Quando scopriamo di saper «sperare l’impossibilie» significa che le nostre speranze sono fondate su ciò che ci supera, che solo può sostenerle e alimentarle.
La speranza è una dimensione importante in ogni esistenza. Su che cosa si basa? Cosa le dà consistenza? Un elemento che le può dare un solido fondamento è l’immagine di Dio che portiamo dentro di noi. Ognuno di noi, anche chi si dichiara non credente, ha una propria immagine di Dio. È interessante chiedersi come si è formata questa immagine, come è cambiata nel tempo, cosa ne ha determinato il cambiamento. Che cosa la caratterizza nel nostro momento presente.
Un altro filone importante di domande riguarda “in che cosa” speriamo.
Se le nostre speranze riguardano il superamento delle nostre difficoltà quotidiane, stiamo nella logica della speranza e dell’impegno per il benessere.
Se invece scopriamo che siamo capaci di “sperare l’impossibile”, ovvero la fraternità fra tutti gli uomini, l’unione delle religioni, l’abolizione delle ingiustizie e delle armi, la scomparsa della miseria, ci riferiamo necessariamente a una speranza molto alta, fondata su ciò che ci supera, che solo può sostenere tali speranze. Allora la speranza diventa tensione personale e collettiva, bisogno di superare o spezzare i limiti, desiderio di scoprire il nuovo che genera liberazione.
Il sogno che Gesù ha avuto e che ha voluto lasciare ai suoi discepoli è la speranza che l’utopia possa diventare realtà.