Dal vangelo secondo Giovanni 20,1-9
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario che era stato sul suo capo non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Omelia di don Carlo Molari
“E vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Cominciò di lì il cammino di fede degli apostoli, che era finito poco distante, sotto la croce. Cominciò di lì ancora in modo incerto, perché ci vollero ancora giorni e mesi per rendersi conto dell’impegno che avevano assunto di essere testimoni di Gesù. Divennero allora testimoni del Risorto, ma come conclusione di un cammino di fede che Gesù aveva compiuto e che loro dovevano continuare ora, cominciando proprio da quella esperienza della tomba vuota e dell’incontro col Signore.
E’ necessario ricordare questa connessione con il cammino di fede di Gesù, che termina sulla croce con un atto di fede pieno: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt. 27,46);“Nelle tue mani rimetto la mia vita” (Lc.23,46). E’ una preghiera di fede, che esprime l’esperienza della sconfitta, del fallimento della sua impresa lì, all’interno di quella piccola storia che avevano vissuto e che termina con una preghiera di fiducia, di consegna a Dio, come aveva fatto sempre Gesù.
Perché questa connessione? Perché Gesù aveva cominciato facendo del bene. Avete sentito la prima lettura: “Passò facendo del bene”. Gesù aveva cominciato la sua esistenza con esercizio di compassione, di misericordia, di attenzione agli ultimi, ai poveri, agli emarginati, agli ammalati. Aveva cominciato così la sua attività per presentare il nuovo stile della salvezza, o meglio, la caratteristica della ‘nuova alleanza’, come la chiama Gesù nell’ultima cena e come l’avevano già chiamata i profeti: Geremia, Ezechiele avevano parlato infatti della nuova alleanza, cioè di un’alleanza con caratteristiche nuove. E Gesù le stava vivendo, le proponeva, non solo nel suo insegnamento – pensate alle beatitudini, al discorso della montagna – ma con i suoi gesti, con le sue scelte, con l’immagine di Dio misericordioso che proponeva. Ma quella proposta di Gesù non era stata accolta, era stata rifiutata: radicalmente da alcuni, come i capi del popolo, come anche molta della gente che l’aveva seguito; in un modo un po’ più incerto dagli altri; infine anche dai suoi discepoli. Era finita l’avventura di Gesù: quella sua proposta non era stata accolta. Cioè prevaleva ancora la convinzione che di fronte alla violenza bisognava agire con violenza, che di fronte all’odio bisognava rispondere con l’odio, che di fronte alle umiliazioni bisognava far prevalere il proprio diritto, la propria dignità. Tutti quei meccanismi istintivi che gli uomini avevano sempre vissuto e che noi continuiamo ancora a vivere. Perché questo è il punto: non dobbiamo solo riflettere sull’esperienza e la fede degli apostoli, dobbiamo poi anche venire al nostro cammino di fede, perché noi continuiamo ancora a seguire quel criterio, non abbiamo accettato ancora il Vangelo.
Ma per noi quello che ora è importante è capire la connessione che c’è tra questa proposta di Gesù e la sua morte, tra il modo come Gesù è morto e la sua resurrezione. Perché questo è il segreto della celebrazione della Pasqua: non è semplicemente celebrare un fatto accaduto, la resurrezione di Gesù. Potremmo celebrare tante altre avventure di questo tipo: il fatto che Lazzaro è uscito dal sepolcro, il fatto che Elia è salito al cielo… Ci sono tanti altri eventi nella storia della salvezza che possono essere celebrati come trionfo della vita, ma noi non ricordiamo solo questo fatto, che Gesù è apparso vivo dopo la sua morte, noi ricordiamo una connessione che esiste tra la proposta di Gesù, la fedeltà che egli ha vissuto fino in fondo, fino a morirne, e la sua resurrezione. Che connessione c’è? Ecco, fermiamoci un momento a riflettere su questo, perché è il contenuto essenziale della fede che oggi noi proclamiamo.
Quando noi diciamo: “Gesù è risorto” noi diciamo: Gesù è rimasto fedele al suo vangelo della misericordia, della compassione, della benevolenza, del Dio misericordioso, così da morirne, da amare fino in fondo: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò fino alla fine” (Gv.13,1)
e attraverso quell’amore la vita è fiorita, la nuova tappa dell’alleanza è cominciata, noi siamo qui ancora a ricordare quell’evento, perché segna la storia degli uomini.
Questa connessione è necessario individuare, su questo è necessario riflettere, per capire ciò che celebriamo oggi.
Allora il primo punto: la connessione tra la misericordia di Gesù, la sua benevolenza, e la sua morte.
