Tempo quotidiano di fede
l’educazione alla fede avviene soltanto per testimonianza offerta
di don Carlo Molari
La vita dell’uomo si svolge nel mistero, ma non si sviluppa nell’ignoranza: l’uomo, infatti, esige di conoscere ciò che gli è offerto per poterlo accogliere interamente. Per questo il mistero si offre nell’esperienza vitale in modo da essere conosciuto e si svela a chi si rende disponibile. È appunto questo svelarsi del mistero nei luoghi e nei tempi umani che rende possibile la fede. Quando la rivelazione è impedita, la fede non è indotta o svanisce, e allora la vita perde consistenza e viene rifiutata. Occorre quindi conoscere bene in quali modi e a quali condizioni si realizza la rivelazione per prepararsi ad accoglierla nell’esperienza quotidiana.
Nella predicazione e nella teologia degli ultimi secoli la rivelazione veniva spesso concepita come un complesso di notizie comunicate miracolosamente da Dio ad alcuni uomini e conservate in alcune tradizioni religiose. In base a questa convinzione le chiese cristiane spesso si sono contrapposte al mondo come detentrici di conoscenze esclusive, provocando, man mano che le scienze hanno acquisito una loro autonomia, forti divergenze tra la dottrina della fede e la cultura profana. Il Concilio Vaticano II ha presentato, invece, la rivelazione come una serie di eventi, accompagnati da parole (DV 2), attraverso i quali l’uomo è progressivamente condotto dai segni di Dio alla scoperta del suo mistero e alla percezione del senso della storia. In questa prospettiva la rivelazione non è riserva di luoghi sacri o esclusività di momenti religiosi. Essa ha un carattere pubblico e non riservato, ha un carattere vitale e non esclusivamente intellettuale, ha un carattere storico e non speculativo. I simboli di fede, le pagine bibliche, le formulazioni dei Concili, perciò, sono espressioni della rivelazione in quanto narrazioni di esperienze vissute nella storia umana ed esposizione delle riflessioni da queste suscitate. La Parola che alimenta la fede è la Parola della creazione, è la Parola che suscita tutti i profeti e che chiama ogni uomo ad un destino eterno. La rivelazione inizia con la creazione e continua in tutte le fasi del tempo. La Parola, attraverso cui Dio si rivela, perciò, non è rivolta solo ad alcuni popoli, ma a tutti e costituisce un patrimonio comune dell’umanità. La rivelazione si è realizzata in tutti gli eventi, attraverso i quali Dio ha condotto gli uomini alla scoperta del loro destino e la sua risonanza si rinnova in ogni esperienza autentica della vita umana. Ciò non significa che tutte le religioni o tutte le culture siano ambiti equivalenti di rivelazione, dato che ogni tradizione e ogni storia ha la sua specificità nella quale assieme a frammenti di verità sono inseriti errori e insufficienze. A ciascuna religione e cultura incombe il dovere di individuare la propria specifica missione e di proporla all’accoglienza di tutti gli altri.
In questa prospettiva si comprende meglio la missione di Gesù (e della chiesa) come luogo di rivelazione o decodificatore dei messaggi divini inseriti nella storia degli uomini.
Da ciò deriva la necessità che nei luoghi dove la storia si svolge siano presenti testimoni che aiutino a cogliere il mistero sotteso e offrano con la loro vita i criteri per leggere i segni dell’azione di Dio.
