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L’analogia della vigna: Dio dimora dentro, non fuori

da “Il quarto Vangelo – Racconti di un mistico ebreo” di John S. Spong

Proseguendo con i Discorsi di addio, è chiaro che l’autore sta mettendo in discussione lo schema dell’espiazio­ne nel quale la storia di Gesù aveva cominciato a essere inquadrata ai suoi tempi. L’assunto alla base di quella concezione era che esistesse una divisione profonda e significativa tra l’ambito celeste e quello umano. Il giu­daismo non aveva ancora una visione completamente dualistica, ma a quell’epoca la gente credeva che i due ambiti fossero connessi solo su iniziativa divina. Dio dal cielo comandò a Noè di costruire l’arca che avrebbe sal­vato l’umanità dal diluvio. Dio chiese dal cielo ad Abramo di lasciare Ur dei Caldei per formare un nuovo popolo (Gn 12,1-9). Dio ordinò dal cielo a Mosè presso il roveto ardente di divenire il liberatore del popolo eletto di Dio (Es 3,1-22). In un’occasione (Es 33,17-22), Mosè tentò di invertire l’ordine dell’iniziativa divina chiedendo di essere autorizzato ad avere una visione diretta di Dio. La richiesta fu respinta. Quando però Mosè continuò a insistere, Dio fece un compromesso. Mosè avrebbe potuto vedere Dio, ma solo le sue spalle mentre Dio scompa­riva dietro una rupe. Secondo la mia interpretazione, questo indica che agli esseri umani è concesso solo di vedere il passato e di scoprire dove Dio è stato, ma non di vede­ re il futuro o dove Dio sta andando. Questo Dio esterno chiamò i profeti a proferire la parola divina in momenti critici della storia ebraica (Js 6,1-5; Ger 1,4- 10; Ez 1,1-3; Os 1,1-5). I testi biblici più antichi sono chiari: non è pre­rogativa della vita umana discernere la realtà di Dio eccet­to quando questa realtà è rivelata da Dio. Dio potrebbe venire sulla terra, ma nessuna vita umana potrebbe innal­zarsi a Dio.
Inevitabilmente, quando la storia di Gesù cominciò ad assumere la sua forma mitologica, questo modello ne costituì la base. Si diceva che Dio avesse rivelato la natu­ra divina nella persona di Gesù che era venuto sulla terra. Con la diffusione del cristianesimo nel mondo pagano­ greco, il dualismo influenzò sempre di più la narrazione della storia di Gesù. Una volta assunta l’idea dell’«invasione» divina, i credenti dovettero scoprire un motivo che giustificasse la venuta di Dio nella storia umana in modo personale. La soluzione fu, come ho mostrato nel capito­ lo precedente, la necessità di salvare gli esseri umani dai loro peccati , che li avevano separati da Dio. Il modello prese subito una forma molto particolare. Quanto più depravata veniva rappresentata la vita umana dai capi della cristianità, tanto più grande era la grazia e il dono della salvezza portata da Dio.
Questo modello emergente dovette spiegare poi come Dio avesse potuto entrare nella vita di Gesù e compiere così questo atto salvifico. Come si erano uniti il cielo e la terra? Varie interpretazioni di come ciò fosse avvenuto sono presenti nello stesso Nuovo Testamento, alcune piuttosto sorprendenti alla luce delle interpretazioni teologi­ che posteriori. Prima di tutto, c’era la proclamazione di ciò che i seguaci di Gesù credevano fosse un’esperienza reale: il Dio santo era stato incontrato nel Gesù umano. La prima affermazione che Paolo fece a proposito di questa esperienza fu un semplice enunciato: «Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). Quando, qualche anno dopo, Paolo cercò di spiegare come Dio e il Gesù umano si fossero uniti, suggerì che Dio avesse «designato» Gesù a essere il figlio di Dio con potenza, secondo lo spirito di santità, «in virtù della risur­rezione dei morti» (Rm 1,1-4). Questa affermazione sug­geriva che Dio avesse adottato Gesù nella divinità al tempo della risurrezione, una posizione che nella storia successiva della chiesa fu rigettata come eresia e che fu chiamata adozionismo.
