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Un amore avvolgente

La fratellanza come principio di nonviolenza. Una società civile e pacifica non ha posto per guerre e populismi di alcun tipo.

di Adnane Mokrani, Teologo islamico, professore di studi islamici e di relazioni islamo-cristiane presso la Pontificia Università Gregoriana — Roma, in Mosaico di pace di Marzo 2021

L’enciclica Fratelli tutti con­ferma e approfondisce il do­cumento sulla Fratellanza umana, firmato dal Papa e il Grande Imam Ahmed al­Tayyeb, e lo supera in alcuni punti. I punti comuni tra i due testi sono tanti, tra cui l’importanza della piena cittadinanza; la rinuncia all’uso discriminatorio del termine “minoranza”, af finché tutti siano cittadini uguali davanti alla legge e allo Stato; la condanna ca­tegorica della guerra e del terrorismo, con l’attribu­zione alle religioni di una missione di pace e di non-violenza, essendo esse, per definizione e per vocazione, “al servizio della fraternità nel mondo”, o almeno tali dovrebbero essere.

NESSUNA GUERRA

Tra i punti in cui il Papa è andato oltre il documento islamo-cristiano, raggiun­gendo un livello più radicale nelle sue affermazioni, vi è il superamento della teoria della guerra giusta: “Oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta” (Fratelli tutti, 258). La guer­ra è vista come “negazione di tutti i diritti” (Ft, 257) e come “fallimento della po­litica” (Ft, 261) e non può essere che ingiusta.

Non vi è spazio per giustifica­re la violenza nel nome della politica o della religione. Il Papa accenna allo sviluppo tecnologico che ha reso la guerra più nuda, le bombe dette intelligenti non riesco­no più a evitare quelli che in gergo bellico si chiamano danni collaterali, nient’altro che esseri umani e vittime civili. La guerra a costo zero a livello di vite umane non esiste.

Per arrivare a un tale livello di nonviolenza radicale in modo concreto, e non solo come ideale, bisogna attivare il ruolo delle Na­zioni Unite, riformandone l’organizzazione e aiutan­dola a imporre “la forza del diritto”, anziché il “dirit­to della forza” (Ft, 174). Solo così sarà possibile ab­bandonare la logica della giungla e sostituirla con la fratellanza come etica delle relazioni internazionali. Il fallimento dell’Onu, dove trovano spazio iniziative unilaterali e fuori legge, è ormai ovvio.

POPULISMI

Il terrorismo, ripetutamente condannato, non è l’unica forma di violenza politica: l’enciclica sottolinea forte­mente i rischi del populismo, che “mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni setto­ri della popolazione” (Ft, 159). L’egoismo è l’origine del male, l’unico rimedio è di “uscire da se stessi per trovare negli altri un ac­crescimento di essere” (Ft, 88). Voler concretamente il bene all’altro si traduce politicamente nel servizio del popolo e nella dedica al bene comune. Il ruolo più importante della religione nel campo politico e sociale è proprio educare una co­scienza critica e profetica, un’anima libera dall’egoi­smo che ama tutte e tutti senza discriminazioni, ser­vendo il prossimo.

Il Papa, puntando il dito con­tro l’egoismo come causa profonda del populismo, pro­pone un rimedio spirituale che fa parte della missione stessa della religione. La re­ligione nella sua radice è un rimedio spirituale all’egoi­smo. individuale e colletti­vo: ciò si realizza quando la religione è consapevole della sua missione pedagogica e umanizzante.

Quello che conta veramente, come dice il filosofo iraniano Ramin Jahanbegloo, non è tanto il fatto di credere, ma piuttosto cosa ognuno di noi fa del suo credo, come lo usa nel bene o nel male, come strumento di pace oppure come arma di guerra. Come dice il Papa, il poverello di Assisi “non faceva guerra dialettica imponendo dottri­ne, ma comunicava l’amore di Dio” (Ft, 4). Le dottrine non servono ad altro che a seminare l’amore. Quando diventano arma di esclusione, significa che ormai sono vuote, sono lettera morta. I partiti politici non bastano a creare una società pacifi­ca, anzi talvolta sono essi stessi causa di violenza. Il Papa parla del ruolo della società civile, i cosiddetti “movimenti popolari”: veri “poeti sociali” e “torrenti di energia morale” (Ft, 169), essi devono essere coinvolti nella partecipazione sociale, politica ed economica, pre­vio però un maggior coor­dinamento. In tal modo si potrà passare da una politica “verso” i poveri a una poli­tica “con” e “dei” poveri. Il Papa parla anche dell’indi­pendenza della giustizia, che rappresenta un pilastro della democrazia e della pace so­ciale: una giustizia corrotta suscita la violenza.

OLTRE LE SBARRE

A proposito di uno sradica-mento della violenza dalla società, il Papa tratta un altro tema sensibile, quello del sistema penitenziario, che colpisce spesso i poveri. Il Papa ribadisce la condanna della pena capitale, ma va oltre per discutere la validità e il senso dell’ergastolo, visto come “una pena di morte nascosta” (Ft, 268), e in tal modo tocca la questione del fallimento del sistema carcerario, laddove “certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti” (Ft, 18). Il carcere, così, perde il suo potenziale come spazio educativo di ripensamento. e anzi spesso è un luogo di violenza e di radicalizzato­ne, poiché quella sete di Dio che nasce dalla crisi e dalla solitudine non trova l’ac­compagnamento necessario per essere trasformata in una vera opportunità di conver­sione autentica, e non in una fuga o in una dissimulazione religiosa.

In sintesi, l’enciclica e il documento della Fratellanza umana ci mostrano che la fratellanza è la condizione di una vera pace e di un’auten­tica riconciliazione. È quel che esprime chiaramente il Corano, quando affer­ma: “I credenti sono fratelli. Mettete pace tra i vostri due fratelli e temete Dio affinché Dio abbia misericordia di voi” (49, 10). In questo versetto, troviamo tre elementi com­plementari: fede – fratellan­za – pace. La fratellanza è il frutto della fede in Dio, o almeno nell’essere umano e nella sua dignità (in cui Dio stesso crede), e questa stessa fratellanza ci chiama a mettere pace tra i fratelli. Nell’originale arabo si usa la forma del duale, “i vostri due fratelli”, che potrebbe essere un’allusione al primo fratricidio, quello di Abele da parte di Caino. Si tratta di un richiamo a intervenire prima che si ripeta il dram­ma: in quel momento scende dal Cielo una pioggia divina di misericordia, un amore avvolge il mondo: tutti sono veramente fratelli.