Vai all'archivio : •

Giovani di oggi

I poveri ci insegnano il Vangelo

la vita di fratel Chico, missionario comboniano, con i giovani e i catadores del nord-est brasiliano

Incontro fratel Francesco D’Aiuto (fratel Chico per tutti) a casa della sorella Anita, nel quartiere Arancio di Lucca, dove il missionario comboniano fa base ogni volta in cui rientra in Italia, per un tempo di riposo o per un’esperienza di interscambio, come quella che ha portato per la prima volta in Italia tre catadores della cooperativa Coremm di Marcos Moura (Stato di Paraiba, in Brasile) dal 23 maggio al 7 giugno.
«È stato un viaggio bellissimo, organizzato e pagato da Cuore amico di Brescia e dalla onlus Cauto che si occupa di raccolta e riciclaggio di rifiuti. La onlus bresciana ci aveva dato una grossa mano nel far partire la nostra cooperativa; così è nato un legame di amicizia: abbiamo parlato spesso di un interscambio tra i lavoratori delle due cooperative, che si è concretizzato ora con questo viaggio della presidente Maria Das Dores, catadora storica, ex semianalfabeta, che ha una coscienza molto forte del servizio che sta facendo alla società e all’ambiente; Josema, la segretaria della cooperativa, una donna giovane e preparata e Everaldo, che si occupa dei rapporti con le ditte che acquistano i materiali differenziati, con i catadores che lavorano a domicilio, con gli enti pubblici e le imprese private che donano alla cooperativa i rifiuti per il recupero. È stato un viaggio ricchissimo sia sotto l’aspetto tecnico, con la visita a due cooperative bresciane, sia sotto quello umano con gli incontri in due parrocchie di Pordenone e Torino, con cui siamo in contatto da molti anni».
Fratel Chico ha conosciuto i fratelli comboniani nel 1975, a 26 anni, grazie a un incontro estivo rivolto ai giovani.
È stata la mia ragazza di allora a propormi di partecipare, ci andammo insieme. Rimasi colpito dall’esperienza missionaria e cominciai a farmi delle domande, a interrogarmi sulla mia vocazione di vita. Ho lasciato la mia fidanzata e mi sono avvicinato alla realtà comboniana: dopo il percorso formativo e i voti, ero pronto per la prima esperienza missionaria. Pensavo che mi avrebbero mandato in Kenya, dove ero stato durante la formazione, invece mi proposero il Brasile che, dico la verità, era il mio sogno… ero attratto dalla teologia della liberazione, dalle comunità di base, mi interessavano i bambini di strada…
Il primo approdo è stato a Victoria, capitale dello Stato dello Spirito Santo.
Sono stati i dieci anni forse più belli della mia vita, dal 1985 al 1995. A Victoria lavoravo soprattutto con gli operai delle industrie degli appalti; inoltre abbiamo fondato il Centro per i diritti umani. Dopo una parentesi di cinque anni di missione in Italia, a Lecce per due anni e tre a Bari, nel 2000 sono tornato a Victoria: la situazione sociale era cambiata, la disoccupazione era cresciuta e questo ci spinse ad avviare alcune esperienze cooperative, che sono attive ancora oggi dopo ventiquattro anni: una produce magliette, tute, divise scolastiche; un’altra blocchi di cemento per l’edilizia, un’altra ancora si occupa della raccolta dei rifiuti con i catadores.
Nel 2007 fratel Chico viene inviato nel nord est del Brasile, nello Stato di Paraiba, a Santa Rita, chiamata “città delle acque” per le sue tante sorgenti, una grande ricchezza purtroppo completamente privatizzata.
Quando arrivai, rimasi veramente colpito dalla miseria della gente, privata del tutto di dignità, di autostima. Una grande massa di persone sopravviveva cercando nelle discariche materiali da rivendere per pochi spiccioli. Ancora oggi tutto il quartiere di Marcos Moura, dove vivono circa 30mila abitanti, è poverissimo, completamente abbandonato dal potere pubblico: non ci sono fognature, non ci sono strade asfaltate, pochissima illuminazione, di notte è pericolosissimo muoversi. È occupato da due cosche malavitose che gestiscono il traffico di droga, si fanno la guerra tra di loro. Tutti i giorni ci sono morti, soprattutto adolescenti e giovani. I due gruppi si chiamano Al Qaeda e Stati Uniti…
A Marcos Moura fratel Chico sceglie di abitare.