All’inizio dell’ottavo decennio dell’era volgare si svi­luppò un’altra interpretazione quando Marco, che scrive intorno al 72 a.C., ritrasse Gesù come un uomo adulto totalmente umano fino al momento in cui fu battezzato. Quando emerse dall’acqua, scrive Marco, subito «vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (Mc 1,9-11). Gesù era, secondo Marco, un essere umano che con il battesimo era stato, per così dire, «infuso di divino». Il passaggio successivo nello sviluppo di questo model­lo venne con il Vangelo di Matteo, scritto nella prima metà degli anni 80, e quello di Luca, scritto alla fine degli anni 80 e forse perfino all’inizio degli anni 90. Elaborando la tesi originale di Marco, in questi due Vangeli lo Spirito Santo non era la presenza di Dio discesa su di lui dal cielo all’occasione del battesimo, ma divenne il padre o, se si vuole, l’agente maschile nel suo concepimento biologico. Questi Vangeli sostennero che il divino e l’umano si erano uniti in Gesù non a un certo punto della sua vita, ma al momento stesso della sua concezione. È questo il contesto in cui la storia della nascita da una vergine entrò nella tra­ dizione cristiana, una storia di cui , secondo me, né Paolo né Marco avevano mai sentito parlare e che tutti e due avrebbero considerato inconcepibile!
Una volta consolidata, in questa tradizione in conti­nua crescita, l’idea dell’invasione divina attraverso Gesù, la storia della croce fu progressivamente presentata come il momento finale in cui la presenza di Dio in Gesù assunse su di sé il dolore e superò il male che era consi­derato la realtà della vita umana dopo la «caduta». Il retroterra dell’idea di «sacrificio per il peccato» per supe­rare il male umano era molto primitivo. Si fondava sul concetto di sacrificio animale. Agli inizi della storia umana, gli animali venivano offerti come atto votivo verso una divinità irata, per placarla e con la speranza di evitare punizioni.
In modo simile, la croce fu concepita dai cristiani come il luogo dove fu pagato il prezzo del peccato umano, saldato il conto morale, distrutto il potere della morte e inaugurato un nuovo rapporto con Dio.
Tuttavia la morte di Gesù non aveva portato la fine della storia che ci si aspettava, né aveva inaugurato il regno di Dio sulla terra. I primi cristiani nascosero la loro delusione espandendo il loro quadro interpretativo mito­ logico in evoluzione fino ad includere l’idea della seconda venuta di Gesù. I primi cristiani cominciarono così a considerare la loro vita come contenuta tra la prima venuta di Gesù, culminata nella crocifissione, e la seconda venuta, che erano intenti ad anticipare. Per questo motivo cominciarono a pregare per quella seconda venuta con le parole adesso ben note che attribuirono a Gesù: «Venga il tuo regno». E nella frase successiva descrissero come il regno sarebbe stato: «Sia fatta la tua volontà sulla terra così come in cielo».
Col passare degli anni, però, la seconda venuta di Gesù non si materializzò. I seguaci di Gesù, che si erano aspettati letteralmente di vedere il ritorno di Cristo dal cielo, cominciarono a morire di vecchiaia, e questo creò il problema che Paolo affronta nella Prima lettera ai Tessalonicesi, scritta all’inizio degli anni 50. In seguito, Luca suggerì che forse la seconda venuta che stavano aspettando non era l’instaurazione del regno di Dio, ma la nascita della chiesa, che doveva precedere la seconda venuta. Fu così che, nel secondo volume degli scritti di Luca, conosciuti come gli Atti, questo autore descrisse come il movimento dei seguaci di Gesù , che era comin­ciato in Galilea, si spostò prima a Gerusalemme, il centro del mondo ebraico, e poi a Roma, il centro del mondo conosciuto.
