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La preghiera di Gesù: il Getsemani trasformato

da “Il quarto Vangelo – Racconti di un mistico ebreo” di John S. Spong

Prima di entrare nell’esperienza culminante della sua vita, ecco che il Gesù di Giovanni offre una preghiera. Nei Discorsi di addio Gesù aveva cercato di comunicare con le parole. Nella storia della passione cercherà di farlo attraverso l’esempio della sua vita. Questa preghiera separa i Discorsi dalla storia della passione e, come molte cose nel quarto Vangelo, usa parole e immagini che la differenzieranno, sia nei termini sia nel significato, da qualsiasi altra cosa apparsa precedentemente nei Vangeli sinottici.
In quei Vangeli precedenti si raccontava che prima del suo arresto Gesù avesse offerto una preghiera in un luogo chiamato Getsemani, una parola che è connessa a un frantoio per l’olio d’oliva. Le parole della preghiera erano leggermente diverse in ogni Vangelo, ma il significato era essenzialmente lo stesso. Marco riporta così le parole:

«Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me que­sto calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Matteo non fa nessun cambiamento sostan­ziale. Luca aggiunge (in alcuni, ma non in tutti i manoscritti antichi) qualche nuovo particolare, come l’angelo che gli appare dal cielo per rafforzarlo nella sua decisione (Le 22,43) e una descrizione che illustra l’intensa agonia di Gesù: Luca ci dice che mentre Gesù pregava più intensamente «il suo sudore diventò come gocce di san­gue che cadono a terra» (Lc 22,43).

