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Il pozzo di Sichem

Spunti presi da Gianfranco Ravasi, Secondo le scritture, Piemme, vol. I, pp. 73-78.

Nel libro della Genesi (33,13) si narra che Giacobbe, al ritorno della Mesopotamia, ove aveva prestato servizio presso Labano, giunto a Sichem, nel cuore della terra promessa, “aveva eretto un altare e fatto scavare un pozzo per bere lui coi suoi figli e il suo gregge”. Su questo pozzo incombe un monte verdeggiante, il Garizim, sede di culto per la piccola comunità dei Samaritani, discendenti da quella popolazione mista e ostile agli Ebrei costituitasi dopo il crollo della città di Samaria (721 a.C.) attraverso una miscela razziale tra ebrei scampati e coloni assiri là deportati.

I Samaritani, ridotti oggi a poche centinaia residenti nella vicina città di Nablus, salgono ancora su questo monte sacro a celebrare la loro Pasqua e le loro solennità.

Ora, secondo quella che è stata chiamata “la mistica dello spazio” caratteristica del quarto Vangelo, il testo odierno “della Samaritana” si snoda proprio sui grandi segni topografici appena descritti trasfigurandoli per renderli simboli di un mistero più alto.

 Il primo segno è quello dell’acqua del pozzo, la realtà che l’orientale cerca con ansia continua all’interno del suo panorama così assolato, sapendo che essa non è solo strumento di purificazione e di refrigerio ma è soprattutto radice di vita e di fecondità. L’acqua permea il suolo, facendo sbocciare germogli verdeggianti; l’acqua combatte la morte del deserto insediandovi la vita; l’acqua rinvigorisce l’uomo nel suo cammino quotidiano.

Anche l’altro segno geografico il monte sacro dei Samaritani, viene da Gesù trasformato in un simbolo, quello del vero culto. Il Sion di Gerusalemme e il Garizim di Samaria erano i due altari che si contendevano in forma esclusiva e spesso magica la presenza di Dio.

C’è, infine, un terzo segno topografico, quello di Samaria e dei suoi abitanti. Gesù, rompendo tutte le remore puritane e i pregiudizi, accetta il dialogo con questa donna, considerata dal giudaismo ufficiale impura, diabolica ed eretica.

Nel deserto i pozzi sono i grandi snodi delle piste carovaniere e i tipici luoghi d’incontro: il servo di Abramo incontra Rebecca, la futura moglie di Isacco, proprio ad un pozzo, come è a un pozzo che Giacobbe ha notizie di suo zio Labano e Mosè conoscerà sua moglie proprio ad un pozzo del deserto di Madiam. Ed è al “pozzo di Giacobbe”, l’unico ancor oggi esistente nella regione di Sichem, che Gesù apre quel celebre dialogo con la Samaritana che la liturgia odierna ci propone. Già dal IV  sec. un santuario aveva circondato questo pozzo profondo 32 metri; anche i crociati vi eressero una basilica nella cui cripta era stato conservato il “pozzo di Giacobbe”.

Ora quel luogo è di proprietà degli ortodossi: gli zar russi si erano offerti di costruire un tempio attorno al pozzo ma, come è visibile ancor oggi,  si innalzarono solo i muri perimetrali perché nel frattempo gli zar erano stati spazzati via dalla rivoluzione sovietica del 1917. Ancor oggi i pellegrini passano in mezzo a questo tempio-fantasma e scendono nella cripta oscura per assaggiare l’acqua freschissima del pozzo ai cui bordi venti secoli fa si sedette Gesù, “stanco del viaggio, verso mezzogiorno, e chiese ad una donna samaritana: “Dammi da bere!”.

Tutto il dialogo di quel giorno si era svolto proprio sull’acqua, che per la Bibbia è un grande simbolo teologico. Ben 1500 versetti dell’Antico Testamento e 430 del Nuovo sono “immersi” nell’acqua, anche perché è proprio questa la realtà che più desidera tutto il paesaggio orientale, spesso assolato, arido e assetato. Indimenticabile è la definizione di Dio e del male offerta da Geremia sulla base del contrappunto tra una fonte zampillane e una cisterna melmosa: “Il mio popolo ha abbandonato me, sorgente d’acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l’acqua” (2.13).

Le parole di Gesù sull”acqua viva” – cioè sulla rivelazione del Padre donata agli uomini attraverso il Cristo – ci invitano a riprendere questo simbolo amato da tutte le culture, radice stessa della nostra esistenza. Anche ai nostri giorni l’acqua ritorna a parlarci con tutta la sua forza fisica e simbolica a causa dell’insensato inquinamento dei fiumi e delle falde, a causa degli squilibri ecologici, dei ciechi egoismi industriali, degli sprechi e del disprezzo nei confronti della natura.