Gesù aveva cominciato per passione per Dio, per la sua dedizione totale a Dio. E’ questo il nucleo centrale da scoprire: quella di Gesù non è una semplice proposta morale, non è una serie di insegnamenti di comportamento che ha proposto ai suoi. No, no, l’insegnamento di Gesù nasce dal rapporto con Dio. E’ la passione per Dio che l’ha condotto a decidere la sua vita pubblica, ad andare nel deserto, a cominciare a predicare il Regno, ad affrontare le difficoltà e l’ha condotto fino a morire.
Cos’è questa passione che aveva Gesù per Dio, per il Padre? E’ la certezza che l’azione di Dio in noi può fiorire in forme nuove di vita. E’ l’esperienza che compiva di poter giungere a esprimere misericordia, a sanare gli ammalati o a curarli, a manifestare compassione, a portare le sofferenze dei fratelli, a consolare chi piangeva. Compiva l’esperienza che l’azione di Dio in lui poteva esprimere qualità umane nuove. E sono fiorite nella sua vita.
Questa esperienza Gesù proponeva ai suoi. Giovanni, che ha percorso velocemente questa fede e questo cammino spirituale (“vide e credette”), traduce molto bene questa esperienza nel suo Vangelo, quando fa dire a Gesù: “Io non faccio nulla da me stesso, il Padre compie in me le sue opere. Le parole che io vi dico non sono mie” (Gv. 14,10). Era questa esperienza che in lui l’azione di Dio esprimeva forme nuove di vita, giungeva a gesti di misericordia, di perdono, di dono senza riserve dell’amore.
Questo è un punto che dobbiamo tenere presente per celebrare oggi la Pasqua, perché è nata di lì la forza di Gesù e il suo amore, da questo rapporto con Dio.
Per cui (veniamo subito all’applicazione alla nostra vita) noi non siamo qui per celebrare semplicemente un evento relativo a Gesù, noi siamo qui per imparare a celebrare la fede in Dio che lui ha vissuto, per poterne scoprire il segreto, per cogliere quella forza che ci rende possibile una novità di vita. Quando Paolo diceva (II Cor.5,17): “Se uno è in Cristo è una creatura nuova” riassumeva questa esperienza: noi possiamo esprimere novità di vita. Scopriamo di non essere capaci di amare in una certa situazione? Ma sappiamo che possiamo giungervi. Non perché siamo buoni noi o forti, ma perché la forza di Dio in noi può introdurre novità di vita. Non riusciamo a perdonare in una certa situazione, sentiamo una resistenza terribile, un’avversione, un odio? Lo viviamo, ma con la certezza – questa è la fede, non è che non sentiamo risentimento – di poter un giorno pervenire a esprimere misericordia invece che avversione e odio, a esprimere perdono invece che vendetta. Lo possiamo un giorno fare, ripeto, non perché siamo buoni noi e mettiamo la nostra volontà, ma perché la forza di Dio in noi, se la accogliamo, se ci fidiamo di Lui, può fiorire in noi in forme nuove.
Questa è l’esperienza che rende possibile l’annuncio della resurrezione, la novità di vita, altrimenti non ha senso. Certo, ci passiamo in mezzo all’avversione, al sentimento che proviamo, ma con questa consapevolezza. Questo è l’esercizio della fede, anche quando non riusciamo a compiere i gesti che sarebbero necessari. Ma noi ci fidiamo della forza di Dio, ci abbandoniamo a Lui, anche quando sentiamo il vuoto. Come Gesù sulla croce, che si sente abbandonato, ma si fida interamente del Padre e giunge ad esercitare un amore che fino allora non aveva mai esercitato, perché non si era mai trovato in una situazione così estrema, così violenta di odio. Era la prima volta che Gesù si trovava a vivere un amore di questo tipo, ma era stato fedele nel suo cammino, aveva continuato ad amare secondo le esigenze di quella situazione ed era giunto così ad amare fino alle estreme possibilità umane. Questa è la resurrezione.
