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I novant’anni di Carlo Molari

Eravamo 110 domenica 16 settembre a Civitella S. Paolo, nella sede di “Oreundici”, per festeggiare i novant’anni di Don Carlo

Giornata di festa come solo l’amicizia profonda sa organizzare. Era palpabile come “molariani” e “Ore11” abbiano camminato insieme trovando spesso momenti di confluenza per l’arricchimento reciproco e come le riflessioni di Don Carlo siano state la spinta costante di questo percorso.

Nel momento della Celebrazione Eucaristica dedicato all’intervento dei fedeli, molteplici sono stati i ringraziamenti per il dono che tutti noi abbiamo ricevuto. Ci siamo sentiti in sintonia con quanto detto da Antonia che ha ringraziato Don Carlo per aver saputo coniugare Fede e Modernità senza isterici arroccamenti, senza strappi violenti ma con sapienza e umiltà.

Dice Baremboin che la musica è affine alla religione ”perché entrambe vivono il paradosso del tentativo dell’essere finito di diventare infinito”, così insieme ai nostri canti più o meno intonati (fatta eccezione per la voce angelica di Suor Miriam), abbiamo ascoltato i suoni di due chitarre, una cetra e una cornamusa!

Il momento conviviale in qualche modo ci ha fatto rivivere il brano del Vangelo che narra della moltiplicazione dei pani e dei pesci, e che insegna come la condivisione non deve essere misurata sulle risorse, perché queste si moltiplicano proprio nella condivisione: “Tutti ne mangiarono e furono saziati…”.

Nel pomeriggio l’incontro con Don Carlo è diventato più colloquiale. Ci ha parlato del suo cammino spirituale, di quelle che ha chiamato “le sue famiglie”, delle sue “conversioni” ed è sembrato voler rendere chiaro a se stesso oltre che a noi, quel profondo intreccio di dinamiche storiche che nella vita sono trama di misericordia.

Quando Mario, vendendo il suo bellissimo attico a Roma, acquistò la casa a Civitella così grande, rimanemmo perplessi. Oggi che quello spazio ha permesso di organizzare un incontro così partecipato abbiamo  superato  ogni perplessità.

Ne valeva la pena!!!

Vincenza e Francesco Rufo

UNA GIORNATA PIENA DI SOLE

Una giornata piena di sole e di armonia, un’atmosfera di famiglia, un ritrovo tra amici. Facce di persone mai conosciute e da sempre ri-conosciute, un po’ invecchiate magari. Viste per anni di seguito, poi perdute di vista, ritrovate, dimenticate, di nuovo affacciate intorno a lui, sorridenti, sornione, malinconiche, soddisfatte. A un certo punto, sembrava di essere alla Moltiplicazione dei pani e dei pesci vista al cinema o in tv in periodi pasquali, con don Carlo e don Mario al centro e tutti intorno. E don Carlo che parlava delle sue famiglie, le fasi della sua vita passate alla lente delle persone che gli si erano fatte via via vicine. Una traditio in piena regola, una consegna: asciutta, consapevole, serena. Ma inevitabile il risvolto malinconico, anche se mai affiorante dai volti.

Così abbiamo festeggiato i 90 anni di un uomo che per tutti i presenti è molto più che un padre spirituale, un teologo, magari anche molto più che un amico. Per molti di noi, forse davvero per tutti, don Carlo – con pochi altri che ci hanno lasciato – è il testimone di una vita spirituale intensa, di una fede vissuta con passione vera, è il modello di una corrispondenza tra le parole e le azioni, tra la fiducia e l’abbandono predicati e l’interrogazione ardente mai quietata.

Ho conosciuto don Carlo Molari attraverso i monaci di Camaldoli, all’epoca in cui don Benedetto Calati, Padre generale della congregazione, sprizzava guizzi di umanità e intelligenza da uno sguardo autorevole e un sorriso ammaliante. Era l’epoca in cui Ivan Nicoletto e Sandro Rotili, allora ancora novizi, organizzavano al Monastero le “Settimane della Mistica”, destinate a diventare una manna annuale per credenti delusi da un Concilio disatteso, o per anime ansiose di Spirito e stanche di religione.

A Camaldoli, e poco dopo ai convegni estivi di “Ore Undici” a Nocera Umbra, si incontravano Giuseppe Florio e Giuseppe Barbaglio, Ernesto Balducci e Davide Maria Turoldo, Arturo Paoli e Antonietta Potente, Adriana Zarri e Carlo Molari. Incontri indimenticabili, per chi come me cercava domande e s’inalberava di fronte a risposte devote, ma si entusiasmava ascoltando queste polifonie grandi e rare, voci che aprivano mondi.

Ho ritrovato delle audiocassette di don Carlo che risalgono al 1989 e 1990. In quella dell’agosto 1989, all’interno della Settimana camaldolese della Mistica dedicata alla “Crisi dell’immagine di Dio”, don Carlo parla di Dio come del “Padre di Gesù Cristo”. E l’anno dopo, per il seguito sullo stesso tema, su due audiocassette è registrato un lungo intervento di don Carlo sulla “Dimensione della vita trinitaria nell’esperienza spirituale della vita cristiana”. In altre tre cassette, questa volta tratte dalla Settimana di Spiritualità di Ore 11, sempre nell’agosto 1990, a pochi giorni di distanza, don Carlo fa un preambolo teologico e poi parla di spiritualità nei comportamenti.

