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TRA BISOGNI E DESIDERIO

La capacità di entrare in contatto con il “desiderio” della propria vita.

Cosa significa amare?
Il Vangelo custodito dalla Chiesa mi ha insegnato il grande comandamento dell’amore.
Alle scienze umane e alla psicologia ho chiesto come amare.
Dell’amore, come di tutte le esperienze forti della vita non si può dire molto, ma si possono accostare riflessioni, intuizioni, domande.
Tra i vari percorsi possibili di riflessione scegliamo di partire dalla nostra esperienza. Quando e quanto nella nostra vita abbiamo fatto esperienza d’amore? Che differenza c’è tra il ricordo di un accudimento e quello profondo di qualcuno che si è preso cura di noi? E’ vero che la distinzione è molto sottile ma in realtà esiste. E cosa fa la differenza?
Per semplificare la riflessione possiamo riferirci ad un modello. Vi propongo quello a me più familiare, quello del processo dinamico tra i bisogni (al plurale) e il desiderio (al singolare).
Sui bisogni non spenderò molte parole. Essi sono legati alla soddisfazione di dimensioni concrete dell’esistenza.
Diversi autori distinguono tra i bisogni fisici come il mangiare, bere, dormire e quelli psichici come l’acquisizione della sicurezza e della fiducia di fondo che permettono, una volta soddisfatti, di passare a dimensioni più complesse. Si parte dai bisogni fisici per arrivare ad esempio e quelli di auto-realizzazione (Maslow). I bisogni sono legati alla mancanza… Soddisfarli è come chiudere un cerchio, raggiungere una forma d’appagamento. Essi sono legati allo sviluppo psicofisico e, nell’esperienza infantile, la loro soddisfazione struttura l’identità.
Parlare del desiderio è più difficile. Bisogna mettere da parte il senso abituale di questo termine. Il desiderio riguarda la radice più profonda dell’esistere ed è diverso da persona a persona.
Il bisogno è più sull’area dell’avere, il desiderio su quella dell’essere. Il bisogno è più sull’area del possesso, non solo dei soldi, ma anche il possedere una persona, un ruolo, una dottrina, un’amicizia, una notorietà, un’appartenenza, persino una sofferenza per poter dire ‘io sono’. La tensione alla sola soddisfazione dei bisogni ci porta ad essere preoccupati di noi stessi, del nostro piccolo cabotaggio e tutto ruota attorno al nostro piccolo mondo, come se noi fossimo il centro dell’universo. Il desiderio, invece, ci fa sentire parte di un tutto, ci dà la consapevolezza di essere un granellino in una dimensione di Bene che ci avvolge, di cui facciamo parte, ma che è più grande di noi, che viene prima e continuerà anche dopo.
Conoscere il desiderio è molto difficile, perché raramente nella nostra infanzia siamo stati educati ad ascoltarlo. In realtà, in questo campo, tutti abbiamo esperienze uniche e diverse. Tutti abbiamo avuto bisogno di qualcuno che si occupasse dei nostri bisogni, soprattutto nella primissima infanzia, in cui non eravamo in grado di soddisfarli autonomamente. Il rischio è di rimanere bloccati a quella situazione e la nostra esistenza finisce per girare sempre intorno ai bisogni di accudimento o cercando di soddisfare le aspettative di un altro, l’altro significativo della nostra vita. Per cui viviamo nella prospettiva di essere graditi all’occhio dell’altro e sempre inappagati a noi stessi.
Insieme all’esperienza di accudimento, poche volte abbiamo incontrato qualcuno che fosse attento al senso della nostra esistenza e a ciò che portavamo dentro e di cui il nostro esistere aveva veramente necessità. Spesso abbiamo incontrato persone che avevano un modello ben preciso e noi dovevamo ricalcare e realizzare quel modello nella nostra vita. E’ stato un condizionamento fortissimo ed è possibile che stiamo ancora cercando di accontentare i desideri espressi o non espressi degli altri significativi.
