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Contemplazione

La parola contemplazione ci dà l’idea di una visione globale, una pluralità che si può abbracciare, comprendere con un solo sguardo. Ci dà l’idea di uno sguardo profondo che afferra la realtà dalle sue radici, l’idea che si esprime nella parola inglese insight. Ci dà l’idea di un lungo indugio sulla realtà per vederla completamente, senza perdere nessun dettaglio. Si tratta di un’attività intellettuale, dell’intelligenza che penetra in un oggetto e in qualche modo se ne impadronisce. Ci suggerisce l’idea di uno sguardo che raggiunge il largo, il profondo, l’esteso di un oggetto. San Paolo riferendosi alla conoscenza di Dio, la definisce in queste parole: «Siate capaci di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza.» (Ef 3,18-19).
L’attività contemplativa non è essenzialmente un’attività “religiosa” dell’uomo: la struttura della nostra intelligenza punta sulla contemplazione come alla sua legge vitale. Un’intelligenza normale trova scampo dalla confusione nella contemplazione. Si può dire che i due poli entro i quali si muove la nostra intelligenza sono la confusione e la contemplazione. Intelligenza confusa significa intelligenza perduta nella pluralità degli oggetti, affogata in una realtà caotica, incapace di dominarla come un naufrago che non possa emergere sulle onde del mare. Intelligenza contemplativa è quella che è riuscita ad emergere dal mare della pluralità e ordinarla. Questa liberazione dell’intelligenza non è una conquista di intellettuali o specialisti, è il frutto dell’esercizio spontaneo e normale dell’intelligenza. Quando collaboro nel lavoro dell’orto con i ragazzi della comunità contadina fra cui vivo, mi rendo conto che loro hanno raggiunto più contemplazione, più emergenza dalla realtà terrena di me. Me ne accorgo dall’ordine dei solchi, dalla distanza esatta e piena di armonia delle piantine di lattuga. Per loro il confronto con la terra è l’esercizio contemplativo, la maniera normale di modellare la loro intelligenza con normalità. Strappati a questa realtà, a questo esercizio, avranno sempre l’impressione di impazzire, si sentiranno immersi nel caos, nell’incapacità pratica di emergere. E questo lo ha capito profondamente Gesù. […]

Dal libro di Arturo Paoli "Sulle ali dell’aquila Riflessioni sulla contemplazione" (Morcelliana, 1979), pp. 19-20