorgeremo che portiamo appresso pesanti valige piene di problemi e un discreto numero di persone da controllare più che amare. Alla fine ci sentiamo stanchi, vivere diventa difficile, ma per fortuna la vita è fedele e lentamente ci fa rendere conto non solo che tutto è relativo, ma che neppure siamo indispensabili per risolvere i problemi. La vita lentamente ci obbliga a toccare con mano la nostra profonda povertà, a fare l’esperienza del nulla. Quante volte ci domandiamo: Dio dove sei? Per trovare risposta, vorrei riprendere il concetto della spiritualità del levare. Che cosa levare? L’esperienza del nulla deve diventare un punto di partenza per capire cosa levare riguardo a noi stessi e riguardo agli altri. Relativamente a noi stessi, il criterio generale è levare tutto ciò che sa di morte per scegliere la vita. Gesù ha detto: Sono venuto a portare la vita e la vita piena, cioè una qualità di vita profonda, diversa da quella che noi spesso viviamo. L’inquietudine è una grazia di Dio, come il dolore che ci segnala che qualcosa nel corpo non funziona. L’inquietudine dice che nel nostro spirito qualcosa non funziona: la dobbiamo ascoltare, ci parla di quello che ci manca, del nostro desiderio. Ascoltare il desiderio è ascoltare quello che ci manca, ciò di cui abbiamo bisogno per essere vivi. Questo vale anche per noi: dobbiamo affinare il cuore, gli occhi, l’intelligenza per capire dove si muove la vita. È questa l’aria di cui abbiamo bisogno: quando smettiamo di controllare le situazioni, le persone, le istituzioni, la verità, scopriamo la leggerezza profonda della libertà. Il secondo aspetto riguarda il rapporto con gli altri: che cosa dobbiamo levare nel rapporto con gli altri? Una cosa principalmente: il ruolo. Genitore, professore, vescovo, medico: ciascuno si identifica con il proprio ruolo nei confronti degli altri. Rinunciare al ruolo non vuol dire cancellare le responsabilità, ma porsi in un modo diverso nella relazione. Come è difficile rinunciare alla pretesa che l’altro sia come noi pensiamo debba essere: spostare il metro della relazione dal giudizio al servizio del desiderio dell’altro. 
Che c’entra Dio con tutto questo? Dove è il nostro futuro? Che futuro avrà la nostra storia di amore? La storia di quella forza enorme che ci portiamo dentro, che è stata consegnata a ognuno di noi come un tesoro unico da trasformare in capolavoro, il capolavoro della propria vita. Ebbene, Dio cosa c’entra in tutto questo? Prendiamo nelle nostre mani l’immagine di Dio che ci portiamo. Siamo stati educati al “pensiero magico”: nei momenti difficili fa molto bene pensare che le cose magicamente possano cambiare. Vedete quale uso e abuso abbiamo fatto di Dio! Ci hanno insegnato ad avere fiducia in Dio, e abbiamo pensato che fidarsi significhi attribuirgli poteri magici. Dobbiamo avere l’onestà e il coraggio di ripensare Dio in modo diverso, dovremmo chiedergli perdono per tutte le volte in cui abbiamo abusato di Lui! Nella spiritualità del levare, nel cammino verso una autenticità più profonda, quale è il posto da dare a Dio? La risposta è che dobbiamo iniziare a servire Dio, invece che servirci di lui. Diventa nostra la preghiera di Etty Hillesum: l’unica cosa che dobbiamo salvare in questi tempi, e l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te mio Dio in noi stessi, quel piccolo pezzo di te in noi stessi. 

don Mario De Maio

(da “Oreundici” di giugno 2013)