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VI Domenica del Tempo di Pasqua

Dal Vangelo secondo Giovanni (14, 23-29)

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Omelia di don Carlo

Il Quarto Evangelista non descrive l’Ultima Cena: c’è solo la lavanda dei piedi e poi delle lunghe riflessioni, probabilmente delle omelie pasquali, che l’Evangelista o un suo discepolo ha raccolto e posto nel contesto appunto dell’Ultima Cena, che l’Eucarestia rinnova continuamente. Quindi potremmo dire che sono riflessioni eucaristiche che la comunità del Quarto Evangelista ha raccolto e inserito nel vangelo, per farci capire il valore dell’Eucarestia che celebriamo, e quindi della Cena che Gesù ha celebrato, come memoriale appunto della sua passione, della sua morte e della sua resurrezione. E’ comprensibile perciò che in queste pagine ritornino tutti i temi pasquali. Ne raccogliamo due.

“Chi mi ama osserva la mia parola”.

Il primo tema è riassunto nella formula ‘osservare la parola’: Gesù dice: “Chi mi ama osserva la mia parola” (e siccome il termine utilizzato in italiano, ‘parola’, si riferisce all’udito, dovremmo dire ‘ascoltare la parola’).

Noi saremmo tentati di interpretare questa formula come adempimento delle indicazioni operative che Gesù ci ha lasciato, dell’osservare la sua legge, del seguire il suo vangelo. Certo, c’è anche questo, ma la formula ‘osservare la parola’ è molto più impegnativa e implica vari atteggiamenti.

Contemplare gli ‘accadimenti’ perché diventino ‘avvenimenti’, cioè ambiti della venuta di Dio.
‘Osservare la parola’ implica prima di tutto l’osservare, il rintracciare, cioè l’avere un atteggiamento di attenzione verso la parola.

Ma che cos’è la parola? Non è lo scritto. Quando Gesù pronuncia queste formule si riferisce ad un momento in cui non c’era niente di scritto. La parola scritta degli ebrei era l’Antico Testamento, ma qui Gesù dice ‘le mie parole’, che non erano scritte. La parola era Lui, la sua esperienza e la sua vita. Quindi ‘osservare la parola’ significa prima di tutto mettersi nell’atteggiamento di contemplazione di ciò che avviene, in questo caso della vita di Gesù.

Ma oggi per noi ‘osservare la parola’ vuol dire in primo luogo metterci in atteggiamento di contemplazione, di ascolto, per rilevare ciò che la vita ci consegna. Infatti l’accadimento, cioè ciò che avviene, può essere caotico, può essere determinato dal passato, può essere anche male; anzi, la maggioranza degli accadimenti della nostra vita sono almeno in parte negativi, hanno delle componenti di male, di insufficienza, di inadeguatezza. Non è quindi ciò che accade che è la parola di Dio. E invece noi abbiamo nella nostra tradizione, anche popolare, una certa spiritualità di tipo fatalista, come se tutto ciò che accade sia voluto da Dio. Questa spiritualità si rispecchia in molti detti, ricordate per esempio il proverbio: “Non muove foglia che Dio non voglia”. E’ completamente sbagliato, per un certo verso, perché in realtà tutto ciò che accade è espressione delle leggi della natura, del passato, del disordine che ancora c’è nella creazione e nella storia, del peccato che l’uomo introduce.

Quindi ciò che accade non è la parola di Dio. L’accadimento deve essere vissuto, interpretato, osservato, contemplato (ecco “osservare la parola”) perché diventi ‘avvenimento’, cioè una venuta di Dio, un luogo dove l’azione di Dio si esprime, dove la sua parola risuona.

Quindi perché l’accadimento, l’esperienza, ciò che noi compiamo, sia ‘avvenimento’, cioè ambito della venuta di Dio, deve intervenire l’attenzione dell’uomo, l’atteggiamento umano.

Quando c’è questa osservazione, questo atteggiamento contemplativo, quando apriamo l’occhio interiore (per usare la formula orientale), allora cogliamo qualche cosa di più profondo: Dio che viene.

L’accadimento allora diventa venuta di Dio, cioè l’azione della vita si esprime, diventa offerta, diventa dono per noi, anche nelle situazioni negative, negli accadimenti di sofferenza, di contraddizione, di incomprensione, tutte le cose che costituiscono la trama della nostra vita. L’avvenimento riconosciuto e accolto diventa evento di salvezza.

Mettersi in sintonia, così da accogliere la venuta di Dio.

Ma non è ancora tutto, perché quando noi ci accorgiamo della venuta di Dio a volte poniamo resistenze, rifiuti. Occorre quello che Gesù qui indicava col temine ‘amore’ (“Se uno mi ama osserva la mia parola”), cioè quella sintonia – essa stessa donata dalla parola accolta – che consente l’accoglimento, per cui la venuta di Dio diventa per noi evento di salvezza.

L’evento è quindi qualcosa di più della venuta di Dio: è la venuta di Dio riconosciuta e accolta. Allora c’è l’evento di salvezza, cioè il figlio che cresce, cioè la nostra vita che si sviluppa: diventiamo figli, raggiungiamo la nostra identità definitiva. Possiamo anche dire, usando la formula di Giovanni, che la vita eterna si sviluppa in noi e rendiamo possibile la morte come momento di vita.

La morte infatti può essere anche la seconda morte, cioè può costituire il momento in cui si esauriscono le possibilità di vita che ci erano state offerte, il momento in cui appare l’inconsistenza della nostra avventura: non ci sono stati eventi salvifici o sono stati insufficienti. Ciò che è accaduto è rimasto accadimento, Dio non è venuto e non si è realizzato l’evento di salvezza.

