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Nella terra nuda come il santo di Assisi

di Corrado Augias in “la Repubblica” del 26 aprile 2025

Oggi Jorge Bergoglio, papa Francesco, scende nella nuda terra. Anche l’altro Francesco, quello di Assisi, aveva espresso uguale desiderio e così era stato fatto alla sua morte. Forse non si è riflettuto abbastanza sul significato rivoluzionario che la scelta del nome Francesco ha rappresentato fin da quando il gesuita Bergoglio lo scelse – era la prima volta nella lunga storia del papato – per il suo pontificato.
Prima d’esser fatto santo, Francesco d’Assisi aveva rischiato l’accusa d’eresia, aveva dovuto aspettare una dozzina d’anni perché la regola del suo ordine, i frati minori, venisse finalmente approvata da papa Onorio III con tanto di bolla pontificale (oggi negli archivi) dopo una prima approvazione verbale e data solo a metà da parte di un altro papa, Innocenzo III. I canoni del nuovo ordine erano la fraternità e la comunione, la preghiera e la vita evangelica, il lavoro e la povertà. Francesco d’Assisi insisteva sul servizio concreto da dare nel mondo come la cura dei lebbrosi e il sostegno ai poveri.
Se si conoscono questi principi si vede quanto vicina sia l’azione di Bergoglio a queste regole francescane, si capisce meglio il peso, l’importanza della scelta del nome Francesco, si vede anche quanto superficiale, per non dire ridicola, sia l’accusa che alcuni esponenti, soprattutto negli Stati Uniti, gli hanno rivolto di essere un “comunista”. Mi chiedo se quelle persone abbiano mai letto una riga dei vangeli, se conoscano anche solo per sentito dire la lotta durata secoli sviluppata nel seno della Chiesa cattolica tra le tentazioni temporali e una vocazione spirituale spesso dimenticata.
Se la scena evangelica della cacciata dei mercanti dal tempio ha un senso, è proprio questo, il recupero di una spiritualità che il commercio di animali per i sacrifici e il lavoro dei cambiavalute con i loro banchetti, sistemati sotto il grande porticato del tempio, mettevano ogni giorno a repentaglio. Erano funzioni entrambe necessarie al funzionamento del tempio, se bisognava sacrificare degli animali era necessario che qualcuno li vendesse; tuttavia, con una furia al limite della sedizione, Gesù volle ribadire il principio che la preghiera e l’esempio vengono prima d’ogni altra cosa e che lo spirito ha diritti inalienabili e prevalenti. Interessante notare, tra l’altro, che dei quattro vangeli canonici, uno, quello di Giovanni, colloca l’episodio all’inizio dell’attività pubblica di Gesù. Gli altri tre (Marco, Luca, Matteo) alla fine, facendone così la causa del suo arresto, del processo, della condanna.
I modi spicci, le frasi irrituali, la disinvoltura dei gesti, la povertà dell’abbigliamento, hanno qualche volta fatto scambiare l’opera, la personalità di papa Bergoglio per quella di un parroco di paese. Anche Francesco d’Assisi aveva scelto come abito un saccone e come cintura una corda. In realtà l’umiltà e il sorriso di Bergoglio, il suo scendere tra la gente fino all’ultimo respiro, lavare i piedi ai derelitti, indossare un paio di scarpe nere scalcagnate, una veste con i polsini sfilacciati, erano potenti segnali della sfida che stava portando agli agi e ai lussi, agli attici, alle catene dorate di tanti eminenti porporati e uomini di curia. Si è detto che papa Bergoglio è piaciuto più ai laici e ai non credenti che a gran parte dei cattolici, è vero, anche se solo parzialmente. Francesco è piaciuto molto anche a buona parte del mondo cattolico anche se è sicuramente piaciuto a molti laici, tra i quali mi colloco. Basta pensare al suo intenso dialogo con atei dichiarati come Eugenio Scalfari o come lo scrittore spagnolo Javier Cercas. È piaciuto lo sguardo limpido con cui si è rivolto ai suoi interlocutori, certe sue iniziative “scandalose”, perfino eccessive. Ma c’è mai stato qualcosa di più eccessivo del gesto dell’altro Francesco che si spoglia nudo sulla piazza di Assisi per dire: non sono più il figlio del mercante, oggi per la seconda volta sono venuto al mondo, nudo come alla nascita.
È piaciuto papa Francesco quando ha rivalutato l’aspetto spirituale e misericordioso della funzione pontificia astenendosi da ogni ingerenza direttamente politica di cui alcuni suoi predecessori avevano invece abusato. Francesco d’Assisi, guardato con sospetto dalle gerarchie del tempo proprio come Bergoglio, non era tuttavia un isolato. In quel giro di anni s’erano diffuse all’interno
del cattolicesimo alcune correnti monastiche i cui membri si obbligavano, tra le altre costrizioni, a un voto di assoluta povertà sia individuale sia delle comunità. Catari e valdesi, per esempio, scandalizzati dal lusso ostentato delle alte gerarchie e del papato, rifiutavano di possedere alcunché; le loro minime necessità dovevano essere soddisfatte dall’elemosina e dal lavoro manuale. Nel cenobio tutto era in comune, cibo, servizi, mensa, ore della preghiera, del lavoro, del riposo. Un comunismo totale dettato non da un’ideologia politica ma dalla fede. Un comunismo non imposto ma scelto, dal quale era possibile recedere in ogni momento. Esortazioni all’austerità ufficialmente giudicate ereticali, che nello stesso tempo però preoccupavano la Chiesa data la loro diffusione e l’ampio favore popolare di cui godevano. Questo spiega anche perché Francesco d’Assisi, la cui predicazione non era certo meno inquietante, non sia stato punito. Il calcolo delle convenienze consigliava prudenza nei suoi confronti, lui stesso era attento a non superare la soglia critica d’una possibile rottura dimostrandosi tutt’altro che “pazzo”, bensì un tattico sagace.
Anche papa Bergoglio ha dovuto seguire una tattica accorta; tante sue affermazioni della prima ora sono state abbandonate silenziosamente, a tanti passi in avanti sono seguiti lunghi silenzi o un tacito abbandono. Riformare una struttura gigantesca come la chiesa è un’impresa immane, ancora più lo è quando la regalità pontificia è ormai messa in discussione dal dissenso di tante diocesi che non è più possibile reprimere come una volta con la sola autorità di un messaggio lanciato dal soglio di Pietro. Bernardo, primo discepolo dell’altro Francesco, dette un giorno una risposta illuminante a un uomo generoso che voleva offrigli delle monete. «È vero che siamo poveri, disse, ma per noi la povertà non è un peso come per altri indigenti, ci siamo fatti poveri per nostra libera scelta». È il centro della visione francescana: la volontarietà del sacrificio, una vita solo esteriormente misera, ricca però in termini di meditazione, preghiera, azione concreta verso gli esclusi, verso gli ultimi della terra. Questa dedizione totale nel mondo occidentale è scomparsa o diventata invisibile; dove e quando esista è relegata in piccoli cenacoli socialmente poco influenti. S’è attenuata in altre parole la forza esemplare di certe vite. In quale misura ciò sia avvenuto, quali possibilità di sopravvivenza rimangano, lo capiremo meglio tra qualche giorno con gli esiti di un conclave mai come questa volta decisivo per il futuro non solo della Chiesa.