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Caro Recalcati, è giusto che la scuola insegni l’affettività

di Concita De Gregorio in “la Repubblica” del 3 novembre 2025

La risposta è sì, professor Recalcati. Alla domanda con cui chiude la sua lezione di ieri (domenica 2
novembre): la libertà, il rispetto delle differenze, la lotta contro ogni forma di discriminazione, il
riconoscimento del pieno diritto di ciascuno alla propria libertà sessuale «si ottengono facendo della
sessualità e dell’affettività una materia di studio?». Sì, certamente sì e pensi che lezione magnifica
sarebbe stata già questa, la sua, in una classe o in un’aula magna piena di sedicenni.
Pensi con che attenzione l’avrebbero ascoltata, persino prendendo appunti se per caso ancora si
usasse o più probabilmente registrando, filmando. Con che veemenza l’avrebbero contraddetta, con
che passione avrebbero dissentito dandole modo di avviare un confronto: non una lezione frontale
ma un dialogo aperto con persone di più giovane età, come lei sempre auspica. Nei suoi scritti, nel
suo lavoro.
Quanto mi dispiace non avere sedici anni per farlo qui, adesso, ma a ben pensare posso avere anche
sedici anni, li contengo nei miei molti, se li cerco li trovo, dunque facciamo così. È la sedicenne che
le parla, per un momento. Le avrei detto, se fossi stata in quella classe, o aula magna, che mi scusi,
professore, ma dire che «la scuola deve affrontare questi temi nel suo complesso» mi sembra vago,
utopistico, ambiguo. Mi sembra una scappatoia per non farlo: cosa significa «nel suo complesso?».
Chi, esattamente? Il coro all’unisono di insegnanti di matematica e scienze, di filosofia e diritto,
ciascuno nella sua ora?
Forse lei non conosce la mia, di scuola: a parte qualche magnifica eccezione, qualche docente
illuminato e ce ne sono, in generale prevale l’ansia di completare i programmi, i compiti a crocette,
l’incubo dei test Invalsi, il nozionismo. Non c’è tempo e non c’è modo, per il resto. Che poi sa,
professore, «nel suo complesso» vuol dire tutto e vuol dire niente, è come buttare la palla in tribuna.
In fin dei conti è come dare ragione all’oscurantismo di chi vieta il dibattito in nome della
“normalità”: quella che piace alla destra, a Dio, alla Patria, la famiglia tradizionale.
La normalità però non esiste ed è lei stesso a dire che la complessità delle identità, dei desideri non
può essere imbrigliata in un canone. Lei, e Freud che nella sua lezione cita. Ma conoscere Freud
sarebbe un lusso, non è nei nostri programmi scolastici. Un paragrafo, forse, un rigo appena.
Noi l’educazione alla sessualità non la studiamo su Freud. La facciamo su Youporn, piattaforma
libera e gratuita, e le assicuro che confrontarsi con quel modello genera parecchia ansia, parecchia
confusione. Nessun ministro, del resto, può oscurare Youporn: dunque restiamo così. Senza un
posto dove discuterne a scuola e con la rete a darci lezione.
Lei si chiede chi potrebbe insegnare i fondamenti dell’affettività e della sessualità e fa, mi sembra,
dell’ironia. Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Potrebbe essere lei, per
esempio. Lei e altri docenti magari non alla sua altezza (li pagano così poco, gli insegnanti. Se
potessero svolgere la libera professione, se fossero qualificati per avere pazienti da ricevere a studio
lo farebbero) ma — penso — magari formati da professionisti come lei.
Esistono i corsi di formazione e questo sarebbe un corso utilissimo. (Alle elementari — torno per un
momento adulta — avevo una maestra che ci faceva tenere un quaderno: “Io e gli altri”, lo aveva
intitolato. Dovevamo scrivere cosa ci faceva soffrire. Non c’era allora il consenso informato dei
genitori. Anche i vaccini: si facevano e basta, veniva il medico in classe. È stato bello tenere quel
quaderno. Tanto di quello che sono diventata è cominciato lì, con la maestra Schirò. Era una sua
idea, non era nel programma). Bisogna avere fortuna, a scuola, dipende da chi trovi. Meglio sarebbe
che ci fosse un progetto: che tutti avessero la possibilità di avere fortuna.

Che poi, prof, l’ora di religione? Non è quasi mai, le assicuro, storia delle religioni. È catechismo cattolico. Certo, ci si può esonerare. Ma finisci a ciondolare in corridoio, o a fare i compiti per l’ora successiva, di solito, nella “materia alternativa”. C’è stato un dibattito, su chi dovesse insegnare religione? Chiedo. Non so. Non trovo niente su internet. Infine, professor Recalcati. A scuola mia ci sono moltissime compagne che pensano che se lui controlla il telefonino fa bene, vuol dire che le ama. Che se quando escono lui decide come si devono vestire va bene, se è geloso le ama. Sono la maggioranza, glielo assicuro. In classe ho due compagni in transizione. Non possono fare niente per ora, sono minorenni. Aspettano di averne diciotto. Non credo proprio che cambieranno idea, prof.Quanto sarebbe utile avere un posto, a scuola, dove parlarne. La realtà non è quella che il ministroValditara decide: la realtà è la realtà e non c’è niente di più stupido e inutile che negarla. Tra l’altro, come lei dice: la poesia, il cinema, la letteratura, il teatro, la descrivono. Non sarebbe bella un’ora così? Un po’ di Ungaretti, un po’ di Pasolini, un po’ di Virginia Woolf, di García Lorca e Rosalía, ha sentito l’ultimo di Rosalía? Mistico, interessante. Poi volevo chiederle. Lei pensa che bastino le leggi? Perché ho letto che un tizio ha ammazzato la sua ragazza con «un numero smisurato di coltellate», l’altro giorno. Aveva il braccialetto elettronico, se lo è tolto. Lei lo aveva denunciato ma poi aveva ritirato le denunce e quando lui è tornato a casa sua, anche se non poteva, lei non lo ha detto a nessuno. Perché aveva paura.Sono tante e sono oscure le ragioni per cui le donne non denunciano gli abusi, quasi sempre hanno ache vedere con la paura. Anche un po’ con le perversioni che lei cita: quella di essere dominate, per esempio. O la sensazione che l’altro sia fragile, poveretto. Fino a che non ti ammazza. Professore. Ilbraccialetto non serve a niente. Ma persino: il femminismo delle piazze. Mia madre è stata una femminista militante. È migliorata, la situazione? Sono diminuiti i femminicidi da allora? Non mi pare. Non dico che non serva, manifestare. Dico che non basta.Serve l’educazione, prof. E se non si fa a scuola. Se non si insegna lì che ciascuno è diverso e però uguale. Che tutti meritano rispetto e che bisogna pretenderlo, il rispetto. Allora dove? Alla tv? Su Youporn, su Onlyfans, nella rete? Non lo so, sono disorientata e mi sento spesso sola. Sarebbe bello trovare a scuola qualcuno con cui parlare, sa? Avere un posto. Sarebbe bello.