E’ possibile questo. Forse è rarissimo, forse non avviene per nessuno, ma in ogni caso è possibile e dobbiamo tenere presente questa possibilità per capire la condizione in cui noi ci troviamo, cioè per mettere in moto l’osservanza della parola, che fa di ogni accadimento della nostra vita, positivo o negativo, una venuta di Dio che, se accolta, diventa per noi un evento di salvezza.

“Verremo e prenderemo dimora presso di lui”

Quando ciò si realizza giorno dopo giorno, anche nell’insufficienza, nel limite della nostra condizione, avviene qualcosa di straordinario che Gesù qui esprime con una formula che ci è cara, anche se è metaforica e quindi ci richiama costantemente all’oltre. “verremo e prenderemo dimora presso di lui”. Questa formula indica almeno due cose: la novità (“verremo”) e la stabilità, un qualcosa che resta per sempre (“prenderemo dimora”): non è una cosa fugace, non è un’intuizione immediata che poi scompare, non è un lampo, è una luce che rimane: “verremo e prenderemo dimora presso di lui”.

L’elemento della novità è indicato anche con l’altra formula che Gesù utilizza: “verrà lo Spirito, vi condurrà alla verità tutta intera”. Vedete anche qui il verbo di venuta, cioè l’accadimento che diventa avvenimento e per noi diventa poi evento di salvezza.

Notate poi che ‘verità’ non vuol dire la semplice conoscenza intellettuale delle cose, come spesso viene interpretato. Per esempio la formula ‘verità dell’uomo’, che il Papa l’altro giorno ha citato, spesso viene interpretata come ‘la dottrina che la Chiesa ha dell’uomo’. Ma questa è un’interpretazione molto ristretta. In realtà non è la dottrina che la Chiesa ha dell’uomo, perché quella dottrina è imperfetta, inadeguata. La verità dell’uomo noi non la conosciamo perfettamente, però è necessario che diventi e resti costantemente il criterio per le scelte che gli uomini debbono fare. Allora l’osservare la parola vuol dire mantenere sempre costante questa vigilanza, per cogliere la verità dell’uomo che ancora non conosciamo, ma che lo Spirito, cioè la forza della vita, la luce di Dio, pian piano può far emergere attraverso la nostra esperienza, se abbiamo questo atteggiamento di accoglienza.

Allora la stabilità non è la stabilità delle idee, non vuol dire che le idee che ci danno restano per sempre, perché questo sarebbe realmente pericoloso, anzi, sarebbe l’idolatria. I fondamentalisti sono l’espressione chiara di questo rischio che corriamo di identificare l’azione di Dio in noi permanente con l’assolutezza delle nostre idee, della nostra sensibilità, delle nostre scelte, delle nostre decisioni. Invece la verità resta sempre oltre, Dio è sempre avanti. Gesù dice :”E’ più grande di me”. Il che vuol dire: è più grande delle parole che io dico, delle espressioni che io uso, dei gesti che io faccio. C’è sempre un ‘oltre’ da accogliere, da interiorizzare.

Se non fosse così sarebbe giusto il timore che i “laici” hanno nei confronti dei credenti in Dio: come possono essere democratici, se sono convinti di avere già la verità e di doverla imporre in nome di Dio? Ma non è così, perché la Verità che noi diciamo essere Dio è sempre oltre i nostri pensieri e dobbiamo costantemente osservare la parola, metterci in ascolto, per poter capire cosa ci è chiesto. E questo lo possiamo fare, anzi lo dobbiamo fare, insieme agli altri, perché anche gli altri hanno dei criteri per osservare la parola, anche se non la ritengono parola di Dio. La parola che risuona all’interno della creazione e della storia è a disposizione di tutti e tutti possono avere degli strumenti per osservarla. Quindi noi, proprio per osservare la parola, per restare nell’amore di Dio, dobbiamo metterci costantemente in ascolto dei nostri fratelli e ricercare insieme a loro i traguardi di pace, di giustizia, di fraternità che l’azione di Dio suscita in mezzo a noi.

La comunione frutto del cammino pasquale.

Allora si capisce perché la comunione, l’unità degli uomini, diventi il frutto di questo cammino pasquale come Gesù l’ha delineato.

Quelle prime comunità, quei pochi cristiani che cominciarono insieme il proprio cammino, Giovanni dice che “erano insieme per paura dei giudei” (Gv. 20,19). Una comunità che sorge dalla paura non è certo una comunità di comunione di vita o una comunità gioiosa, tanto è vero che due erano già partiti per andare a casa e gli altri aspettavano il tempo opportuno per farlo. Non era una comunità, era un trovarsi insieme per caso. Era un accadimento, non era ancora una venuta di Dio e tantomeno un evento di salvezza. E così quando la comunità sta insieme per interesse, per difendere i propri diritti o per alimentare le proprie ricchezze non è una comunione autentica. L’Eucarestia ci conduce invece ad un nuovo modo di stare insieme, con la scoperta appunto di Dio che dimora in noi e negli altri.

Chiediamo allora oggi al Signore proprio questa lucidità interiore, perché osservare la parola vuol dire avere l’occhio aperto, essere lucidi interiormente. Non perché si sa come stanno le cose, ma perché si dà fiducia all’azione di Dio, alla forza dello Spirito che ci conduce, se osserviamo la parola, alla sintonia con la sua azione, a percepire che cosa dobbiamo fare per rispondere alle esigenze della giustizia, della pace, della fraternità tra i popoli.

Chiediamo allora al Signore oggi questa lucidità, per essere in grado di vivere questa settimana nella serenità, nella gioia di chi è consapevole che l’azione di Dio è sempre presente, perché Dio è fedele.