Non potevo restare lontano da quella gente. Nei primi tempi tutte le sere la mia casa si popolava di ragazzi e ragazze che venivano a trovarmi, cenavamo insieme, si chiacchierava… poco per volta il gruppetto si è allargato e così mi sono trovato la casa piena di bambini e adolescenti, dai 3 ai 17 anni. Tre volte alla settimana cucinavo per circa 35 giovani e giovanissimi… per questo dico sempre che il Progetto Legal è nato in casa mia. Quando è arrivato padre Saverio, il padre comboniano pugliese che è venuto a stare a Marcos Moura avendo una grande esperienza con gli adolescenti, è partito il Progetto Legal che oggi accoglie 180 bambini dai 7 ai 17 anni, offre loro due pasti al giorno, il doposcuola e altre attività ludiche, sportive, culturali. Insieme a quella delle suore della Provvidenza, siamo le uniche due proposte educative e ricreative presenti a Marcos Moura per i bambini e i giovani.
Nel nome del progetto è racchiuso il suo significato, il suo valore.
La parola “legal” letteralmente vuol dire legale, ma si usa anche per definire una cosa “bella e buona”. Quando abbiamo iniziato i bambini ci dicevano con orgoglio: «noi siamo 100% Al Qaeda», senza sapere né capire che Al Qaeda uccide, distrugge le famiglie, provoca e moltiplica tanta violenza. Purtroppo la figura dello spacciatore può essere molto allettante per un adolescente analfabeta, come molti di loro sono, perché la scuola pubblica non insegna niente: lo spacciatore è rispettato, è armato, ha soldi. Noi combattiamo il traffico con una “guerra non violenta”, proponendo ai ragazzi e ai bambini una alternativa di vita: dignità, amicizia, istruzione. Col tempo i bambini hanno imparato a dire: «Siamo 100% Legal». Da parte loro, gli spacciatori ci rispettano: soltanto il venerdì pomeriggio quando i bambini non ci sono, hanno il permesso di andare a giocare a calcio nel nostro campetto, rispettando le regole di educazione e correttezza che chiediamo.
Con padre Saverio che segue il progetto Legal, Chico può dedicarsi a tempo pieno ai catadores.
Nel 2010 è nata la cooperativa dei catadores di Marcos Moura: oggi siamo ventiquattro soci, più centottanta catadores che lavorano con la cooperativa senza essere soci. Tutti ricevono lo stesso stipendio, hanno gli stessi diritti, sono riconosciuti nella loro dignità e questo è l’elemento che fa la differenza. La cooperativa distribuisce ai catadores tutto il ricavato della vendita dei materiali che ciascuno conferisce.
Sono tre gli obiettivi essenziali che ci proponiamo: l’inclusione sociale dei catadores, che ora sono rispettati dalla popolazione, hanno una coscienza del valore del loro lavoro e la loro autostima è cresciuta; la tutela dell’ambiente attraverso il recupero dei rifiuti dai bordi delle strade e da piccole discariche abusive, che ha migliorato la qualità dell’aria e ridotto la diffusione di malattie; la sensibilizzazione della popolazione e del potere pubblico affinché siano attuate politiche di tutela dei catadores. Da alcuni anni abbiamo avviato la raccolta porta a porta, inoltre facciamo sensibilizzazione nelle scuole e nelle fabbriche. Riteniamo che l’inclusione sociale, l’ambiente e l’economia siano i tre cuori del nostro agire e che debbano battere insieme, senza prevalere l’uno sull’altro.
