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L’arte di vivere insieme – 2° manifesto Convivialista

dalla rivista AIFO maggio/giugno 2021

Durante il IV Festival della cooperazione internazionale organizzato da AIFO nell’ottobre scorso, a Ostuni e da remoto, si è parlato del Convivialismo in occasione della pubblicazione di “L’arte di vivere insieme. Secondo Manifesto convivialista. Per un’alternativa al neoliberismo”, Fondazione G. Feltrinelli, Milano, 2020. Elena Pulcini e Francesco Fistetti, che hanno curato rispettivamente la Prefazione e la traduzione del testo, sono intervenuti al Festival. Abbiamo intervistato il prof. Fistetti professore di Storia della Filosofia all’Università di Bari.

SU QUALI PRINCIPI SI BASA IL CONVIVIALISMO?

Anzitutto, mi preme sottolineare che il convivialismo non è un dogma, ma una speranza che accomuna molte persone appartenenti a tradizioni politiche, ideologiche e religiose tra loro molto diverse. Nel Secondo Manifesto convivialista si dice: “La nostra speranza è che se le persone che si identificano nel convivialismo diventano sempre più numerose, allora potranno riconoscersi a vicenda e cominciare a discutere là dove vivono e lavorano: negli ospedali, a scuola, nelle prigioni, nei licei, nell’agricoltura, nelle imprese, negli enti previdenziali, nei sindacati e così via. Discutendo in questo modo, potranno iniziare a delineare i tratti dei luoghi di lavoro e degli ambiti di vita in modo conviviale, dove le persone vivono meglio, più in armonia, pur in carenza di denaro. Andrà così prendendo forma una nuova società post-neoliberale” (cfr p. 109).

Prima di soffermarmi sui princìpi del convivialismo, vorrei richiamare l’attenzione sull’importanza che la discussione ha nella costruzione di una società post-neoliberale. L’etica della discussione è l’anima di una società democratica: quanto più sono garantite le condizioni di parità di accesso al dibattito pubblico, soprattutto sui temi concernenti il bene comune o i beni comuni, tanto più la democrazia rappresentativa sarà irrigata dalla partecipazione attiva dei cittadini al governo delle istituzioni.

Il convivialismo intende favorire una nuova concezione filosofico/politica, post-neoliberale, non calata dall’alto ma tale da scaturire, come un work in progress, dal dialogo e dall’interazione con tutte le dottrine, laiche e religiose, che nella storia della modernità e della stessa umanità hanno mirato al bene e alla felicità degli esseri umani. Ma il criterio selettore che deve guidare questo processo di elaborazione collettiva è la minaccia della catastrofe possibile che nell’èra dell’Antropocene incombe sul genere umano e che mette a rischio la vita stessa sul pianeta.

I cinque princìpi proposti dal convivialismo come fondamento di una nuova concezione filosofico/politica sono ricavati da un confronto, in termini di accettazione/ superamento, con le dottrine laiche e religiose, in cui si riconosce la maggior parte dell’umanità. Il primo di questi cinque princìpi è una sorta di meta-principio, si tratta del principio di comune naturalità: gli esseri umani non vivono in un rapporto di esteriorità con una Natura di cui sarebbero “signori e padroni”, ma hanno con la Natura una relazione di intima interdipendenza.

Questo principio ha una priorità su tutti gli altri quattro, che sono: a) il principio di comune umanità (apparteniamo, al di là delle differenze, allo stesso genere umano); b) il principio di comune socialità (gli esseri umani sono esseri sociali, la cui più grande ricchezza è quella dei loro rapporti concreti); c) il principio di legittima individuazione (una politica o un regime politico è legittimo se consente a ognuno di sviluppare la sue capacità e di perseguire il suo progetto di vita nel rispetto della propria interdipendenza con gli altri); d) il principio di opposizione creatrice (è naturale che gli esseri umani competano tra loro, ma ciò solo nel quadro del rispetto della comune umanità, della comune socialità e di una rivalità positiva e non distruttiva).

COME IMMAGINARE DI VIVERE INSIEME, IN UNA NUOVA DIMENSIONE, QUANDO I MOVIMENTI IDENTITARI E XENOFOBI SONO MOLTO FORTI?

Immaginare un mondo post-crescita, non della decrescita ma di uno sviluppo equilibrato che sia a misura umana: questa è la sfida odierna, rispetto a cui i movimenti xenofobi, sovranisti e neo-nazionalisti costituiscono il segno di una possibile regressione culturale e il pericolo di una de-civilizzazione e de-umanizzazione. Mi verrebbe da dire che il dilemma di fronte a cui siamo è: convivialismo o barbarie.

TRA LE PROPOSTE AVANZATE C’È QUELLA DI DEGLOBALIZZARE L’ECONOMIA! COME RIUSCIRE IN QUESTA IMPRESA?

Ci sono due tipi di de-globalizzazione. Il primo è quella sognata da coloro che rispondono alla crisi degli Stati nazionali chiudendo le frontiere e ripiegandosi su sé stessi a difesa di una presunta purezza culturale, etnica, religiosa, ecc. È la febbre dei cosiddetti sovranisti, che oggi rischia di frantumare l’Europa: paradossalmente, essi vogliono una società di mercato aperta alla circolazione dei capitali e delle merci, ma chiusa al libero ingresso delle persone, delle idee e delle culture.