Questo cammino che ha compiuto Gesù, però, ha avuto momenti di difficoltà, ma non solo alla fine, ma anche lungo il tragitto: non è stato un cammino gioioso, quello compiuto da Gesù fin dall’inizio. C’era una gioia profonda che Gesù scopriva nella preghiera e nel rapporto col Padre, ma nelle sue esperienze di ogni giorno c’erano conflitti, c’erano rifiuti, incomprensioni, pianto: Gesù ha pianto di fronte alla città che lo rifiutava, di fronte alla tomba dell’amico che era morto, si è commosso profondamente di fronte alle sofferenze degli uomini che erano oppressi, che erano emarginati, che non erano considerati, perché insignificanti. Più volte il Vangelo riferisce di questa commozione, di questa compassione di Gesù. Ora, a un certo momento si è trovato a dover decidere se continuare questo cammino di compassione, di rivelazione della misericordia di Dio o se rinunciare alla sua impresa. Perché trovava continuamente resistenza e rifiuto, da parte dei suoi stessi discepoli – “Allontanati da me Satana” (Mc.8,33) dirà a Pietro che gli proponeva altri traguardi – e da parte dei farisei, dei sadducei, dei capi del popolo. Erano contrasti continui. Aveva costituito i Dodici per avere un piccolo ambiente di verifica della sua proposta e di cammino di fedeltà, di amicizia con lui, perché avvertiva questo bisogno di verificare anche negli altri quello che lui viveva e che riusciva ad esprimere, ma i Dodici che egli aveva scelto non sono stati certamente di molto aiuto in questo cammino. Ricordate quando nell’Orto degli Ulivi rimproverò Pietro e gli altri: “Non sei stato capace di restare un’ora a pregare con me” (Mc.14,37). Quanta amarezza in questo rimprovero! E nella nostra vita quante volte avremmo potuto ascoltare (forse l’abbiamo ascoltato dentro di noi) questo rimprovero: “non sei stato capace”.
Gesù perciò si trovò di fronte a questa resistenza, a questo rifiuto e continuò il suo cammino, anche quando la sua passione per Dio, che era diventata compassione per gli uomini e misericordia, diventò la sua passione, la sua sofferenza estrema e la sua morte. Anche allora è rimasto fedele a questo vangelo: “Perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc.23,34). “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc.23,43). Questa attenzione a coloro che erano accanto a lui è l’espressione della misericordia e del perdono, è la fedeltà al suo vangelo.
Per questo Gesù è risuscitato, cioè ha messo in moto una forza di vita così potente, lì mentre moriva, mentre soffriva, ha esercitato un amore così grande, che ha ricominciato in forma nuova la sua storia. E la seconda tappa dell’alleanza ha preso inizio da quel fallimento, da quella caduta della fede dei suoi discepoli, ma da quella fedeltà che Gesù ha continuato fino alla fine, nell’amore.
Questo oggi noi celebriamo. Ma allora dobbiamo interrogarci – è l’interrogativo finale che ci poniamo, ma quello decisivo – : nella nostra vita quali forme può assumere e deve assumere questa fedeltà al vangelo di Gesù, alla sua resurrezione, alla sua testimonianza? Percorriamo un po’ il nostro cammino, i nostri rapporti, le nostre esperienze, e individuiamoli, questi spazi di fedeltà che ci sono chiesti, perché finalmente il vangelo di Gesù venga riconosciuto come legge di salvezza nelle nostre strutture, nella società, nelle leggi. Perché tutta la nostra società è impostata ancora in modo opposto: sì, ci sono dei movimenti sociali, ci sono delle evoluzioni di coscienza nel mondo che riflettono questi principi fondamentali del vangelo di Gesù, ma sono ancora minoritari o anche quando ci sembrano molto estesi in grandi movimenti di massa vengono soffocati, non hanno efficacia. Anche queste situazioni dobbiamo vivere con quella fede che ha contrassegnato la morte di Gesù e che ha iniziato poi il cammino della Chiesa; perché il cammino della Chiesa è cominciato con il racconto di questa fedeltà di Gesù alla misericordia, alla compassione, alla vicinanza degli ultimi, degli ammalati, degli emarginati e dei poveri. La Chiesa è cominciata con questo racconto e questa fedeltà, che si è espressa in tanti modi lungo la storia. Se oggi ancora noi siamo qui dopo duemila anni a ricordare quegli eventi, è solo perché ogni generazione ha avuto dei santi, degli eroi che hanno vissuto con tale fedeltà il Vangelo, da mostrare il volto misericordioso di Dio, da inventare quelle forme nuove di vicinanza, di soccorso, di dedizione, di servizio agli ultimi, che ha caratterizzato sempre, anche se in modo spesso nascosto, non riconosciuto, non esaltato, la storia della Chiesa: una piccola minoranza, ma che è stata sufficiente per continuare la storia di salvezza.
Noi oggi siamo chiamati a far parte di questa piccola minoranza, perché la storia degli uomini possa continuare, perché la pace possa ancora essere annunciata come possibile, perché la giustizia possa essere ancora realizzata in mezzo a noi.
Questo è l’impegno che assumiamo oggi celebrando la Pasqua del Signore.