Anche prima che i Discorsi di addio cominciassero, Giovanni aveva escluso le preghiere nel Getsemani dei Vangeli precedenti. Quelle parole erano semplicemente inadeguate alla sua visione di Gesù, della sua passione e della sua morte. Avrebbe forse potuto dire: «Allontana d me questo calice»? No, il Gesù di Giovanni afferma: «E proprio per questo che sono nato. Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Poi a questa inter­pretazione Giovanni aggiunge una spiegazione: «Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (Gv 12,33). La croce sarà il trono che rivelerà Gesù!
Con quel preambolo alla crocifissione e con quella interpretazione della morte di Gesù, è ovvio che la pre­ghiera di Gesù nella versione di Giovanni dovrà essere molto diversa da quella concepita dagli scrittori dei Vangeli sinottici. C’è almeno un eminente studioso di Giovanni che crede che questa preghiera sia la chiave per capire l’intero Vangelo, e in effetti lo è.
Osserviamo prima di tutto il modo in cui la preghiera è introdotta: comincia con Gesù che annuncia che «l’ora è venuta» (Gv 17,1), parole familiari nel dramma di Giovanni che descrivono un destino ineluttabile che conduce Gesù inesorabilmente verso il significato che «la sua ora» rivelerà. Il momento per il quale «il verbo di Dio» era nato è arrivato. La croce diventa visibile, non come il luogo dell’esecuzione, ma come il trono sul quale Gesù sarà sollevato da terra per diventare il significato supremo della rivelazione divina. «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1).
La «grande preghiera sacerdotale» 32 si sviluppa dunque in tre parti. La prima è una preghiera che Gesù dice per sé stesso, la seconda è una preghiera per i discepoli e la terza è una preghiera offerta per coloro che, nel corso della storia, crederanno in virtù della testimonianza dei discepoli. La richiesta fondamentale di questa preghiera è che ci sia unità tra i credenti. L’esito auspicato però non è l’unità ecclesiastica, come spesso è stato sostenuto. Quella interpretazione è sempre al servizio del potere istituzionale. Né si tratta di unità di contenuti o di dottrina come vari concili della Chiesa hanno così spesso affermato e cercato d’imporre. Non è un ‘unità imposta dall’esterno su una base qualsiasi al servizio di un programma qualsiasi. No, l’unità di cui parla questa preghiera è l’unione dell’umano con il divino che ha costituito il tema costante di questo Vangelo. È l’unità della vite con i tralci. Questa unità si raggiunge quando si capisce che Dio non è un essere esterno, ma l’essenza della vita. Giovanni fa perfino usare a Gesù nome e titolo in terza persona per far capi­re meglio questo punto. L’unità si realizza conoscendo «l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). Il verbo di Dio proviene da Dio, rivela il significato di Dio e ritorna a Dio. E un’esperienza rustica di unità: non un’unità nella quale scompare l’individualità, bensì un’unità nella quale si afferma l’individualità, si abbandona la sicurezza e si entra in un nuovo essere.
Nella sua preghiera, Gesù rivolge poi l’attenzione ai suoi discepoli. Comincia ricordando episodi della sua vita che ha condiviso con loro. «Ho manifestato il tuo nome», dice rivolto a Dio, «agli uomini che mi hai dato dal mondo». Nel linguaggio del mondo ebraico, il <<nome» di Dio equivale all’essenza di Dio, come abbiamo, visto prima a proposito dell’espressione «IO SONO». E per questo che preghiamo: «Sia santificato il tuo nome. Il Gesù di Giovanni dice: ho fatto conoscere l’essere divino, ho dato ai miei discepoli «il verbo», la rivelazione di chi è Dio la rivelazione che tu, Dio, hai dato a me. I discepoli avrebbero capito che «il verbo» di Dio è la rivelazione dell’essere di Dio. Gesù chiama a un nuovo essere, nel quale si entra in una nuova dimensione di vita e attraverso il quale si fa l’esperienza di un’unità trascendente.
«Io non sono più nel mondo», Giovanni fa dire a Gesù, rivelando che non compone questo testo nel tempo precedente la crocifissione, ma nel tempo per il quale il libro è scritto. In quel tempo, la comunità giovannea è nel mondo. Così prega per loro: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome» (Gv 17,11). Ho aperto per loro una porta verso l’essenza di Dio, mantienili in quell’essenza. Quello era il mio compito quando ero con loro, ma adesso sto per lasciarli e la loro gioia deve realizzarsi nella loro nuova vita. Sono stati elevati al di là delle barriere dietro le quali gli uomini si nascondono per sopravvivere. Adesso vedono con occhi nuovi, amano con cuori nuovi, e sono arrivati a una nuova comprensione di cosa significhi essere umani. Perciò sono diversi e il mondo odierà sempre ciò che presume sia differente. La luce fa paura a chi si nasconde nell’oscurità. L’amore fa paura a chi ha eretto difese impenetrabili.
«Non prego», continua Gesù, «che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno» (Gv 17,15). Gesù cerca di spiegare che credere non significa che non si debbano sopportare dolori e pericoli. Significa che si ha la forza di essere per vivere nel dolore e nel pericolo senza disintegrarsi. Significa che niente di ciò che è ester­no a ciascuno di noi può alla fine distruggerci. Siamo collegati a ciò che è reale ed eterno.
«Consacrali», rendili santi, completi, continua Gesù (Gv 17,17). Rendili liberi di essere tutto quello che sono capaci di essere. In questo modo comprenderanno la rive­lazione di Dio, la verità del «verbo» e l ‘essenza della vita di Gesù. Dio mi ha mandato nel mondo come portatore di questo «verbo di Dio», dice. Così come io un tempo sono stato mandato, adesso è arrivato il mio turno di mandare loro. Sono stato consacrato, reso completo e santo, e libero di donare la mia vita. Prego che anche loro possano essere consacrati, resi completi e santi, e liberi di donare la loro vita.
A questo punto la preghiera si volge finalmente al futuro, a coloro che «crederanno in me mediante la loro parola» e mediante la vita da discepoli dei seguaci di Gesù. La sua preghiera è che «tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,21). L’unità, la connessione interna di vita e amore, unisce Dio e l’umano, il Fondamento dell’Essere e l’essere. Il quarto Vangelo non si stanca di ripetere il suo messaggio. Dio non è un’entità esterna e distante, Dio è una vita in cui entriamo, un amore che condividiamo, la terra nella quale siamo radicati. Cristo non ci chiama a entrare nella religione, ma in una nuova unione mistica. La morte di Gesù non sarà la fine della sua vita; sarà il momento in cui è finalmente rivelato il significato di Dio, il momento in cui Gesù sarà glorificato, perché quando sarà sulla croce in lui il mondo vedrà Dio. Lì Gesù rivelerà Dio come il ritratto di una vita ampliata, di un amore senza limiti e di un essere accresciuto. È un invito a passare attraverso la porta di Cristo («lo sono la via», Gv 14,6) e ad entrare nella vita amplificata di Cristo («lo sono la risurrezione», Gv 11,25).
La parte finale della preghiera chiede che coloro che diventano seguaci possano essere con Cristo: «per contemplare la mia gloria» (Gv 17,24). Questa non è la richiesta di andare in un luogo dove si possa essere rassicurati vedendo qualcosa che gli occhi normalmente non possono vedere. È invece la richiesta che la vita di Dio, incontrata nella persona del Cristo, possa essere vista nei seguaci di Gesù e che anche noi si possa rivelare la gloria di Dio. È la preghiera che l’essenza dell’amore possa essere «in loro come io sono in loro». La buona novella del Vangelo, così come la interpreta Giovanni, non è che tu, peccatore caduto, abbietto e miserabile, sia stato salvato e sottratto al tuo destino e alla tua meritata punizione dal potere invasivo di un Dio soprannaturale ed eroico che ti è venuto in aiuto. Giovanni non dà mai credibilità a quel terribile mantra, colpevolizzante e carico di colpa, che dice «Gesù morì per i miei peccati».
C’è invece questa nuova e incredibile visione del significato della vita. Non siamo caduti, siamo semplicemente incompleti. Non abbiamo bisogno di essere salvati, ma di sentire il potere in un amore universale. Non siamo chiamati a essere perdonati e neppure a essere redenti, ma a superare i nostri limiti e a entrare in una nuova comprensione di che cosa significhi essere umani. L’appello diretto a noi è di passare dalla coscienza di sé alla realizzazione di far parte di una coscienza universale. Nell’interpretazione di Giovanni, il messaggio di Gesù è che si scopre l’essenza della vita quando si è liberi di donare la propria, che si conosce l’amore nell’atto di amare, e che l’appello della vita umana è di essere tutto ciò che possiamo essere e poi di aiutare gli altri a essere tutto ciò che loro possono essere.
Questo è il significato indicato dai segni nel Vangelo di Giovanni. Questo è il messaggio ripetuto così tante volte nei Discorsi di addio. Questa è l’essenza della preghiera creata da Giovanni e messa sulle labbra di Gesù.