Questi erano gli aspetti della storia di Gesù con i quali l’autore del quarto Vangelo aveva familiarità . Tuttavia Giovanni, in quanto ebreo palestinese ed ebreo mistico, aveva un’idea molto diversa di Dio e così interpretò la presenza di Dio in Gesù in modo molto diverso. Questa differenza sta al centro del prossimo segmento dei Discorsi di addio.

Nella mente di Giovanni, immagini spaziali e tempo­rali sembravano scivolare via dalla figura di Gesù . Sembrava che Gesù vivesse in un mondo più trascenden­te e misterioso. Dio non era un «essere» esterno separato in una lontana dimensione divina. Secondo Giovanni, quando Dio all’inizio della creazione disse «Sia la luce!» (Gn 1,3) – così le Scritture ebraiche descrivevano il pro­ cesso creativo – quelle parole divine emersero da Dio e abbracciarono, come fa la luce, tutto quello che c’era e che c’è. Chi viveva in questa luce, viveva in Dio. Gesù, secondo Giovanni, era il «verbo di Dio» che aveva porta­ to quella luce al mondo.
Si ricordi che nel quarto Vangelo non c’è alcuna storia della nascita di Gesù. Gesù era la vita attraverso la quale e nella quale veniva rivelato Dio. Questo è il motivo per cui Giovanni poteva rappresentare Gesù e Dio come unità. Ed è anche il motivo per cui questo autore poteva mettere più volte il nome di Dio sulla bocca di Gesù. Per Giovanni non c’era una caduta nel peccato e, quindi, non c’era un momento in cui l’umano e il divino erano stati separati, poiché l’uno, letteralmente, permeava l’altro. Dal momento che per Giovanni Dio non era un essere esterno, non c’era divisione tra Dio e la vita, per lo meno non c’era una divisione in senso spaziale, temporale e morale. Perciò Gesù non «morì per i nostri peccati», né fu la vittima punita da Dio per non dover punire i peccatori che se lo meritavano ,.né il sostituto dell’animale sacrifi­ cale. Erano concetti che questo autore non avrebbe potu­to comprendere.
Dio, secondo il misticismo ebraico, era ed è una pre­senza permeante, non un essere esterno. La morte di Gesù, quindi, non era una punizione; non era il prezzo da pagare richiesto dal male. Era piuttosto il momento in cui la gloria di Dio fu finalmente rivelata nella capacità di Gesù di dare la sua vita nell’amore. Il culmine della vita di Gesù sulla croce era per Giovanni la massima rivela­ zione della presenza e del significato di Dio.
Dio era la luce che abbraccia tutti coloro che aprono gli occhi per vedere. Dio era vita, la stessa vita che scor­re attraverso l’universo, ma che arrivò alla coscienza di sé soltanto negli esseri umani, anzi, solo in coloro che erano disposti a correre il rischio di entrare o di nascere in una nuova dimensione di umanità . Dio, per Giovanni, era amore, forza donatrice di vita che avvolge chi è pronto ad accettare la vulnerabilità che l’amore porta sempre con sé. Questo significa che, per Giovanni, Gesù non era qualcu­no che era arrivato, partito e che un giorno sarebbe ritor­nato. Gesù era piuttosto una presenza divina che invitava tutti a entrare in ciò che lui era ed è, a nascere dallo spiri­ to – cioè ad aprirsi a nuove dimensioni di quel che signi­fica essere umani – e a partecipare, così , all’eternità di Dio. Non c’è, insomma, in questo Vangelo l’idea di una seconda venuta della persona di Gesù. Piuttosto c’è un nuovo risveglio alla vita, un risveglio che rende possibile, a chi è nato in quella dimensione spirituale, di portare il significato e il potere di Cristo in ogni generazione. La seconda venuta, quindi, non era altro che la venuta, o forse anche la realizzazione nascente, dello spirito sempre permeante.
