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Il tramonto dell’Occidente Nel realismo di Francesco la strada per una vera pace

di Massimo Cacciari in “La Stampa” del 26 aprile 2025

Vi è una storia provvidenziale ed eterna che guida il corso delle nazioni? Chissà quante volte papa Bergoglio si sarà posto il problema. Per un uomo di fede impossibile non credere che essa si riveli nel nostro stesso agire, malgrado nel suo accadere storico rimanga inafferrabile. Anche il non credente, tuttavia, quando si sforza di interpretare tale accadere, è costretto a ricorrere non solo a nessi causali, ma anche a una qualche idea di finalità. Dobbiamo scientificamente ammettere che la Natura non abbia alcuno scopo, ma come “sopportare” che ciò valga anche per la nostra storia?
Alcune grandi configurazioni geopolitiche coinvolgenti intere civiltà segnano questa storia e la loro evoluzione può forse indicare quale destinazione abbia il nostro presente. Ma in modo del tutto indeterminato. La politica è il regno di Epimeteo, solo il passato è, e sempre approssimativamente, chiaro al nostro sguardo. A questo sguardo dovrebbe apparire evidente la rivoluzione che il mondo ha conosciuto nell’ultimo secolo, il punto cui è giunta e quali possibili eventi ci si possa realisticamente attendere. Il primato dell’Occidente europeo crolla a cavallo della prima Grande Guerra, dopo che le sue formidabili ondate hanno sommerso l’intero globo (la popolazione di origine europea era un terzo di quella mondiale all’inizio del ‘900). Ma non fu il tramonto dell’Occidente, bensì l’affermazione di quello americano. Questa translatio imperi appare già inarrestabile ben prima del suicidio europeo del ’14-’18: nel 1871 il Pil americano supera per la prima volta quello britannico, e da quel momento esso mantiene il primato. Una resilienza davvero imperiale! È primato economico, militare, tecnologico e certamente anche culturale-scientifico.
Oggi la quota del Pil americano-britannico sul totale mondiale è ancora ampiamente superiore al 30%, analoga a quella di 30 anni fa, mentre per i Paesi dell’Unione europea è scesa dal 26% al 18% (inutile ricordare che all’inizio del ‘900 superava il 50%). L’Occidente è zoppo d’Europa, della sua unità politica, della missione che essa si era data dopo due Guerre mondiali scatenate dal suo interno, quella di essere fattore di pace, di reciproco riconoscimento tra i grandi spazi politici, di un nuovo diritto internazionale. La crisi dell’Occidente è il tramonto che pare inarrestabile di ogni ragione d’essere d’Europa, che non si riduca a logiche di mercato. Questa drammatica situazione era chiara allo sguardo di papa Bergoglio: la fine della centralità europea è qui vissuta dal punto di vista della cristianità, che fino al Novecento costituiva la trama fondamentale della “famiglia” europea, resistendo ai tremendi assalti del suo perenne bellum civile. Papa Bergoglio tenta il contraccolpo: i destini della cristianità vanno “salvati” dal tramonto d’Europa. Ma può darsi un Orbis, un Globo, senza Capitale, senza Urbs? Anche il sismografo più potente oggi non lo potrebbe predire.
Intanto viene certamente a mancare la sola voce che nell’attuale frastuono invitava a ragionare di politica. La voce del realismo proprio della grande tradizione ignaziana. L’uomo fa la storia, ma quasi mai comprende quale storia sia. Si muove spesso da infante tra fraintendimenti, equivoci, cieche speranze, vane attese, astuzie e inganni dal fiato cortissimo, valutazioni erronee dell’avversario e delle proprie stesse forze. Nulla è forse più irragionevole di pensare che il suo agire possa seguire una linea di ragionevolezza. E tuttavia rimane necessario compiere ogni sforzo per convincerlo a essa, fidando sul suo stesso egoismo: il rischio di distruggere sé stessi quando si opera senza valutare responsabilmente la situazione è immenso. E l’Europa ne ha fatto fino in fondo l’esperienza. Eppure sembra non bastarle ancora. A papa Bergoglio, venuto da finis Terrae, ciò sembrava uno scandalo inconcepibile.
Come è possibile una politica dell’Occidente che non riconosce la valenza rivoluzionaria dell’affermarsi di nuove potenze economiche, militari, tecniche e scientifiche e non si muove perciò
lungo la rotta di un riassetto multipolare, policentrico degli equilibri internazionali? Come è possibile, in questo quadro, ritenere che il destino della Russia fosse segnato per sempre dall’opera puramente disgregatrice di figure alla Eltsin? La Chiesa cattolica sa bene, lo sapeva benissimo quel papa che ha contribuito in misura forse decisiva al crollo dei regimi comunisti, Karol Wojtila, che la Russia è una grandezza irriducibile alla misura dei suoi Zar, dei suoi Stalin, figurarsi dei suoi Eltsin o oggi dei suoi Putin. Una grandezza tragica, che come tale va considerata e trattata. E tuttavia, nel momento stesso in cui la Chiesa, ripeto già con Wojtila, richiama l’Occidente a non illudersi che la Russia possa rassegnarsi alla perdita assoluta del proprio ruolo di grande potenza, con altrettanto realismo essa si rivolge al Cremlino: la sua sconfitta nella guerra fredda è irrevocabile, la sua rinuncia a ogni velleità di poter interferire con le decisioni dei governi degli Stati dell’Est ex patto di Varsavia deve essere affermata incondizionatamente. Non sono i loro governi, ma i loro popoli a volere entrare, dopo decenni di dittatura straniera, in tutti gli organismi dell’alleanza occidentale. È solo a partire dal riconoscimento di questa realtà che sarà poi possibile discutere delle forme dell’allargamento della Nato, dell’Unione e dei rapporti da stabilire con la Federazione russa.
Solo su questa base sarà possibile giungere a un vero trattato di pace. Altrimenti saranno armistizi nella continuità della guerra civile, fino a quando questa, nell’impossibilità di essere vinta dalla sola Ucraina per quanto armata, non coinvolgerà direttamente tutta l’Europa, e così per la terza volta l’Europa non coinvolgerà l’intero Globo nella catastrofe. La terza guerra mondiale sta ricomponendo i suoi pezzi e i leader di questo mondo somigliano sempre più ai ciechi di Brueghel l’uno all’altro appoggiati in marcia verso il fosso. Che siano sordi alla voce della misericordia, pazienza, si provino almeno ad ascoltare quella del realismo che papa Bergoglio ha anche rappresentato, secondo lo spirito della grande forma politica che la Chiesa cattolica è pure stata in tutta la sua storia.