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«Perché voglio fare scuola»

di Lorenzo Milani in “Il Sole 24 Ore” del 23 aprile 2017

Per il parroco di Barbiana «una gioia individuale è minore di quella sociale». I suoi scolari erano contadini poveri. Imparare da lui doveva essere per loro un’eterna ricreazione

Se mi domandate perché faccio scuola, rispondo che faccio scuola perché voglio bene a questi ragazzi. Come voi mandate a scuola i vostri figlioli, così io ci tengo che i miei figlioli abbiano scuola: questa è una cosa affettiva, naturalissima. Mi pare non ci sia neanche da perdersi a spiegarla. Dal punto di vista proprio di parroco, ho l’incarico di predicare il Vangelo.

Predicarlo in greco non si può perché non intendono. Sicché, bisogna predicarlo in italiano. Resta da dimostrare che i miei parrocchiani intendano l’italiano. Questa è quella cosa che io nego.

Quantunque i miei parrocchiani siano toscani, quantunque usino espressioni dantesche ogni poco, non son capaci di un discorso lungo, di un discorso complesso, di una lingua che non sia quella che serve per vendere i polli al mercato di Vicchio il giovedì, o nei pettegolezzi delle famiglie. Una lingua così povera non è assolutamente sufficiente per ricevere la predicazione evangelica. Questa è la condizione, direi di ordine pastorale, che non dovrebbe direttamente interessarvi, ma vi spiega un po’ perché mi occupo di questa cosa. Su questa premessa, cioè considerandomi un missionario in un paese straniero di cui non conosco la lingua, io avevo ancora la possibilità di studiare la loro lingua e parlare il loro linguaggio, ma mi dispenso dal dimostrarvi che questo linguaggio non esisteva.

Non si può parlare la loro lingua perché è una lingua di basso interesse, di bassi vocaboli. Non bassi in senso cattivo, ma non elevati. Ed io non mi ci abbasso a livello dei miei parrocchiani. Abbassarsi al loro linguaggio e non dire più cose alte, a me non va. Io seguito il mio linguaggio alto e quindi o loro vengono al mio linguaggio o non ci si parla. Ecco perché io ho iniziato il mio apostolato dalla scuola, con l’insegnare la grammatica italiana. Alla fine è successa questa disgrazia d’innamorarmi di loro ed ora mi sta a cuore tutto quello che sta a cuore a loro. Ecco perché questa scuola poi è diventata una scuola, diciamo così, laica, severamente laica. Sono partito con l’idea di fare della scuola il mezzo di intendersi e di predicare, poi nel far scuola gli ho voluto bene ed ora mi sta a cuore tutto di loro, tutto quello che per loro è bene, persino l’aritmetica che a me non piace e il loro bene è fatto di tante cose: della preparazione politica, sociale, religiosa, della cura della salute.

Insomma c’è di tutto. Né più né meno quello che voi fareste e fate per i vostri figli.

Quale ideale potreste propormi che io dessi alla scuola? Le gioie infinite della cultura, per esempio? Io potrei far amare il Leopardi perché è Leopardi. Per la gioia per tutti che è di poter intendere un canto di Leopardi, ma per grande che sia il Leopardi, quando una gioia è individuale è minore di quella sociale. Se io dico «Farò leggere a tutti gli operai del mondo il Leopardi!» è più bello, è in sé più cristiano. Vi parlo da sacerdote perché oltretutto io sono più prete di voi. Io sono prete, se ve lo dico io, si può dire.

Direttore didattico: Cioè elevare il sapere dal livello individuale a un piano più universale?

Milani: Più universale? Si può far amare anche tutti, ricchi e poveri. Fatelo voi se sapete. Io non so. Io mi contento di aver fatto amare il 90% dell’umanità. La scuola attuale fa amare uno solo: se stessi. Sicché, ho fatto più io. Come allargamento di cuore, gliene dò più io con il classismo, che non la scuola attuale con l’individualismo. Poi se viene fuori uno che sa fare amare l’umanità intera, alzi la mano, lo seguo. Se trovate il trucco per appassionare i ragazzi ad amare l’umanità intera, ricchi e poveri, oppressori e oppressi, colonialisti e colonizzati, bravi voi. Io non ci riesco. Io riesco a fare amare la scuola e tutto quello che si insegna a scuola, perfino la matematica, perché dico: «domani la insegnerai a un algerino», siamo cioè sempre tesi a questa passione sociale di lotta. E con questa s’appassiona i ragazzi piccini e quelli grandi. Si può cominciare da piccolissimi: i miei ragazzi di quarta elementare sanno ciò che succede in Algeria. Quindi sono già appassionati e vogliono sapere di più. Così la scuola funziona, non ho nessuna difficoltà a farli stare a scuola quante ore voglio. Non ho nessun problema di ricreazione. Non esiste. La ricreazione è totale. Tra badar pecore e stare a scuola, la scuola è tutta una ricreazione.

Direttrice didattica: Non è un problema di ricreazione, è che lei rende amabile, divertente lo stare insieme.

Milani: Le assicuro che non sono molto amabile. Questa è una conferenza e si fa presto a essere amabili, ma io le farei vedere sopportarmi dodici ore al giorno.