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Fraternità universale

Le fonti della fraternità

la fraternità non può essere imposta dall’esterno o dall’alto

da “La fraternità perchè? Resistere alla crudeltà del mondo” di Edgar Morin

Libertà, uguaglianza, fraternità… questi tre termini sono complementari, eppure non si integrano automaticamente tra loro. Perché? Perché la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l’uguaglianza, come vediamo oggi con l’espansione di questo liberalismo economico che provoca enormi disuguaglianze. Al tempo stesso, imporre l’uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema, allora, è quello di saperle combinare. Ma se si possono scrivere norme che assicurano la libertà o che impongono l’uguaglianza, non è possibile imporre la fraternità tramite la legge. La fraternità non può derivare da un’ingiunzione statuale superiore, deve venire da noi. Certo, esistono delle solidarietà sociali – come la previdenza sociale o il sussidio di disoccupazione – ma sono organizzate burocraticamente, e non possono offrire quel rapporto affettivo e affettuoso, da persona a persona, che è la fraternità. La trinità libertà-uguaglianza-fraternità, peraltro, è del tutto differente dalla Trinità cristiana, in cui i tre termini si inter-generano. Al contrario, dobbiamo associare e combinare libertà e uguaglianza, a costo di fare dei compromessi tra questi due termini, e suscitare, svegliare o risvegliare la fraternità.

La fraternità, allora, ci pone un problema: non può essere imposta dall’alto o dall’esterno; non può venire che dalle persone. La sua fonte è dunque in noi. Dove?

Qui è opportuno considerare che ogni individuo ha, in quanto soggetto, due quasi-software in sé. Il primo è un software egocentrico: “me-io”. Tramite questo me-io ognuno si autoafferma situandosi al centro del mondo, o per lo meno del proprio mondo. Questo software è necessario giacché, se non lo avessimo, non saremmo portati a nutrirci, a difenderci, a voler vivere. Ma esiste un secondo software che si manifesta sin dalla nascita, quando il neonato attende il sorriso, la carezza, la cullata, lo sguardo della madre, del padre, del fratello… Sin dall’infanzia abbiamo bisogno del “noi” e del “tu” che riconosce “te” come soggetto analogo a “sé” e vicino affettivamente a sé, pur essendo altro. Gli esseri umani hanno bisogno dello sbocciare del proprio “io”, ma questo non può prodursi pienamente che all’interno di un “noi”. L’“io” senza “noi” si atrofizza nell’egoismo e sprofonda nella solitudine. L’“io” non ha meno bisogno del “tu”, vale a dire di una relazione da persona a persona affettiva e affettuosa. Pertanto le fonti del sentimento che ci portano verso l’altro, collettivamente (noi) o personalmente (tu) sono le fonti della fraternità.

Attenzione, però: c’è la fraternità chiusa e c’è la fraternità aperta. La fraternità chiusa si richiude sul “noi” ed esclude chiunque sia straniero a questo “noi”. Anche il nemico suscita la fraternità patriottica, ma la suscita evidentemente contro di lui, che spesso viene persino escluso dall’umanità. La patria suscita una fraternità ambivalente: questa parola comincia con un maschile paterno e termina in un femminile materno; porta in sé l’autorità legittima del padre e l’amore avvolgente della madre. Le dobbiamo quindi obbedienza e amore. Ma questa fraternità si chiude ermeticamente e disumanamente nel nazionalismo che considera la propria nazione come superiore a tutte le altre, legittimandosi così a opprimerne un’altra.

All’opposto del nazionalismo, invece, il patriottismo permette una fraternità aperta, particolarmente quando riconosce piena umanità allo straniero, al rifugiato, al migrante. Può portare in sé il sentimento d’inclusione della patria nella comunità umana, che è oggi comunità di destino di tutti gli esseri umani del pianeta. […]

La fraternità umana

Mutuo appoggio, cooperazione, associazione, unione sono componenti inerenti alla fraternità umana. Ma essa le ingloba, le avvolge all’interno di un calore affettivo. Se la fraternità familiare comporta il sentimento profondo di una maternità comune, nelle fraternizzazioni extrafamiliari, consapevolmente o meno, il riferimento è invece a una maternità ideale o mitica. Così la nozione di patria, che comporta il paterno maschile, comporta soprattutto il materno della «madre patria». In modo più o meno consapevole, la comunità vissuta delle fraternizzazioni comporta una sostanza avvolgente quasi materna. Quanto all’idea globale della necessaria fraternità di tutti gli umani, essa comporta sia l’idea madre di umanità, sia l’idea di terra-patria, includendo anche qui la sostanza materna.

Nonostante ciò, la fraternità umana, e questo sin dalla sua dimensione familiare, porta in seno delle potenzialità rivalitarie. Polemos è presente in forma virtuale in ogni fraternità e può manifestarsi tramite la rivalità, e questa può ricorrere a Thanatos, come indica l’uccisone mitica di Abele da parte di Caino.

Ancora una volta, vediamo che Polemos e Thanatos possono introdursi nell’Eros di una comunità e distruggerla. La fraternità deve dunque rigenerarsi senza posa, giacché senza posa è minacciata dalla rivalità.

Le mie fraternità

Le mie esperienze di fraternità sono i momenti più belli della mia vita. Ero figlio unico, orfano di madre a dieci anni e dunque adolescente senza madre, fratello o sorella. Provavo inoltre rancore verso mio padre che mi aveva tenuto nascosta la morte di mia madre quando io l’avevo capita sin dal principio, e vi era incomprensione reciproca tra la mia famiglia e me. I miei veri amici erano i libri e i film, e tuttavia mi lasciavano solo. Avevo un paio di buoni compagni ma non confidavo loro la mia pena di orfano né i miei stati d’animo. Militando in un piccolo partito di sinistra trovavo del cameratismo e un amico, ma non la fraternità.

La scoprii al momento del disastro del giugno 1940, quando nel mezzo della caduta della Francia mi rifugiai a Tolosa come un gran numero di studenti venuti da nord, dall’Alsazia, da Parigi, dalla Bretagna, insomma da tutte le zone invase della Francia. Il professore universitario Daniel Faucher aveva creato un centro d’accoglienza per gli studenti rifugiati, per nutrirli e dar loro un tetto, e a un certo punto io divenni segretario generale del centro d’accoglienza. Che gioia poter dare il mio aiuto agli studenti sventurati, e poi a chi aveva rifiutato di conformarsi, gli stranieri antifascisti! Che gioia legarmi al libanese Fouad Kazan, all’iraniano Khorsand, allo spagnolo Mario Llorca, e anche alle francesi Hélène e Annick, teneramente amate, e ad altri ancora! Mi sentivo infine utile, mi sentivo infine ricco di fratelli e sorelle. […] [Nel corso dell’esistenza] vi sono le grandi fraternità durevoli, ma vi sono anche dei momenti provvisori di fraternità vissuti nella gioia di una festa d’amici, di un incontro in viaggio, di una vittoria calcistica, di una manifestazione di strada, di un picchetto di protesta come ne hanno vissuti certi gilets jaunes che non si conoscevano, vivendo vite molto diverse, ma che hanno trovato fraternità per una o alcune notti. Queste fraternità provvisorie dovute all’incontro, al caso, alla comunione, all’adesione entusiasta, a dei nonsoché in cui due esseri si riconoscono più che compagni, sono momenti solari che riscaldano le nostre vite lungo il loro cammino in un mondo prosaico.