Non sappiamo cosa siamo, ma vogliamo essere altro.
Semplicemente vivere: la prima delle tre meditazioni proposte da don Mario
al convegno invernale di Roma ha sviluppato questo tema, che è uno dei
“classici” di Ore undici, ispirato a un’espressione di Arturo Paoli di tanti
anni fa che don Mario seppe cogliere e sviluppare con l’apporto delle scienze
umane. In queste pagine riportiamo la sua riflessione, cui seguiranno quelle su
il difficile amore e il volto di Dio (oggetto delle altre due giornate del
convegno).
Introduco il nostro tema con un breve racconto. Che cosa cerchi mullah?
La mia chiave, l’ho persa. Allora il vicino si inginocchiò e i due si misero a
cerca re la chiave che però non si trovava. Dopo un po’ il vicino disse: ma dove
l’hai persa questa chiave? A casa. Ma allora perché la cerchi qui? Perché qui
c’è più luce. A che cosa serve cercare Dio nei luoghi santi se è nel cuore che
l’abbiamo perso? Siamo tutti frastornati per quello che succede
intorno a noi nel mondo. E allora dove possiamo trovare le chiavi per uscire da
questa situazione? Le cerchiamo dove non le possiamo trovare? Qual è il giusto
posto dove possiamo ancorare la piccola barchetta della nostra esistenza,
sballottata dai marosi? Come orientare i giovani che si accorgono di navigare
in un mare molto agitato e non sanno dove cercare ancoraggio? Dove cercare la
chiave che ci possa aprire la porta della serenità, della speranza, della
fiducia, della gioia?
La chiave che propongo di cercare è quella del semplicemente vivere, termine e
tema caro alla nostra riflessione. Il semplicemente vivere si
contrappone al diabolicamente avere che è la logica nella
quale siamo immersi. La cultura che respiriamo ogni giorno in ogni luogo è
quella dell’avere: avere oggetti, case, macchine, potere e nella chiesa,
drammaticamente, avere la verità. Questa cultura è completamente estranea alla
logica dell’essere quello che noi profondamente siamo. In Brasile ho imparato
una grande verità, di cui parliamo spesso con i nostri ragazzi: se io sono un
banano, posso pretendere di diventare una rosa? È una legge fondamentale nella
natura, che noi trasgrediamo quotidianamente. Non sappiamo che cosa siamo, ma
vogliamo essere qualcos’altro: quello che fa piacere agli altri. All’inizio
della nostra esperienza umana siamo stati costretti ad adeguarci all’occhio
dell’altro per avere attenzione, considerazione, rinforzo e ci siamo
strutturati su quello che desideravano gli altri da noi. La disgrazia è che non
abbiamo più avuto la possibilità di ritornare a noi stessi, di fare il
passaggio dal desiderio degli altri su di noi al nostro desiderio. Con il
termine desiderio intendo qualcosa di molto profondo, radicato nel nostro
essere, nato con noi. Il desiderio è la musica, lo spartito che ci è stato consegnato
venendo al mondo e che noi o non conosciamo o non abbiamo mai imparato a
suonare. Oltre al condizionamento dettato dal desiderio dell’altro, c’è
un’altra dimensione che ci allontana dal nostro desiderio, l’area dei bisogni.
Tutti noi abbiamo dei bisogni da soddisfare di cui dobbiamo quotidianamente
occuparci, ma il rischio è che occupandoci dei bisogni dimentichiamo il
desiderio. Il sistema nel quale siamo immersi è orientato a soddisfare i nostri
bisogni e, una volta soddisfatti, di crearne di nuovi per aumentare i consumi,
ma al nostro desiderio quale spazio rimane? Che ne è di questa parte profonda
di noi stessi accordata al semplicemente vivere?
Ognuno venendo al mondo ha avuto in consegna una potenzialità di vita, una
ricchezza, uno spartito che prima o poi deve imparare a suonare per mettersi in
armonia con la musica che ci circonda. Purtroppo spesso siamo stanchi,
avviliti, depressi. Questo è il segno che siamo molto lontani dal nostro
desiderio più profondo. Siamo organizzati in un sistema più o meno violento
dove facciamo del male a noi stessi e agli altri. Le nostre relazioni non sono
improntate all’amicizia, non sono centrate sull’amore che permette e sollecita
la parte più bella e profonda di noi. Viviamo costantemente in esilio dalla terra
nella quale può crescere e fiorire il nostro desiderio. Cosa c’entra Dio in
tutto questo? Se vogliamo veramente incontrare Dio, se vogliamo ascoltare,
percepire, cogliere la sua esistenza, il luogo privilegiato dove trovarlo è la
vita in forma nascente, la vita calpestata e ferita. La presenza di Dio è nel
desiderio, principio fondamentale della vita, meraviglioso processo di vita.
Vanno sottolineati due vocaboli: processo e vita. Non contano tanto i
risultati, quanto i processi nei quali sono inserite le esistenze nostre e
delle persone che amiamo. Dobbiamo domandarci dove sono i processi che
favoriscono la vita e le consentono di esprimersi in tutte le sue meravigliose
forme. Allora Dio è colui al quale chiedere che ci renda appassionati alla
vita, innamorati del vivere, qualunque sia la nostra età, qualunque sia il
tempo di vita che vivremo. Abbiamo nelle nostre mani una grande ricchezza in
attesa di essere conosciuta e accolta, prima di tutto per noi stessi e anche
per i nostri fratelli.
(da “Oreundici” di febbraio 2012)