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Il rabbino Skorka. «Il mio amico Jorge, un lottatore instancabile e testardo»

di Lucia Capuzzi, inviata a Buenos Aires, in avvenire.it di venerdì 25 aprile 2025

Abraham Skorka è stato l’amico che per 15 anni ha dialogato a Buenos Aires con Bergoglio e per altri 12 via e-mail con Roma. Il ricordo più forte: l’abbraccio a Gerusalemme

«Se n’è andato un amico». Abraham Skorka non nasconde la propria commozione. «Se n’è andato un amico – ripete–. Un fratello». Proprio con questa parola – «Caro Fratello» – cominciavano sempre le centinaia di e-mail che Jorge Mario Bergoglio e il rabbino “conservative”, tra i più conosciuti esponenti della comunità ebraica argentina e ora docente alla Georgetown University di Washington, si sono scambiati negli ultimi dodici anni, un mese e poco più. Negli altri quindici anni precedenti non avevano necessità di scriversi: si vedevano con assiduità a Buenos Aires dove lavoravano fianco a fianco per il dialogo interreligioso e la pace. Da questo impegno era nato un programma televisivo trasmesso sull’emittente dell’arcidiocesi e il libro “Il cielo e la terra”, pubblicato in Italia da Mondadori.

Francesco non aveva voluto che la designazione a successore di Pietro interrompesse il percorso. Appena eletto Papa, aveva chiamato il connazionale per comunicargli l’indirizzo e-mail con cui avrebbero continuato a tenersi in contatto. E, così, hanno fatto. L’ultimo messaggio, il rabbino Skorka l’ha inviato giovedì scorso. «Gli ho scritto che mi aveva fatto piacere vederlo in pubblico senza tubicino per l’ossigeno. Soprattutto gli facevo gli auguri per Pasqua: per questo raccomandavo al segretario di leggerglielo prima. Venerdì mattina è arrivata puntuale la risposta di quest’ultimo. Aveva trasmesso le mie parole, Francesco mi ringraziava e ribadiva che pregava per me, come io facevo per lui. Lunedì mattina ho ricevuto la notizia della sua morte». Il rabbino si ferma qualche istante, poi riprende. «Quando l’ho saputo, mi sono tornate in mente le parole dell’Urbi et Orbi del giorno prima, così chiare, forti, travolgenti. È stato il suo grido finale di dolore e di amore per l’umanità. Ci ha messo dentro tutto ciò che gli stava a cuore. Tra queste c’era la preoccupazione per l’antisemitismo dilagante. Non era una frase di circostanza, lo so bene. Sono stato testimone diretto della lotta di Jorge Mario Bergoglio contro le discriminazioni e i pregiudizi nei confronti degli ebrei. Ancora, il Papa ha chiesto la liberazione degli israeliani ancora in ostaggio a Gaza. E ha ricordato le sofferenze degli israeliani e dei gazawi. A ciascuno ha rammentato l’urgenza di lavorare per la pace». Il rabbino Skorka si dice molto addolorato per l’ordine impartito dal governo israeliano alle sedi diplomatiche estere di cancellare i messaggi di cordoglio per il Pontefice. «È stato un errore», afferma amareggiato. «Quanti dicono che Francesco era un nemico dello Stato ebraico si sbagliano di grosso. Da veri amici, dopo il 7 ottobre 2023, ci siamo confrontati più volte con molta schiettezza sulla guerra. Dopo la sua dichiarazione sulla possibilità di impiegare il termine genocidio per quanto in atto nella Striscia, gli ho scritto per dirgli che non ero d’accordo nel modo più assoluto. Mi ha risposto dandomi le sue motivazioni. Potevamo non essere d’accordo su alcune cose. So, però, che qualunque sua frase o gesto era dettata da una passione profonda per gli esseri umani e un’empatia totale con le loro sofferenze. Lo stesso fuoco dei profeti di cui ci narrano le Scritture. Questo, a volte, lo portava ad esagerare nelle espressioni. Non lo si poteva, però, giudicare da una parola: si deve guardare il quadro completo. Egli stesso riconosceva di fare errori. Qui stava la sua grandezza. Quanti altri leader mondiali sanno riconoscere quando sbagliano e chiedere scusa?».

L’umiltà, dimostrata in dettagli apparentemente minimi, è la grande lezione di Francesco, secondo l’amico rabbino. «Non dimenticherò mai il nostro abbraccio davanti al Muro del Tempio di Gerusalemme: dopo duemila anni di incomprensioni fra ebrei e cristiani, il processo iniziato con il Concilio è diventato tangibile. Prima di andare via, secondo la tradizione ebraica, Francesco ha lasciato un biglietto fra le pietre. Volevo mettere un messaggio accanto al suo e gli ho chiesto di aspettarmi. Non riuscivo a trovarlo così ci ho messo più tempo del previsto. Quando mi sono girato, lui era ancora là: mi aspettava, nonostante il protocollo. Con questo gesto, ho sentito che anteponeva il suo essere amico al suo essere Papa. Per questo, quando siamo andati via, mi è venuto spontaneo cingergli la schiena col mio braccio. Gli ho detto la ragione che mi aveva spinto a farlo nel nostro ultimo incontro, il 13 giugno scorso». L’altro grande insegnamento del Papa è stato la testimonianza concreta di servizio a Dio e all’umanità. «Fino all’ultimo ha voluto spendersi per gli altri. È morto con gli stivali calzati, come si dice in Argentina. Chissà quante volte gli avranno detto di riguardarsi, di evitare gli strapazzi. Ma non era da lui. Jorge Mario Bergoglio era così, un lottatore instancabile e testardo».