Allora può capitare che fare qualche cosa che fa piacere all’altro ci possa far sentire momentaneamente soddisfatti, ma poi rimaniamo profondamente inappagati. Fin quando rispondiamo a quello che essi si aspettano da noi, siamo sicuri. Ci danno una enorme sicurezza anche se non lo sopportiamo e dentro di noi ci ribelliamo. Il giorno in cui possiamo prescindere dall’approvazione dell’altro, vuol dire che siamo pronti a correre il rischio dell’inconosciuto, dell’imprevisto, della solitudine, dell’abbandono, dell’incomprensione e ad andare incontro a quello che succederà, alla vita che non si ripete mai, perché non è un cliché e di sentirci dentro un processo più grande che ci porta sempre oltre e che ci affranca dal rotolare quotidiano.
La società non ci aiuta a conoscere il desiderio anzi ne abusa e rischia di ucciderlo, perché ci sommerge di bisogni e desideri indotti per poter aumentare il consumo e il profitto.
A queste condizioni per noi diventa molto difficile incontrare il desiderio.
Gli studiosi ne hanno parlato in tanti modi: Jung l’ha definito la parte ombra dell’anima, Freud ha detto che le vere motivazioni della persona si trovano nell’inconscio. C’è un autore poco conosciuto ma molto interessante, Lacan, che ha impostato gran parte della sua teoria sul valore e sul significato del desiderio.

Quando e come incontriamo il desiderio?
E’ molto più facile incontrarlo negli snodi, nelle difficoltà, negli errori. Esso si esprime soprattutto attraverso il disagio, e l’irrequietezza. E’ nell’insoddisfazione che noi riusciamo a cogliere più facilmente quel qualcosa di altro dentro di noi che tenta di esprimersi, ma non sempre trova accoglienza. Scriveva Etty Hillesum nel suo Diario: “Dentro di me c’è una melodia che a volte vorrebbe essere tradotta in parole sue. Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta”. Da qui nascono anche le difficoltà psicologiche che conosciamo in noi e negli altri. Più il desiderio della persona non ha avuto accoglienza, più c’è stata la mancanza di qualcuno che non ha saputo prendersene cura, ovvero cogliere e accogliere il senso genuino dell’esistenza e le condizioni perché potesse esprimersi, tanto meno è facile per quella persona vivere armoniosamente la propria vita.
Possiamo provare a recuperare il valore di alcuni elementi della nostra educazione religiosa.
La maggior parte di noi è stata formata, e giustamente alla volontà di Dio. Credo che nell’ottica dell’ascolto del desiderio, possiamo recuperare questo concetto, inteso chiaramente non in senso quasi deterministico come l’unica possibilità di scelta della nostra vita, e nemmeno come la volontà di chi la interpretava per noi, ma come attenzione continua al divenire del nostro essere che ci riconduce all’autore dell’esistenza. Qual è la musica di ognuno che unita a quella degli altri, forma la bellezza del vivere? Scoprire il senso che Dio ha messo nell’esistenza di ogni persona diventa il compito di ciascuno. E Dio ci offre tante possibilità.

Del nostro desiderio chi se ne occupa o se ne deve occupare?
Questo punto lo considero fondamentale: trovare la capacità di entrare in contatto con il desiderio della propria vita. Essa richiede un profondo ascolto di sé e il coraggio umile di divenire veri con se stessi. Gesù ci ha invitati ad amare gli altri come noi stessi, con grande saggezza psicologica: amare se stessi, cioè prendersi cura del proprio desiderio. Nella realtà bisogni e desiderio stanno in un dinamismo complesso e di non facile distinzione. Occorre imparare a divenire consapevoli dei propri bisogni, e a crescere nella capacità di scegliere se soddisfarli o “supportare” la frustrazione momentanea che ne può derivare in vista della scoperta, unificazione, rafforzamento del desiderio. Quando nella propria esperienza ci si ferma prevalentemente alla sola risposta ai bisogni, il desiderio si sbriciola in mille rivoli e si consuma in questo modo la tensione verso l’inedito che esso porta con sé. “Tutti abbiamo vissuto l’esperienza che dopo un momento di grande intensità e appagamento, possiamo provare l’impressione di aver mancato qualcosa di più grande che rimane irraggiungibile” .
