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Custodi della vita

Un commento all’enciclica dalla terra d’Iran.
Un appello a cogliere il sapore della poesia sociale contenuta nel testo e un invito ad aprirsi al mondo e all’unità.

di Shahrzad Housmand, Teologa musulmana, in Mosaico di pace di marzo 2021

Nel momento in cui scrivo sono in un luogo apparen­temente lontano, ma an­che molto vicino. Sono a Teheran, in Iran, e questo mi permette di raccontare ciò che io ho potuto cogliere nei due paesi, Italia e Iran, in ognuno dei quali ho tra­scorso la metà della mia vita. Sono onorata di chiamarmi “irano-italiana”.

Vogliamo leggere questa straordinaria enciclica e leggere è un verbo di azio­ne: vuol dire “entrare” in un testo chiamato “enciclica” che, secondo me, è desti­nato a cambiare la storia dell’interpretazione mondiale di fratellanza.

Innanzitutto ho voluto consultare nel dizionario il signi­ficato della voce enciclica: è una lettera circolare che ha iniziato ad avere vita da parte di papa Benedetto XIV, che aveva mandato il testo solo a un gruppo di vescovi di cattolici a lui più vicini. La storia adesso ci porta ad essere destinatari di un’en­ciclica, rivolta non solo ai vescovi, non solo ai cattoli­ci, non solo ai cristiani, ma un’enciclica in un movimen­to circolare, molto più vasto e accessibile a tutti, cioè ai fratelli umani. Per questo penso che sia destinata a cambiare in modo positivo, ma anche radicalmente bel­lo, la visione e l’interpreta­zione religiosa.

LE TRE ENCICLICHE

“Fratelli tutti’. è la terza en­ciclica che papa Francesco scrive. La prima, “Lumen Fidei” , era stata iniziata già da papa Benedetto XVI, che però non l’aveva portata a conclusio­ne, ed è stata rielaborata e completata da papa France­sco. Da sottolineare e notare la continuità fra i due Papi, un fenomeno eccezionale nella storia.
Un’altra lettera storica è stata la “Laudato si'”, che lui stesso dice essergli stata ispirata da un ortodosso, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, il quale, secon­do papa Francesco, gli ha evidenziato l’importanza della cura del creato.
Per la terza enciclica, “Fra­telli tutti”, lui stesso dice di essere stato ispirato dal Pa­trono d’Italia, san Francesco d’Assisi, dal quale ha preso il nome e l’ispirazione del suo stesso pontificato: ma il Papa, con un coraggio ine­dito, dice e scrive che questa enciclica, per prendere vita, ha avuto lo stimolo da un imam musulmano, il grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

È la prima volta che un Papa si mette sullo stesso tavolo, sulla stessa onda di uguaglianza con il maggiore leader del mondo islamico sunnita, per elaborare il “Documento sulla fratel­lanza umana” per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio del 2008, il quale si com­pleta nell’enciclica “Fratelli tutti”.

TUTTI

L’espressione “Fratelli tutti” allarga proprio il movimento circolare, non più solo cat­tolici, non più solo cristiani: il Papa collabora con un le­ader musulmano e vuole mandare la sua enciclica come luce, come raggio di speranza e anche come “Ma­gna Charta” della giustizia sociale mondiale.

Innanzi tutto, quest’opera magnifica ci chiede cosa sia la fede, dove ci conduce e cosa ci domanda. Gli stessi due protagonisti, papa Fran­cesco e imam Ahmad Al Tayyeb, avevano già scritto nel documento che precede l’enciclica: “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da amare e da sostenere”. In queste parole è racchiuso tutto il valore dell’atto religioso, “un va­lore trascendente”. In un altro passo leggiamo: “Il più importante obiettivo delle religioni è quello di crede­re in Dio. di onorarlo e di chiamare tutti gli uomini a credere che questo universo dipende da un Dio che lo governa e che ha concesso il dono della vita per custodire il mondo”. La parola chiave è “custodire”, non padroni ma amministratori responsabi­li, la riconoscenza del dono della vita da custodire. Il Papa dice anche di essere stato ispirato anche da altre persone non cattoliche, da Martin Luther King a Gan­dhi e che si sente in modo particolare debitore verso Charles de Foucauld, che fu proclamato santo da papa Benedetto XVI pochi anni fa. Difatti, Charles de Foucauld entra in una terra musul­mana, in un deserto, ma proprio questo incontro lo fa vivere una spiritualità cri­stiana. Colui che non aveva conosciuto la fede attraverso l’incontro, nel deserto, con un beduino musulmano che sta parlando col suo Signore, compie una conversione del cuore. L’incontro con un altro, diverso, culturalmente e religiosamente, lo trasfor­ma e Io porta alla santità. Papa Francesco usa spesso l’espressione “aprirsi al mon­do”. Charles de Foucauld, attraverso questo aprirsi al mondo, sente nella sua ani­ma e nel suo cuore la voglia di una conversione. Verso cosa ancora non lo sa, e poi il suo cammino lo porterà a diventare un sacerdote cattolico e sapientemente comprenderà una realtà sublime, cioè il puro atto religioso che si traduce in servizio. E questa, secondo me, è la chiave di quest’en­ciclica. Servizio verso chi? Verso ogni persona che in­contriamo. La parola “ogni persona” non può escludere nessuno.