Arrivati ai capitoli 15 e 16 dei discorsi, il dialogo a domande e risposte con i vari discepoli lascia il posto a lunghi monologhi di Gesù , ma lo sforzo per far capire questo concetto è sempre presente. Inoltre, c’è un cre­scente senso di urgenza. Il tempo stringe e le parole di Gesù devono essere udite e accolte . Se non sono capite, la tensione in cui stava vivendo la comunità giovannea l’a­vrebbe distrutta . Il significato trasformante dì Gesù è il peso che questa comunità è stata chiamata a portare. Hanno provato grandi dolori e ansie, perciò la loro sopravvivenza dipende dalla loro abilità ad afferrare que­sto nuovo significato di Gesù , di abbracciarlo e dì venire a far parte di una nuova realtà . Giovanni passa adesso a raffigurare quella relazione, sviluppando alcune delle sue immagini più memorabili.
Tra le analogie antiche con le quali i profeti si riferi­vano al popolo d’Israele c’era quella della «vigna di Dio» (/s 5,1- 10; Ger 12,10; Ez 19,10). Giovanni coglie ora que­sta immagine dal suo passato di ebreo e la usa per far capire meglio il suo messaggio di unità mistica. Immaginatevi Dio come un viticoltore, così Giovanni fa cominciare Gesù . Dio vuole che la vita divina scorra nella vite. Così il viticoltore cura la vite e addirittura la pota per aiutarla a portare più frutti. Pensate a me come se fossi quella vite, continua Gesù. Come il popolo d’Israele aveva considerato come sua vocazione essere il popolo messianico attraverso il quale tutte le nazioni del mondo sarebbero state benedette, così voi adesso aprite gli occhi, dice Gesù, per vedermi come il simbolo del nuovo Israele, nel quale e attraverso il quale quella vocazione sì è ora incarnata. Io sono il fulcro di quel fine messianico. Io sono la vita umana nella quale è presente la vita dì Dio. Io sono colui attraverso il quale tutte le nazioni del mondo saranno benedette. Consideratevi come i tralci della vite e vedete come siamo tutti uniti per questo fine divino. Dio scorre in me. Io scorro in voi. La vostra vocazione, come tralci della vite , è di stare attaccati alla vite. Un tralcio non porta frutti se non rimane attaccato alla vite. Non potete realizzare il vostro destino da soli. Se dimorate in me, io abiterò in voi. In questo nostro reciproco dimorare c’è una nuova unità . Se dimorate in me, le mie parole dimoreran­no in voi. Anche voi diventerete «il verbo di Dio incarna­ to» , e in questa nuova creazione Dio sarà di nuovo glori­ ficato. Il Padre mi ama, e io vi amo. L’amore è la presen­za di Dio. Dimorate in questo amore. Nell’amore sfuggi­ te alle barriere difensive dietro le quali gli uomini si ripa­rano per cercare sicurezza . L’amore vi rende vulnerabili al dolore e vi riempie di paura, ma l’amore vi apre anche a nuove dimensioni del vivere, nuovi modi di comprendere la vita. Solo donando la vostra vita nell’amore potrete vivere pienamente. Perciò io sarò vivo nel modo più com­pleto quando sarò crocifisso. Essere capaci di sfuggire all’istinto umano dì sopravvivenza significa sfuggire al proprio egocentrismo. Siamo al massimo in possesso della vita quando siamo liberi di donare la nostra vita nell’amore. È questo il tipo di amore nel quale dovete dimo­rare, e quando lo farete la mia gioia sarà in voi e la vostra gioia sarà piena. Queste parole di Gesù offrono una potente intuizione mistica del senso della vita.
L’amore, continua Gesù, è il segreto per la vita; è per questo che il mio nuovo comandamento per voi è così semplice: dovete amarvi l’un l’altro come io ho amato voi. L’amore più grande s’incontra quando uno è libero di donare la propria vita. Questa è anche la via d’accesso a una nuova coscienza. Passate da questa porta e non sarete più discepoli o seguaci o servi, ma amici. Condivideremo la missione divina di portare vita, una vita abbondante, a tutti.