Il cammino del desiderio ci fa passare dall’io al noi, dal mio al nostro, dal garantirci una personale salvezza, al volere che il Bene abbia l’ultima parola sul male e sulla negatività. Il desiderio è legato alla tensione verso l’Oltre, è un’attrazione verso il non – conosciuto, il non ancora. Esso apre alla dimensione spirituale, e nella misura in cui impariamo ad ascoltarlo dentro di noi offre una direzione di senso alla nostra vita, diviene come un filo rosso di convergenza della nostra identità in divenire, verso la maturità e il compimento di noi stessi. Diveniamo più consapevoli e disponibili ad assumere la responsabilità verso la Vita che ci è gratuitamente donata. E’ bella la metafora del quadro per rappresentare la nostra esistenza. Per anni abbiamo pensato che questo quadro fosse brutto e pieno di polvere. Non ci diceva nulla. L’abbiamo tenuto in cantina. Poi un giorno, non si sa come né perché, qualcosa in noi arriva a maturazione e levando la polvere in un angolo rimaniamo attratti dalla luce, da alcuni colori, da alcune sfumature e nasce il desiderio di conoscere tutto il quadro. E’ allora che avviene il giro di boa della nostra esistenza. Una cosa sola ci interessa e niente ci ferma più. Siamo agganciati al processo della vita e anche se è tanta la polvere e la fatica, ormai una sola è la passione che ci muove, godere la bellezza del quadro completo, cioè la realizzazione della nostra identità e possibilmente incontrare attraverso quel quadro, il desiderio di chi lo ha pensato e creato.
La vita che ci è data in dono è sempre una realtà fragile e spesso ferita, nessuno di noi è stato amato in modo così oblativo e totale da essere colmato nella dimensione dei bisogni, ma soprattutto nel desiderio. Il cammino verso la realizzazione del proprio desiderio attraversa per ciascuno di noi la tappa della riconciliazione con la propria storia. Un perdono, un dono restituito a ritroso a chi ci ha aperto la via della Vita; impariamo a guardare non più solo come padre e madre o figli ma inseriti nella schiera degli uomini e delle donne che ci hanno preceduto nell’affascinante avventura dell’esistenza. Nascono così i frutti dell’accoglienza del desiderio, la capacità di amare ogni cosa e in particolare tutte le manifestazioni della vita; non ci preoccupiamo più di controllarla e possiamo abbandonarci, cioè lasciarci avvolgere dal suo vento impetuoso senza la paura di essere destabilizzati. Chi ama veramente un altro si occupa dei suoi bisogni, ma sa accogliere il desiderio dell’altro. Questo è l’amore di cui parlava Gesù. Ogni volta che incontrava una persona l’aiutava ad incontrare, attraverso il suo bisogno, il suo desiderio. Sono tanti gli episodi che possiamo raccontare. Penso ad esempio ad un cieco che gli chiedeva di aiutarlo. Tutti sapevano che era cieco, eppure Gesù gli domanda: “Cosa vuoi che io faccia per te”? Gesù rivolge questa domanda proprio a lui che, data la sua condizione, viveva da mendicante ed era abituato a ricevere ciò che gli veniva dato, senza poter esprimere il proprio bisogno, figurarsi il suo desiderio di vivere. “Cosa vuoi che io faccia per te”? “Signore che io riabbia la vista”. E riavuta la vista e gettata via la sicurezza del mantello, l’unica cosa che possedeva, si mise a seguirlo lodando Dio.
Pensiamo anche all’incontro con il giovane ricco. “Signore ho osservato tutti i comandamenti e la legge, cosa debbo ancora fare per avere la vita eterna”? Questo giovane si era adeguato a quello che l’altro, la società, la religione gli richiedevano. Qual era il salto che ancora gli mancava di fare? Ecco il suo desiderio che si esprime, ancora in un balbettio, senza totale chiarezza. E Gesù fissatolo lo amò. Sentì che quel giovane era sul punto d’incontrare il suo desiderio, di dare un orientamento, una direzione nuova alla sua vita. “Ancora una cosa ti manca. Va’ vendi quello che hai dallo ai poveri, poi vieni e accompagnami”. Cioè diventa mio compagno nell’avventura del desiderio: quello di provare a sintonizzarci con il Bene grande che desidera la felicità di tutti gli uomini, che chiamiamo Dio. Quel giovane se ne andò triste e in quell’occasione non fu capace di fare il salto. La vita gli avrà sicuramente riservato altre possibilità, perché la vita, nell’essere fedele a se stessa, è fedele al desiderio profondo di ciascuno di noi.