La chiesa è la comunità cresciuta attorno all’esperienza di fede di Gesù Cristo, «iniziatore e consumatore della nostra fede», come dice la lettera agli Ebrei (Eb 12, 2). Egli ha realizzato una rivelazione di Dio che ha suscitato una tradizione nuova di credenti in Dio. Considerare Gesù come un testimone di Dio significa fare propria la sua forma concreta di fede, assumere gli ideali di vita per cui egli è vissuto fino a morirne. La comunità cristiana quindi è prima di tutto memoria della fedeltà di Gesù, ricordo degli eventi attraverso i quali Gesù è stato costituito Messia e Signore per noi (cf At 2,36). Riferirsi alla morte e alla risurrezione di Gesù significa richiamare i valori che Egli ha vissuto, per i quali gli uomini lo hanno ucciso e Dio lo ha glorificato. In questo senso ogni testimone della fede richiama con la sua presenza l’efficacia dei valori vitali conservati come Parola di Dio nella tradizione sorta da Gesù di Nazaret, accolti e verificati da generazioni intere e proposti anche oggi come condizione di autentica umanità. Anche la memoria dei santi fa parte di questo richiamo necessario. La missione rivelatrice di Gesù, infatti, è comprensibile solo se l’esperienza di Dio viene nuovamente proposta e se la fede in Lui guida a traguardi nuovi di vita. La serie ininterrotta di santi è garanzia dell’efficacia salvifica del Vangelo, lungo i secoli e presso tutti i popoli. L’impegno principale di una comunità ecclesiale deve essere appunto quello di suscitare nuovi santi che continuino nel tempo l’epifania di Dio e rendano visibile in modo efficace il suo amore. La rivelazione iniziata così nei primi istanti della creazione nella chiesa può assurgere ad espressione dei traguardi di umanità e del destino eterno cui tutti i popoli sono chiamati.
Da quanto è stato detto risulta con chiarezza che l’educazione alla fede può avvenire solo per la testimonianza offerta nei luoghi dove la vita si svolge e secondo i modelli culturali che vi vengono utilizzati. Non perché essi siano veri in assoluto, bensì perché sono gli unici che consentono di trasmettere messaggi in quel luogo e in quel tempo. Per una testimonianza efficace è necessaria una presenza: essere lì per ricordare che nella vita è in gioco una Realtà immensa, che solo nei frammenti del tempo può essere colta; essere lì per far percepire che nell’amore si esprime un Bene molto più ricco delle persone incontrate, ma che solo attraverso di esse può essere riconosciuto; essere lì per rendere consapevoli che la Verità in azione è molto più ricca delle parole pronunciate, ma che solo attraverso i frammenti può risuonare negli spazi umani; essere lì per indicare una Presenza più grande. I testimoni di Dio portano questo duplice messaggio: l’Eterno è, ma all’uomo si svela solo nei frammenti del tempo; l’Immenso è, ma per l’uomo abita solo gli spazi angusti dei suoi luoghi. Affermare che esiste il Bene, ma non indicare la sua possibile rivelazione nello spazio/tempo, non opera salvezza, può condurre anzi alla disperazione
La testimonianza di Dio richiede di abitare i luoghi degli uomini per andare oltre il tempo, di percorrere gli spazi al fine di raggiungere la vita oltre le provvisorietà dell’esistenza. Proprio perché Dio è il Tutto, nessun luogo lo può contenere e nessun tempo esaurirne la potenza. Dio è sempre oltre le sue espressioni create e occorre cercarlo sempre altrove dai luoghi dove le creature si incontrano. Un altrove, però, che solo abitando lo spazio umano può essere indicato e raggiunto. Dio è sempre fuori dei tempi storici, ma è raggiungibile solo quando si attraversano i tempi degli uomini.
Di qui la duplice consapevolezza che deve guidare le scelte pastorali: non c’è altra possibilità per offrire vita che frequentare gli ambiti dell’esistenza umana, ma per indicare quegli squarci di cielo dai quali si intravedono gli spazi eterni. Solo percorrendo i luoghi e abitando i tempi degli uomini come testimoni di Dio si possono indurre dinamiche di vita eterna e indicare orizzonti infiniti.
CARLO MOLARI (Cesena, 1928)
Teologo, monsignore, presbitero. Ha insegnato Teologia dogmatica all’Università Lateranense, in quella Urbaniana e nell’Istituto di Scienze religiose della Gregoriana. Dal 1961 al ’68 è stato Aiutante di Studio della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, dal ’66, per un decennio segretario dell’Associazione teologica italiana e membro del Comitato di consultazione della rivista internazionale Concilium. Autore di molti libri e saggi su temi teologici e spirituali. Autore di una rubrica sul quindicinale Rocca. Amico e collaboratore di Ore undici fin dalle origini.