L’amore di cui parlo, dice Gesù, vi metterà in condi­zione di sopportare odio e abusi. Coloro che vivono nelle tenebre non apprezzeranno mai la vostra volontà di cam­minare nella luce. Vedranno la vostra vita come un giudi­zio sulla loro. Vedranno il vostro amore come un giudizio sulle loro difese e sulla loro insicurezza. Perciò sarete fraintesi. Aspettatevelo. Ogni qualvolta l’uomo fa un passo avanti in una nuova dimensione della coscienza, ci sono persecuzioni da parte di chi non riesce a fare il passo fatto da chi è in testa. Molti non saranno capaci di vedere che quello che voi offrite è la realizzazione delle loro aspettative iscritte nella loro propria legge . Inevitabilmente cercheranno di trasformare la loro vita religiosa in un nuovo sistema di sicurezza.
Adesso siate certi, continua Gesù, che, anche se io vado via, il messaggio che sono venuto a portare non scomparirà. Ho aperto per voi una nuova visione di cosa significhi essere umani. Datele fiducia. Una volta aperta non potrà più essere chiusa. Lo spirito della verità, che procede dal Padre, prenderà il mio posto. Questo spirito, chiamato il Consigliere, mi renderà testimonianza. Lo riconoscerete e lo capirete perché siete stati con me fin dall’inizio. Come io dimoro in Dio, Gesù ripete ancora una volta, così voi dovete dimorare in me .
Quello che Gesù ‘sta descrivendo qui non è la reden­zione di chi è caduto, ma la trasformazione di chi si è aperto. Non c’è e non ci sarà separazione nella nostra unione. Dio fa parte di voi, voi fate parte di Dio. La stessa vita e lo stesso amore che da Dio scorre attraverso la vite che è Cristo scorrerà nel popolo di Dio, che sono i tralci. C’è ora una reciproca e mistica coesistenza che creerà una nuova umanità. La coesistenza reciproca non dev’essere intesa come un rapporto tra autorità e subordi­nato, padrone e schiavo o perfino salvatore e peccatore. Dovete invece comprendere il divino in un modo sor­prendentemente nuovo. Abbiamo abbandonato il Dio in alto nel cielo. Quel Dio è entrato ora nella vita. Abbiamo incontrato questo Dio prima in Gesù e ora il mondo lo vedrà in coloro che un giorno si chiameranno il «corpo di Cristo».
A questo punto sembra che i Discorsi di addio passino dall’immaginarsi Gesù che parla ai suoi seguaci prima della sua morte, a Gesù che parla alla comunità giovannea ai suoi giorni – cioè al tempo in cui veniva scritto questo Vangelo, un tempo in cui la comunità giovannea viveva nell’angoscia e veniva perseguitata. L’autore di questo Vangelo voleva che quella comunità sentisse una parola di Gesù che mettesse le loro sofferenze nel contesto di quelle nuove dimensioni di Dio e della nuova visione della vita di Gesù che lui stava sviluppando. Voleva porre le loro tribolazioni all’interno di questo senso di unità mistica.
Sentendo queste parole, è possibile immaginarsi un po’ il dolore provato da questa comunità . «Vi scacceran­no dalle sinagoghe», Giovanni fa dire a Gesù. E questo era veramente accaduto. Verrà l’ora, continua Gesù, in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere servizio a Dio (Gv 16,2). Penso che anche questo fosse avvenuto. Non restate ancorati a me, ripete Gesù, ricordatevi solo di quello che vi ho detto. Non dovete dipendere da me. Dovete salire a un nuovo livello di responsabilità, una nuova maturità. È un vantaggio per voi che io me ne vada. Dio non può essere vincolato a un mediatore. Tutti voi siete vite nelle quali e attraverso le quali Dio può vivere e operare. Io ero la porta verso questa nuova esperienza, ma voi sapete che, quando sarete passati attraverso questa porta, al di là di essa c’è uno spirito illimitato che potete e vorrete assumere (Giovanni chiama questo nuovo aspet­to di Dio l’Avvocato, e anche il Paraclito). Questo spirito aprirà nuove porte e vi guiderà alla verità totale. Non avete bisogno di fare domande a nessuno. Abbiate fiducia di quello che sapete; abbiate fiducia di chi siete; vivete nel vostro nuovo essere. Tutto quello che il Padre possiede è mio. Tutto quello che Dio è, io sono. Ora lo do a voi. Adesso potete essere voi la via e la verità. Potete essere la porta. Potete essere il pane di vita, l’acqua viva, il buon pastore, e perfino la fonte della risurrezione. Afferrate lo spirito e condividetelo. Siate voi stessi e al contempo date ad altri la libertà di essere se stessi. Non fissatevi sui limi­ ti umani. Non vi preoccupate delle circostanze della vita, per quanto amare possano essere. Così come io sono glo­rificato venendo elevato sulla croce, anche voi sarete glo­rificati dalla vostra capacità di comunicare il significato della mia vita al mondo, non malgrado le vostre sofferen­ze, ma in virtù di esse.