ABBRACCIO UNIVERSALE

Il Cristianesimo, che è Firmo dell’abbraccio universale, in effetti, l’ha già espressa, perché i cristiani ripetono che Gesù Cristo è morto sulla croce per tutti, senza eccezione.

Questa enciclica mette in atto un amore per tutti: nel rispetto della dignità dell’al­tro, papa Francesco, seguendo l’esempio del Poverello di Assisi, va a incontrare i leader musulmani del no­stro che, ahimè, è un tempo colmo di fabbriche d’armi e soprattutto di fabbriche d’odio e di scontro. Il “Po­verello” del nostro tempo decide di rinunciare ai titoli, agli onori, e di andare ver­so un altro fratello in modo davvero umile, disarmato, a tendere la mano e a gridare un inno per la fratellanza universale.

POESIA SOCIALE

Questa enciclica la leggo so­prattutto in due chiavi: è per eccellenza un testo poetico. Si accosta quasi a una uto­pia, perché vuole vivere in un mondo di pace, solidale, in un mondo che vede tutti fratelli. È un testo poetico ma, nello stesso momento, è pienamente sociale, poli­tico, culturale. Entra nella vita dell’uomo di oggi, nelle piaghe più dolorose che san­guinano, per gridare contro le ingiustizie del mondo. Non è solo un testo poetico che ci suggerisce un’atmosfera meravigliosa, ma entra nel dolore del mondo.

Il documento firmato ad Abu Dhabi, che viene ripreso in quest’enciclica, natural­mente si apre in nome di Dio, ma, subito dopo, lancia un annuncio in nome degli orfani, dei prigionieri, delle vittime delle guerre, dei po­veri e di coloro che soffrono le ingiustizie.

Poi il documento alza la voce facendoci riflettere su chi è che produce l’ingiustizia. È l’opera dell’uomo che crea le ingiustizie, nel momento in cui non riesce a vedere nell’altro uno uguale a sé. Perché tu devi essere più im­portante dell’altro? Perché vivi in Europa? Perché sei bianco? Perché sei cristiano? Dovremmo combattere ogni confine e guardare nell’oc­chio dell’altro in modo pa­ritario, perché è degno della vita, perché, cristianamente detto, è figlio dell’unico Pa­dre, e secondo la logica islamica è la creatura dell’unico Creatore.

Si legge nel documento: “In nome di questa fratellanza la­cerata dalle politiche di integra­lismo, divisione, dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze teologiche odiose che manipolano le azioni e í destini degli uomini”.

Quest’enciclica va letta e riletta e proposta in ogni angolo della terra.

Vorrei concludere — consi­derando che scrivo dall’Iran —con un testo che conferma, come dice il Papa, che ogni popolo ha la sua bellezza, ogni essere umano ha una parola da darci. Per questo vi offro una poesia molto vicina alla logica di papa France­sco in questa enciclica. Si intitola proprio “Gli esseri umani” ed è stata composta dal grande poeta persiano Sa’di, un contemporaneo del Poverello di Assisi.

Gli esseri umani sono nati dalla stessa perla
“Gli esseri umani sono parti di un unico corpo, vengono dalla stessa perla.
Quando una delle parti soffre di qualche male
Anche le altre provano dolore.
Non puoi considerarti parte dell’umanità
Se non hai compassione di quel dolore.”

Il testo si conclude con due preghiere: una è dedicata al Creatore per poter essere condivisa con tutti i credenti. L’altra è una preghiera cri­stiana. Ma fatemi chiudere, nella Terra del Cattolicesimo, proprio con la preghiera cri­stiana:
“Dio nostro, trinità d’amore, dalla potente comunione della tua intimità divina effondi in mezzo a noi il fiume dell’amore fraterno. Donaci l’amore che traspariva nei gesti di Gesù, nella sua famiglia di Naza­reth, nella prima comunità cristiana. Concedi a noi cri­stiani di vivere il Vangelo e di riconoscere Cristo in ogni essere umano”.