Ecco già in questi approcci, forse i primi ad avermi segnato al punto da conservarne le tracce, c’è già tutto don Carlo: una teologia schiva di tradizioni e astrazioni e affacciata invece sulla concretezza del presente da vivere e da testimoniare, sul relazionarsi agli altri come strumento dell’incarnarsi del divino; un rendere “storica” persino una crux teorica come quella trinitaria, per cui la “persona” si spoglia di ogni insidioso riferimento all’essere e diventa forma di un apparire storico, di una ricezione umana dell’azione di Dio, ricezione sempre parziale e sempre in divenire; e un unico modello di comportamento, Gesù di Nazareth, il figlio che è garante dell’immagine di dio come Padre suo. E’ il Figlio che rivela il Padre, e lo sguardo per don Carlo deve restare fisso su Gesù, sempre. Anche oggi che la sensibilità del teologo Molari si è arricchita dell’attenzione ai pluralismi religiosi, e la storicizzazione di Gesù di Nazareth ne ha relativizzato la figura entro limiti e determinazioni culturali e ambientali, rispetto al Logos che è eterno, lo sguardo di don Carlo è sempre fisso su Gesù, i cui comportamenti nel mondo sono l’unico criterio per capire come Dio si rivela, per riconoscere il Verbo quando parla anche nelle altre tradizioni religiose.

Un parlare affascinante. Non è mai la sapienza a conquistarti, anche se c’è naturalmente lo studio, la riflessione, il confronto con la tradizione teologica. Ma a conquistarti è il fatto che quella sapienza è strumentale al fare, è in qualche modo pedagogica. Comunica positività, fiducia, se non propriamente ottimismo. Una fede come pedagogia, come costruzione di sé e del mondo che siano il farsi di Dio nella storia e nell’universo.

Luisa Valeriani

INCONTRO CON DON CARLO MOLARI NELLA SEDE DI “0RE UNDICI” A CIVITELLA SAN PAOLO

Domenica 16 settembre si è svolto, nella bella casa di ”Ore undici onlus” a Civitella San Paolo, nella campagna romana, un incontro con Don Carlo Molari, sacerdote e teologo, amato da tanti amici.

Infatti, questi si sono ritrovati in più di cento per passare la domenica con lui, partecipare alla messa domenicale e poi, dopo un bellissimo pranzo organizzato dalle collaboratrici dell’ospite, Don Mario De Maio, ascoltare un racconto che Don Carlo ha fatto della sua vita, con i momenti felici e quelli meno felici, passati nelle varie “famiglie” che lo hanno accompagnato nel tempo della sua lunga vita di ultra novantenne: la famiglia del sangue che certo non sa dove lui si trovi in questa giornata, la famiglia del San Leone dove lui è stato dal 1967 al 2011, e che qui è presente in gran numero, la famiglia degli appartenenti alla FUCI, frequentata dal 1955 in avanti, quella del gruppo teologico che si riunisce a Camaldoli, legato all’ Associazione teologica italiana di cui Carlo è stato segretario per molti anni, e che hanno prossime riunioni insieme al SAE (Segretariato  Attività Ecumeniche),  la famiglia di Ore Undici, con cui gli incontri sono iniziati trent’anni fa’ e infine la famiglia della “Cittadella” di Assisi. Quello che ha colpito i partecipanti all’incontro è stata la grande lucidità delle parole di Carlo, che non sembra minimamente sfiorato dai rigori dell’età.

Poi Carlo ha raccontato di essere stato accusato dal Sant’Uffizio, dove peraltro lavorava, per il libro “La fede e il suo linguaggio” scritto quando insegnava all’Università Urbaniana, ispirato a Theilard de Chardin. Ancora oggi Carlo partecipa agli incontri degli amici di Theilard, dei cui scritti si è sinceramente appassionato.

Carlo ha raccontato poi nei dettagli tutta la sua bella esperienza nelle varie “famiglie”, conquistando l’uditorio che ha così potuto conoscere aspetti ricchi di passioni e di difficoltà della sua lunga vita, come l’incontro con Arturo Paoli, chiamato a Roma negli anni 48-50 e poi mandato via, quello con il Cardinale Pellegrino, con Carlo Maria Martini, con Benedetto Calati, con Pietro Parente e con tanti altri.

Per avere un saggio illuminante delle parole di Carlo, posso trascrivere qui la breve omelia tenuta durante la messa della mattina ispirata al tratto del vangelo di Marco 8, 27-35.

“Pietro voleva difendere la vita di Gesù e questo è l’atteggiamento che spesso noi abbiamo nei confronti della Chiesa: pretendiamo che corrisponda ai progetti di trionfo, di riconoscimento, di approvazione da parte del mondo, da parte degli uomini potenti; proprio in questa situazione Gesù riprende Pietro, come impedimento e ostacolo. Così anche noi nella nostra esistenza progettiamo solo trionfi e riconoscimenti da parte degli altri. Dobbiamo invece riconoscere che i nostri progetti sono sempre imperfetti  e non corrispondono mai al trionfo del bene, della verità, della giustizia e della fraternità. Introduciamo infatti delle componenti imperfette nelle nostre offerte. Io credo che questa consapevolezza sia il primo dato fondamentale per vivere il Vangelo: la consapevolezza che noi tradiamo continuamente perché introduciamo delle componenti inadeguate e imperfette. Chiediamo oggi al Signore, ricordando il cammino compiuto in questi anni, di giungere a questa chiarezza interiore; non sappiamo qual è il cammino che compiamo, ma noi introduciamo sempre delle componenti inadeguate, dobbiamo esserne consapevoli. Questo ci condurrà a riconoscere i passi ulteriori che dobbiamo compiere, per diventare anche noi, gli uni per gli altri, strumenti di grazia e di benedizione.”

Verso il tramonto la bellissima compagnia si è sciolta, consapevole di aver goduto di una giornata molto, molto ricca.

(a cura di Giorgio Piacentini)