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Domenica di Pasqua – messa del mattino – 1996

da “In ascolto – Omelie” di Angelo Casati

Ab 1, 1-8; 1 Cor 15, 3-lOa; Gv 20, 11-18

Il suo nome tra quelli delle donne che contemplano da lontano il Signore sulla croce.

E lei, Maria di Magdala, presente anche qui, accanto al sepolcro. Il suo doveva essere un amore incontenibile, incontenibile e intenso per quel Signore che l’aveva guarita.

L’informazione è nel Vangelo di Luca: Luca ci informa che Maria di Magdala era stata posseduta da sette spiriti e Gesù l’aveva guarita.

Sette spiriti come a dire un groviglio di forze che la laceravano dentro in una sorta di schizofrenia, forze che avevano l’effetto di non lasciarla in mano a se stessa, posseduta da altri! e sembrava una coalizione! un mondo coalizzato contro di lei!

Da quel buio il Signore Gesù l’aveva liberata; era finalmente in mano a se stessa. Ebbene, proprio in quel buio ancora a Maria sembra di precipitare. Giovanni dice che la donna di Magdala va al sepolcro quando ancora era buio. Forse Maria è simbolo di tutti noi nella nostra sensazione di essere stati nella vita – poco o tanto – in balia di altri, in una vita decisa da altri e non in mano nostra: etero­ diretti, e non guidati da noi stessi.

È Gesù che ti restituisce a libertà perché la fede quando è vera ti restituisce a libertà, fuori da qualsiasi condizionamento, fosse anche religioso o ecclesiastico. Ma la libertà che hai raggiunto non è al riparo dai dubbi e dalle oscurità del cammino: soprattutto quando sperimenti il fallimento, e noi tutti lo sperimentiamo. E se non lo sperimentiamo rischiamo di essere disumani, diventiamo rigidi e spenti cultori delle leggi come annota una scrittrice: «Uno degli scandali peggiori che le comunità cristiane possono offrire al mondo è il fenomeno di persone che, dopo una meticolosa fedeltà a tutta una vita di osservanze religiose, falliscono manifestamente nell’impresa di diventare umane: …sono acide e spietate; sembra proprio che il tipo di vita che conducono, invece di addolcirle, le abbia rese meschine, rigide, di vedute ristrette, dalla lingua tagliente, dure con la gente, incapaci di amare e lente a perdonare» (Mary Boulding).

Dicevo di Maria di Magdala, così lontana da queste maschere religiose, perché ha conosciuto in sé l’ombra della sofferenza, e ora conosce l’ora dell’abbandono del cuore. Non dell’abbandono del Signore, perché nel cuore rimarrà. Ma è come un Signore morto. La sua vita sta per essere interpretata come un andare ogni giorno al sepolcro, a un sepolcro chiuso; una vita ridotta a servizio funebre.

Ma la pietra rotolata via e la tomba vuota di colpo cancellano questa prospettiva, che regge finché la tomba è chiusa. Se è aperta, che senso ha ogni pellegrinaggio alla tomba?

E lo smarrimento in un certo senso è ancora più grande: viene meno uno schema. E nascono le domande.

Quante domande nascono anche in noi, quando cadono tanti schemi interpretativi, quando ci è difficile capire il perché di ciò che accade, soprattutto il perché del male, del fallimento e del buio – del buio che ci portiamo dentro -.

E anche le lacrime, il pianto, finiscono per fare velo. Non permettono a Maria di vedere il Signore. Anche questa una esperienza che a volte viviamo: abbiamo il bene – come Maria – davanti agli occhi e non lo riconosciamo. Ed è a portata di mano. Il Signore a portata di mano.

E Gesù chiama per nome. Anche questo è bellissimo perché, se non scende a questa profondità, – da persona a persona – il messaggio della Risurrezione diventa solo declamatorio.

Come vorrei che nel silenzio noi tutti questa mattina ci sentissimo chiamati per nome, col nostro nome, dal Signore Gesù, dal Signore Risorto, con la possibilità per noi di chiamarlo. Anche se – questo va subito detto – l’esperienza della fede sfugge a ogni tentativo di possesso: ”non mi trattenere” dice Gesù. Come a dire che qualcosa di lui, qualcosa della sua vita, qualcosa della nostra vita sempre ci sfuggirà.

Ma questo non impedisce l’andare, l’andare con questa certezza in cuore. ”Non mi trattenere, va’ dai miei fratelli … “.

La Pasqua è questo andare, questo ritornare ai luoghi della nostra ferialità, il luogo dell’incontro; non possiamo trattenere il Signore, né possiamo trattenerci più di tanto nelle chiese.

Va’ con questa certezza ne cuore, va’ a sostenere la speranza, quella speranza che oggi è messa così duramente a prova – nel nostro cuore e nel cuore degli altri -.

Va’ a sostenere la speranza.