Stiamo lottando per avere un contributo dal Comune, che fino a oggi non ha fatto niente, ma certamente dovrà impegnarsi perché non può più ignorare che il nostro servizio copre tre grandi quartieri di Santa Rita, circa 80mila abitanti, più della metà della città. L’assessore all’ambiente è venuto a incontrarci, a breve firmeremo un contratto di un anno rinnovabile per cinque anni che ci darà 20mila euro per il servizio pubblico svolto dai catadores. Per arrivare al pareggio, ne servono 30mila; attualmente le spese della cooperativa sono coperte con i materiali di riciclo donati da enti pubblici e aziende private, ma non sono sufficienti.
Tanti decenni di missione come comboniano non hanno impedito a fratel Chico di mantenere rapporti vivi con la sua comunità ecclesiale di partenza.
Ho sempre mantenuto contatti con il vescovo, con l’ufficio missionario e soprattutto con la parrocchia dell’Arancio. I parrocchiani ci hanno sempre accompagnato con preghiere e gesti di vera solidarietà con i poveri. Alcuni sono anche venuti a trovarci in Brasile. Ringrazio soprattutto il gruppo del Melograno, tutti coloro che versano quote mensili e tanti che ci sostengono con offerte generose.
La ricchissima vita di fratel Chico con i poverissimi di Marcos Moura offre una parola a noi che viviamo nella povertà del mondo opulento.
Se penso alla realtà sempre più violenta, individualista, se penso alle guerre, mi sorge la domanda: «quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora fede sulla terra?». Rispondo che Gesù Cristo è venuto per dirci qual è la vera felicità: la felicità che ci indica è «lascia tutto, dallo ai poveri e seguimi». La cosa più importante è seguirlo e avere sensibilità verso i poveri: poi si scopre che sono i poveri che ci evangelizzano, questa è la mia esperienza.
Un giorno siamo andati a casa di Giuseppe, un nostro compagno, con quattro figli piccoli, che aveva perso il lavoro, e abbiamo fatto lì la riunione della pastorale. Parlavo dei volti di Dio nella Bibbia: Dio creatore, liberatore, padre… e ho chiesto: «per voi qual è il volto di Dio?». Si è fatto un grande silenzio e poi Giuseppe ha detto: «Fratel Chico, io penso che Dio assomigli molto a noi, perché viviamo la solidarietà, la comunione…»
Ma tra i catadores ci sono anche problemi di alcolismo, di droga.. una mattina presto, mentre andavo in cooperativa, ho incontrato Adriano, aveva il volto sfigurato, irriconoscibile, dalla droga. «Adriano, che fai? Dove vai a quest’ora?», gli ho chiesto. «Fratel Chico, non ti posso mentire: vado alla bocca di colibrì», che è il luogo dello spaccio di Al Qaeda. L’ho guardato: «Adriano, se vuoi puoi uscirne, conosco un posto dove puoi disintossicarti, cominciare una nuova vita». «Ci posso pensare un po’? Perché in quei posti ci deve andare chi è veramente convinto». Ci siamo lasciati così, oggi sono cinque mesi che Adriano non fa uso di droga, è cambiato completamente, è bellissimo.
A Marcos Moura la realtà è molto dura, ma vale la pena… viviamo ogni giorno le morti, ma ci sono anche le Resurrezioni.

FRATEL FRANCESCO D’AIUTO è un missionario comboniano di Lucca che dal 1985, con una sola interruzione di cinque anni, vive in Brasile: i primi diciassette li ha vissuti a Victoria, nello Stato dello Spirito Santo; dal 2007 si trova nel nord-est, a Santa Rita (Stato di Paraiba), dove condivide vita e lavoro con i poverissimi del quartiere Marcos Moura.

Affidiamo a fratel Arturo Paoli, che ha dedicato le maggiori e migliori energie della sua lunga vita ai giovani incontrati nei diversi e distanti luoghi in cui ha vissuto, le parole con cui esprimere coraggio, fiducia, speranza a una generazione che si trova a crescere in un mondo devastato dalla «terza guerra mondiale a pezzetti».
Il testo è tratto dal libro La rinascita dell’Italia. Messaggio ai giovani, edito da Maria Pacini Fazzi nel 2011 (pp. 39-43).