Il secondo tipo di de-globalizzazione, di cui, invece, avremmo bisogno è quella di cui parla Edgar Morin nel suo recente libro Cambiare strada: poiché la globalizzazione come interdipendenza planetaria concernente tutte le dimensioni della convivenza sul pianeta (economica, sociale, politica, ambientale, ecc.) è un punto di non ritorno, tuttavia è diventato urgente salvaguardare terre, territori, nazioni, popoli che sono minacciati nel loro spazio vitale, e ciò richiede specifiche politiche sia mondiali che dei singoli Stati. Qui il principio di comune umanità e quello di comune naturalità si intrecciano e si sovrappongono, ma purtroppo non trovano ancora un versante istituzionale adeguato: l’Onu, l’UE, ecc. non sono all’altezza di queste sfide. Perciò, la mobilitazione della società civile mondiale e delle sue espressioni locali si rivela sempre più necessaria per tenere desta l’attenzione e alimentare la discussione su queste problematiche.

UN PROGRAMMA COSI’ VASTO DI IDEE RICHIEDE UN IMPEGNO ENORME. COME DARE GAMBE ROBUSTE A TALE AMBIZIOSO DISEGNO? VOLETE CREARE UN NUOVO PARTITO TRANSNAZIONALE!

Credo che sarebbe velleitario fondare un partito del convivialismo. La speranza è che le idee-valori del Manifesto convivialista vengano “dirottate” (p. 108), cioè fatte proprie e tradotte in enunciati programmatici da parte delle forze politiche democratiche. Attualmente si sta lavorando ad un progetto di Parlamento cittadino mondiale, che è stato presentato ufficialmente il 5 dicembre scorso, e che coinvolge associazioni e forum sparsi in tutto il mondo.

AVETE ELABORATO IL SECONDO MANIFESTO DEL CONVIVIALISMO POCO PRIMA DELLO SCOPPIO DELLA PANDEMIA, QUEST’ULTIMA VI HA PORTATO A NUOVE RIFLESSIONI?

La situazione creata dalla pandemia ha confermato tutte le analisi e le previsioni formulate dai convivialisti. In particolare, stiamo imparando che le frontiere della pandemia non sono quelle degli Stati, ma quelle dei corpi (e della pelle): sono i corpi che formano delle reti (emblematico è il concetto epidemiologico di “cluster”) e che vivono in con-tatto reciproco. Stiamo scoprendo, a poco a poco, al contempo il principio di comune naturalità e il principio di comune umanità: siamo tutti Terrestri, che condividono lo stesso pianeta come casa comune, al di là delle differenze geografiche, razziali, culturali, religiose, ecc. Senza dubbio, le diseguaglianze di ricchezza, di reddito, di istruzione, ecc. con la pandemia si sono acutizzate, ma sempre più viene alla luce il fatto che esse sono il prodotto di politiche sociali dissennate. Inoltre, forse per la prima volta stiamo prendendo coscienza che il presente in cui viviamo ha assunto la forma della mancanza del mondo di ieri. Di qui la paura che niente possa essere come prima: sulla paura si possono innestare le strategie del “capro espiatorio”, ossia la ricerca di individui/gruppi umani/minoranze culturali che si ritiene vadano sacrificati perché ritenuti responsabili dei disastri sociali in atto. Trump è stato l’esempio più eloquente di questa fobia securitaria e il trumpismo è destinato a conoscere altre varianti e metamorfosi nella crisi del capitalismo globale.

L’ULTIMA ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO, FRATELLI TUTTI TOCCA TEMI AFFRONTATI DAL VOSTRO MANIFESTO. COME LA CONSIDERA?

Insieme con l’altra, “Laudato si”‘, la ritengo il punto più alto del pensiero religioso, morale e politico contemporaneo. Una sorta di bussola nel mare tempestoso della globalizzazione. Non a caso papa Francesco usa la metafora nautica – “Siamo tutti sulla stessa barca” e “ci potremo salvare solo tutti insieme” Ma è l’idea della “fragilità” e della “vulnerabilità”, che in “Fratelli tutti” fa il paio con il concetto dell’enciclica precedente di finitezza della Natura, che non va depredata e sfigurata come non va sfruttato l’essere umano a fini di profitto, è questa idea che, secondo me, è il messaggio spiritualmente più profondo di papa Francesco. Mi piace ricordare che il Secondo Manifesto convivialísta fa proprio l’appello del papa al dialogo interreligioso e si riferisce al Documento sulla Fratellanza umana. Per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, sottoscritto il 4 febbraio 2019 da papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, come a un passo decisivo sulla via del riconoscimento reciproco e della convivenza pacifica tra le diverse tradizioni religiose.

COME RICORDA NELL’INTRODUZIONE AL MANIFESTO, CINQUANT’ANNI FA JOHN LENNON COMPONE LA SUA CELEBRE IMAGINE; IN QUEGLI STESSI ANNI RAOUL FOLLEREU RIPETE “NON ESISTONO SOGNI TROPPO GRANDI”. CHE COSA HA PREVALSO, NELLA STESURA DEL MANIFESTO, IL SOGNO DI UN MONDO DIVERSO O LA RAZIONALITÀ DELL’ANALISI?

Confesso che ogni volta che ascolto Imagine di John Lennon provo un’emozione profonda, ripenso a quegli armi in cui giovane universitario vivevo il “sogno di una cosa”, un’utopia che ci sembrava a portata di mano, lì dietro l’angolo. La denuncia di Raoul Follereau che viviamo ancora in un “mondo inimmaginabile di orrori, di dolore e di disperazione” è più attuale che mai: la lebbra è solo un nome che racchiude tutti i mali del secolo. Da lui dovremmo imparare a essere umani, terrestri, corpi e anime che soffrono e lottano per una convivenza ordinata e felice.