Dobbiamo renderci conto che queste parole dell’auto­re del quarto Vangelo erano dirette a persone che viveva­ no verso la fine del I secolo d.C. Per questo motivo Giovanni aggiunge un paragrafo che contiene molte ripetizioni, anche piuttosto noiose. Gesù dice: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete» (Gv 16,16). La frase «Un poco» è ripetuta sette volte! Che cosa viene comunicato qui? Qual è il significato di un poco? Il periodo tra la crocifissione e la seconda venuta a questo punto non è più «un poco». C’è un intervallo ormai di 65- 70 anni. Ammesso che una generazione siano venti anni, si tratta qui di più di tre generazioni. Come abbiamo visto prima, la speranza e l’aspettativa iniziale era che la secon­da venuta occorresse durante la vita di coloro che aveva­ no sentito le parole di Gesù in persona. La maggior parte di loro adesso era già morta. L’espressione «un poco» quindi deve avere un altro significato.
I discepoli chiedono: che cosa vuoi dire con «un poco»? Che cos’è «un poco»? Ripetono queste parole come se le stessero elaborando internamente. L’espressione «un poco» viene poi messa in relazione con Gesù che va dal Padre (Gv 16,17). «Cosa vuoi dire?», chiedono. Non sappiamo cosa vuol dire «un poco». Capiranno tra breve che, secondo Giovanni, la seconda venuta non vuol dire la fine del mondo. È invece qualcosa che verrà solamente «un poco» dopo la crocifissione. Scopriremo di che cosa si tratta solo quando il Vangelo arriva al suo punto culminante.
Finalmente Gesù interrompe questa conversazione cir­colare e descrive l’esperienza che loro sanno già di aver vissuto. «Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si ralle­grerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20). Poi usa l’analogia del parto. Le doglie sono dolorose ed estenuanti, ma quando lo sforzo di mettere alla luce (lo chiama travaglio) è fini­ to e la donna ha partorito, allora la pena scompare dalla sua memoria e al suo posto viene la gioia che quella nuova vita abbia fatto ingresso nel mondo. Perciò soppor­ tate il presente, dice, sapendo che il futuro è sicuro.
Il tema del Vangelo è poi ripetuto un ‘altra volta: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28). Questo è detto chiaramente. Questo dovrebbe far loro capire.
I discepoli rispondono come a comando. «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappia­mo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’inter­ roghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio» (Gv 16,29-30). «Adesso credete?» chiede Gesù, mentre ricor­da il loro comportamento vergognoso e deludente. Allora perché vi siete dispersi quando sono stato arrestato, lasciandomi solo e correndo verso le vostre case? Perché avete negato? Niente di tutto questo conta, li riassicura; se Dio è in me, allora io non sono mai solo. Questo è ciò che dovete imparare. Si conosce Dio quando chi può aprire gli occhi per vedere lo fa e quando chi ha il coraggio di vive­ re all’interno di questa nuova esperienza di vita umana, questo nuovo senso di libertà, può fare il passo. In quel momento capirete che niente può distruggervi. Così Gesù conclude: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). Come ha detto il teologo che è stato il mio insegnante più formati­ vo, Paul Tillich: devi avere il «coraggio di essere», che viene quando sai che il tuo essere è radicato nel Fondamento dell’Essere.
I Discorsi di addio sono terminati. Ora ci avviciniamo al momento culminante.