Cari giovani della mia terra lucchese e di ogni parte dove arriveranno queste parole, vi scrivo nel bel mese di ottobre, il mese della svinatura. Ieri sera mi sono imbattuto in un contadino reduce dalla cantina dove si produce buon vino e l’amico manifestava la gioia di dirmi che quest’anno il nostro vino sarà in quantità minore ma di qualità migliore. L’incontro con questo contadino pieno di gioia mi ha trasmesso ottimismo e speranza perché quest’anno c’è del buon vino che io forse non berrò, ma in questo momento accresce il mio entusiasmo di proseguire il dialogo con voi giovani. Mi offre un aiuto un collega seppure di altra generazione, Armando Matteo, un collega simmetrico perché ha ricoperto l’incarico di assistente nazionale dei giovani universitari, simile a quello che io ho ricoperto in anni lontani. Le parole che trovo in un suo libro (La prima generazione incredula, Rubbettino editore) mi permettono di riprendere il filo della mia riflessione sull’amore profetico che può salvare la gioventù, questa generazione definita come la prima “incredula”. Mi sono sentito balzare il cuore perché passando attraverso tante vicende, mi sono riconosciuto – così spero – nel «testimone di una vita difficile ma bella, faticosa ma ricca di opportunità, fragile ma soprattutto segnata da un brivido di eternità». Nessuno è in grado di costruire la propria vita come vorrebbe ed è bene che non ci sia concesso di fare un progetto preventivo, sbaglieremmo tutto. Avevo solo chiaro l’ideale di amare i giovani soddisfacendo le loro attese. Cercavo di capire con loro che cosa ci richiedevano gli eventi.
La grande guerra era terminata lasciando in me il ricordo della grande occasione di avere vissuto quell’amore per gli altri spesso declamato ma che sarebbe restato teorico senza l’evento infausto della guerra. Dopo alcuni anni mi sarei trovato coinvolto in fatti molto più tristi e complicati scatenati dai militari argentini contro la cosiddetta sovversione politica. Mi sono trovato a essere uno dei perseguitati. Non mi sento un eroe perché non sono andato volontariamente incontro a rischi e pericoli, ma la scelta dei giovani mi ha offerto l’occasione di pensare la mia vita in funzione di donarla per loro. Mi servo delle parole del mio collega per chiarire meglio il percorso che ho inteso seguire nella mia vita: «La felice prassi dei corsi di introduzione alla Sacra Scrittura non è sufficiente e spesso produce una eterogenesi dei fini; può correre il rischio di allontanare più che avvicinare alla Scrittura, in quanto l’eccessiva istituzionalizzazione di questi corsi affidati a maestri dell’esegesi e la struttura rigida del loro svolgimento avallano l’idea che senza l’aiuto di un esperto la Bibbia non possa parlare al cuore di tutti. Si deve invece proporla ai giovani come elemento qualificante della vita cristiana: bisogna leggerla e rileggerla, per permettere a essa infine di leggere la nostra vita e di riconsegnarcela con una nuova consapevolezza».
Riscoprire con loro e per loro la qualità altamente umana e umanizzante della novità cristiana, attestata e rilanciata dalla Scrittura, è compito impreteribile della Chiesa. È questo il pane che può soddisfare la fame e la ricerca di senso dei giovani, al contrario di quelle briciole spirituali che un certo risveglio religioso continua a spargere per far fronte allo stress della vita moderna.
Gli adulti di oggi danno un esempio negativo ai giovani, cominciando dal vertice dei responsabili politici. Per amore di potere e di pecunia, si sono tutti piegati a sostenere come Presidente un ricco incompetente di politica, egocentrico, superficiale, che è riuscito a captare la simpatia con le sue oscenità che oscurano il Bel Paese che fu già la patria degli Spiriti Magni e mostra che il potere può dominare la giustizia facendola apparire una complicazione inutile, un freno alla libertà di gestire la vita come vogliamo.
