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Küng – Il Dio in cui credo

Il pensiero teologico di Hans Küng è rivolto a persone in ricerca. Il dubbio e la comprensione del nostro tempo al centro delle sue riflessioni. Pubblichiamo una sua intervista, raccolta qualche anno fa ma tuttora fortemente attuale.

Intervista di Francesco Comina in “Mosaico di Pace” di Maggio 2021

Se ne è andato anche l’ultimo grande teologo del nostro tempo. Hans Küng era oramai un classico del pensiero, una pietra miliare di una riflessione teologica che ha influenzato fortemente la filosofia, l’etica, il diritto e la cultura in generale. Ha sollevato le contraddizioni che passano trasversalmente fra le Chiese, non riconosceva l’infallibilità del Papa e in materia di bioetica ha più volte criticato le posizioni ufficiali del magistero, rigettando le modalità repressive della Congregazione per la dottrina della fede che lo colpirono alla metà degli anni settanta e gli impedirono l’insegnamento. Nel 1993 si è impegnato per un progetto di formazione ed educazione alla Weltethos, ossia alla ricerca di un fondamento etico globale, interculturale e interreligioso.

Ho incontrato Küng a Brunico, in Alto Adige, in occasione della presentazione del suo libro-racconto “Was ich glaube” (In cosa credo) e ho avuto modo di dialogare con lui. Mi disse: “Scrivo per tutti quegli uomini che sono in ricerca, che non si sentono soddisfatti dal modo tradizionale di professare la fede sia romana che protestante. Scrivo per uomini e donne che non si sentono a loro agio in una costosa spiritualità in stile welness (Wellness-Spiritualitat) o in una semplice fede intesa come balsamo per la vita. Scrivo per chi ha dubbi ma anche il desiderio di vivere la vita come gioia e come bellezza”.

Ecco cosa mi disse in quella intervista che feci a Brunico nel 2009.

Hans Küng, perché proprio ora un libro autobiografico?

Una delle domande più difficili che spesso mi è stata posta è questa: “Professor Küng, aldilà di tutto in che cosa crede lei?”. Ho pensato fosse giunto il momento di rispondere alla domanda non solo su un piano formale ma personale. I capitoli del libro sono il frutto di alcune lezioni che ho tenuto all’università di Tubinga. Mille persone hanno letteralmente occupato ogni angolo dell’aula per sentire il racconto di una visione di fede libera, gioiosa, aperta. Non bastano più i catechismi, non sono sufficienti i libri di religione, i corsi di formazione e nemmeno la Bibbia presa soltanto come libro di studio. Molte persone sono in cerca di una fede comprensiva di tutto, di una fede che si combina con un’etica adeguata al terzo millennio.

Lei insiste molto sul dialogo ecumenico e interreligioso, eppure negli ultimi quindici anni si è assistito a un irrigidimento di posizioni. Lo storico incontro ad Assisi del 1986, quando papa Wojtyla radunò i rappresentanti delle grandi religioni dell’umanità, sembra un evento lontano.

Ho protestato fortemente contro la dichiarazione Dominus Jesus sulla unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa come se l’unica Chiesa perfetta fosse quella cattolica.
La mia posizione è fortemente critica verso il tentativo di restaurazione in atto, specialmente contro il Concilio Vaticano II. Non si ha come modello Gesù Cristo ma il diritto canonico. Su tante questioni fondamentali. come il ruolo della donna. quello dei laici, il celibato dei preti, la Chiesa ha un atteggiamento di difesa dello status quo. Ogni tanto mi viene da pensare che Gesù avrebbe serie difficoltà a capire l’apparato ecclesiastico di oggi.

Nel libro lei affronta questioni spinose come il rapporto fra il vivere e il morire.

Sì. nel capitolo dal titolo Lebenskunst (L’arte della vita) ho affrontato il tema della morte a cui ho dedicato il paragrafo Ars Moriendi. C’è una responsabilità individuale che bisogna tenere presente anche in quella che io chiamo la “dignità del morire”. È una questione delicata perché si intreccia fortemente con un elemento esistenziale, profondo che potremmo sintetizzare con queste do-mande: “Come voglio morire io? Come è morto mio fratello? Mors certa, hora incerta. Siamo coscienti che la morte arriverà, ma non sappiamo l’ora. Su questi temi le ideologie sono perniciose.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito che la croce è un simbolo che non si può imporre. Lei cosa pensa?

La croce è essenziale per il cristiano. È un messaggio di vita, di speranza, di gioia. Nella storia però la croce è stata brandita come un’arma, è stata utilizzata come strumento di condanna degli eretici. Non è sempre stata un segno di benedizione. Capisco che ci siano delle persone che manifestano dubbi o avversioni nei confronti della croce appesa nelle scuole, però non credo che nemmeno il radicalismo laicista sia la soluzione al problema. La Corte europea non può legiferare su questioni del genere, sono gli Stati che autonomamente sono chiamati a disciplinare la materia. Sono uno strenuo difensore della libertà religiosa ma sono anche convinto che, per la maggior parte delle scuole italiane o tedesche, la croce non sia un’offesa semmai è la mancanza di dialogo e di ascolto alla base di molti conflitti.