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Avendo amato i suoi, li amò fino alla fine (Gv. 13,1-15)

Meditazione di DON CARLO MOLARI
Parrocchia s. Maria De Pazzi

Chissà che cosa compresero della lavanda dei piedi, gli apostoli e gli altri che erano presenti! Ciascuno certamente lo comprese secondo il proprio coinvolgimento, secondo le proprie disposizioni, che non erano in sintonia con quelle di Gesù: c’era ancora molta distanza tra ciò che Gesù stava vivendo e gli atteggiamenti interiori dei discepoli, degli apostoli e delle altre persone presenti. Forse le donne che l’avevano seguito dalla Galilea – e Maria, la Madre – erano quelle più disponibili a cogliere il significato dei gesti simbolici di Gesù, perché erano penetrate più in profondità nella prospettiva del regno che Gesù aveva scelto, nel messianismo che stava vivendo. Il Vangelo però, non ci dice nulla degli atteggiamenti positivi, ne conosciamo solo alcuni negativi, per esempio quello di Giuda, che aveva già deciso di tradire il Signore e di Pietro che sembra opporre resistenze.Noi spesso pensiamo che il problema sia il peccato, che sia il male mentre il problema non è il peccato, il problema è la distanza reale dalla prospettiva di Gesù. E questa distanza non è sempre e solo frutto del peccato, ma anche e soprattutto della nostra condizione di creature ancora in processo, non compiute nella loro perfezione.Può anche darsi che Giuda non abbia commesso peccato a tradire Gesù. Considerate infatti la sua prospettiva: se aveva seguito Gesù per l’ideale del regno di Davide, per la volontà di allontanare i Romani, di ristabilire la libertà della nazione; se questa prospettiva l’aveva maturata proprio nell’entusiasmo della predicazione di Gesù, dei segni del regno che si avvicinava, quando ad un certo momento s’è accorto che Gesù stava deviando da questa direzione, che era disposto ad affrontare la morte, a vedere anche il fallimento della sua impresa per restare fedele a quella dottrina “strana” che andava predicando – dell’amore che vince l’odio, del perdono, della misericordia – quando s’è accorto di questo, Giuda s’è sentito in dovere di coscienza di eliminare un utopista pericoloso che conduceva fuori strada dalla volontà di Dio.Anche Caifa, quando diceva che era necessario difendere il luogo santo che altrimenti sarebbe stato profanato dai Romani e che questi avrebbero distrutto la nazione, per cui era necessario eliminare Gesù, voi pensate che non avesse la volontà di perseguire il bene e la giustizia?Certamente alle scelte di Giuda e di Caifa soggiaceva una infedeltà, ma come individuarla? In quale punto del loro cammino? A quali radici remote poteva essere ricondotta? Quando ci si trova in situazioni ambigue è molto difficile discernere bene le scelte da compiere.Non dobbiamo quindi solo sottolineare il peccato, dobbiamo renderci conto del male presente alla radice che inquina le nostre scelte. Non siamo compiuti, siamo in processo: dobbiamo ogni giorno individuare il bene che ci è chiesto, il passo ulteriore da compiere. Ogni giorno, perchè il giorno precedente non eravamo in grado di discernerlo; e ciò che avevamo fatto il giorno prima appare insufficiente e inadeguato.Pietro era entusiasta, non voleva sottomettersi alla lavanda dei piedi di cui non capiva bene il significato. La lavanda dei piedi era il gesto dell’accoglienza, la prima cortesia per un ospite. Questo si capiva bene: Pietro però credeva che non fosse un gesto degno di Gesù, visto che era riservato ai servi. Gesù però dava un significato molto più profondo al gesto che stava compiendo. Sembrava rispetto, quello di Pietro, ma era un rispetto inquinato, che poco tempo dopo l’avrebbe condotto ad affermare: “Io non l’ho mai conosciuto”. Che rispetto è, se poi di fronte alla necessità di coinvolgersi nella stessa avventura ignominiosa del Maestro Pietro è disposto a dire: “Non l’ho mai conosciuto”?
Oppure credete che quando Pietro diceva: “No, non mi laverai mai i piedi” non fosse sincero? Quando affermava: “Allora lavami tutto, se è la condizione per entrare nel regno”, era certamente sincero. Però non è sufficiente la nostra sincerità per vivere nella verità, perché non siamo totalmente veri, non siamo ancora compiutamente umani: ogni nostro pensiero ha un elemento di errore, ogni nostro gesto di amore è inquinato.
Comprendiamo allora perché il gesto della lavanda dei piedi quella sera non poteva essere capito compiutamente. E’ rimasto nella memoria ecclesiale come simbolo e mistero da risolvere. Nella storia quel gesto è stato capito in modo sempre più ricco e profondo suscitando iniziative, decisioni, correnti di solidarietà, forme straordinarie di condivisione e di fraternità.Il suo significato non è ancora esaurito, perché ci sono forme di condivisione, di fraternità, di servizio reciproco, che ancora non sono state inventate e che la storia ci sta ora sollecitando. Per questo la memoria evocata dalla liturgia non è semplicemente il ricordo di un evento importante o significativo del passato, ma è un interrogativo che ancora si rinnova e che richiede risposte inedite.

Il silenzio che deve avvolgere le liturgie di questi giorni è l’attesa di risposte che gli anni o i secoli scorsi non potevano essere formulate, ma che ora urgono, perché la storia avanza.Sarebbe certamente insufficiente la memoria di questa sera se fosse solo ricordo, pur entusiasta e gioioso, quando Gesù lasciò ai suoi un repertorio di simboli da approfondire, rivivere e interrogare lungo i secoli.
Non è solo il ricordo, è la continuazione di questo interrogativo, per cercare le risposte che oggi ci sono necessarie per continuare a vivere.Facciamo perciò del silenzio e della preghiera di questi giorni il grembo fecondo in cui nasce una vita nuova. La Pasqua allora introdurrà le invenzioni di solidarietà, di fraternità, di condivisione, di misericordia, che oggi gli uomini debbono creare e diffondere perché la storia umana sulla terra possa continuare.