Quanto vorrei dare il piccolo resto della mia vita per far capire che la fede in Dio non è qualcosa di statico, non è un ostacolo alla vostra indipendenza! Vorrei aprire il mio cuore per persuadervi ad aprire il vostro cuore alla Fonte dell’amore e della vita. Vi ho parlato della gioia trasmessami da un contadino che mi comunicava che quest’anno il vino sarà generoso. Questo ha messo nel mio cuore una speranza. Sta nascendo intorno a me una comunità di giovani credenti e voglio che siano loro a trovare le forme nuove di vivere la fede. Spontaneamente hanno cominciato dal vangelo. Sono sulla buona strada, leggere il vangelo è mettersi in comunicazione con Gesù che è la parola. Forse perseverando in questa lettura troveranno la risposta alle due domande di Armando Matteo che faccio mie: «potrebbe la profezia trasmettere alla gioventù il coraggio di opporsi a questo mondo adulto gravemente ammalato di protagonismo? Saranno capaci i giovani di impostare una vita diversa guidata da una forza di amore che infonda il coraggio di denunziare il mondo adulto che ha perduto ogni autorità?». L’Italia è stata oltraggiata, ferita da una classe politica e molti adulti hanno pensato solo a godere la vita. Vorrei che la gioventù si sentisse amata perché solo così potrebbe trovare il coraggio di imporsi al mondo adulto, incapace di un avvenire positivo per la nostra Patria.
Il beato Carlo de Foucauld, mio maestro, dopo avere scoperto il vuoto di tanti amori che falsamente dimostravano felicità ma non contenevano che tristezza e vuoto, accolse questo Amore vero che discende da Dio e andò a viverlo fra i non cristiani, guidato dall’intuizione che solo questo amore è capace di unire le famiglie umane in una grande famiglia e scelse di essere chiamato fratello universale. Durante una carestia durissima si sentì avvolto da una tenerezza indicibile perché la comunità araba condivideva con lui quel minimo che aveva per sopravvivere. Il solitario che viveva in una cella lontana non fu mai dimenticato e la sua scelta portò frutti abbondanti.
Gli adulti genitori di questa prima generazione incredula non hanno pensato ai figli; ma i risultati del loro governo dimostrano ampiamente che tutto ciò che esce da noi, guidati dall’energia fabbricata da un io solitario e egoista, porta a risultati negativi. L’Europa con la sua serie di conflitti armati è un modello dell’egoismo della legge di questi adulti al potere.
Non voglio essere la vostra guida, i giovani che sono intorno a me voglio che capiscano solo che Dio confida in loro. Quando cominciai il mio servizio sacerdotale, non volevo essere un prete della tradizione e mi venne incontro il decimo capitolo del vangelo di Luca che parla di Gesù che manda i settantadue discepoli. Li intrattiene su temi che si potrebbero giudicare secolari, di dettaglio: come si devono vestire e calzare, essere educati quando entrano in una casa e cose del genere. Una cosa pareva veramente essenziale, che cosa diranno arrivando inattesi e senza risorse materiali? Non portano doni per ottenere che le porte si aprano ad accoglierli e finalmente Gesù dà loro l’incarico in una sola parola: «Pace».
Oggi non saprei come cominciare per ritrovare un nuovo rapporto dei giovani con la fede. Lo desidero ardentemente perché la fede è stata motivo di grande sofferenza ma una sofferenza pregnante di gioia e di pace. Attendo la morte con una certa impazienza pensando forse ingenuamente di avere potere di aiutarvi più efficacemente. Questo solo pensiero è quello che contiene il desiderio di chiudere la mia esistenza. Ma è anche bello esistere quando troviamo dei giovani tormentati dall’amore del nostro Fratello Universale.
Ho ferma fiducia che il piccolo gruppo cresca nella fede e nella consapevolezza di aiutare l’Italia a risorgere occupando il posto che spetta loro nel momento storico attuale come fu per noi il momento drammatico al terminar della guerra. Io vi accompagno con tutta la fiducia che ogni mattina si rinnova nell’incontro con lo Spirito finché nasca il nuovo giorno.
Coraggio giovani, il prossimo futuro si offrirà solo a voi. La generazione adulta scomparirà presto perché il futuro è solamente di chi crede e spera fortemente nella vita che rinasce nel tempo.