Cito ancora a memoria la Hillesum: Vado cercando un tetto sotto cui ripararmi o vado costruendo pietra dopo pietra la mia casa?
Come conciliare il bisogno di sicurezza e il desiderio? Come comporre la lacerazione di queste due istanze così radicate nel profondo della natura umana? Un modo ci sarebbe ed è quello di accorgersi e di accettare il cambiamento continuo a cui ogni abitante della casa va soggetto nel corso della sua vita giorno dopo giorno. Un cambiamento che riconfigura la quotidianità, sbilancia la familiarità, infrange le abitudini, rende insolito e nuovo il tempo. Infatti, quanto è conoscibile e prevedibile un’altra persona? Quanto siamo prevedibili e conoscibili noi stessi? Non è che la prevedibilità, la quotidianità, la familiarità, l’abitudine sono i prodotti della nostra disattenzione all’altro, o addirittura strumenti che noi usiamo per spegnere la curiosità e la passione, che sono gli ingredienti del desiderio, allo scopo di garantirci la sicurezza? In fondo l’amore senza passione è noioso ma sicuro. Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza? Quanti cambiamenti dell’altro ignoriamo per garantirci un partner prevedibile? L’abitudine uccide il desiderio e siccome in qualche modo lo sappiamo non è raro che trasformiamo in abitudine le persone che amiamo, e attraverso questa degenerazione protettiva… ci difendiamo dalla vulnerabilità intrinseca dell’amore.
Se ci persuadiamo che l’esistenza umana è per natura mutevole e ciascuno di noi va incontro ad un cambiamento continuo, allora diciamo che la sicurezza è una nostra fantasia che cerchiamo di realizzare immobilizzando tutto in un nostro schema, mentre l’avventura che promuove il desiderio è la realtà. La strada che possiamo imboccare al bivio è quella di incontrare l’altro che ci mette in sintonia con il nostro desiderio e diventa colui che ci offre la grande possibilità di ascoltare il nostro desiderio. Questa è la strada del vero amore, nella quale due persone si incontrano, si alleano, per poter veramente realizzare reciprocamente il proprio desiderio, intendendo per esso la spinta che ognuno porta dentro. Per incontrare il nostro desiderio abbiamo necessità dell’altro, perché come l’altro ci può portare sulla strada del bisogno, così solo l’altro ci rimanda il nostro desiderio. Magari senza che neanche lo sappia. L’altro è il luogo di relazione dove esso può trovare spazio e lo possiamo incontrare. Il desiderio in sé non ha confine, non sai dove ti porta. E’ l’altro che ti dà la sua giusta dimensione, perché ti fa da specchio, da contenitore e da limite. Facciamo però attenzione perché l’altro fedele alla scelta di aiutarci a crescere nel nostro desiderio, ci deluderà sempre. L’altro ci aiuta ad incontrarlo, senza la ripetizione di copioni relazionali del passato, ma non c’è nessuno che potrà dire al posto nostro qual è il nostro desiderio e fare la scelta di essergli fedele nel tentare di realizzarlo. La sorgente di ogni cosa deve essere la vita stessa, mai un’altra persona. Dobbiamo allora riscoprire il valore della consapevolezza. Dobbiamo crescere nella capacità di fermarci in questo frastuono di stimoli e poter riscoprire il lusso psicologico che è il silenzio. Darci lo spazio per distinguere i bisogni e soprattutto lo spazio per accogliere e capire dove sta il nostro desiderio per provare a sentire e risentirne la voce. “La vita non può essere colta in poche formule. La vita è infinitamente ricca di sfumature, non può essere imprigionata né semplificata. Ma semplice potresti divenire tu…”.

don Mario De Maio