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Incontro con due re cananei

tratto dal volume “Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo – Lettura narrativa e antropologica della genesi” di Andrè Wènin

I vv. 17-24 costituiscono un epilogo anormalmente lungo. Abram dialoga con due re usciti a incontrarlo al suo ritorno dopo la vittoria: il re di Sodoma (vv. 17.21-24) e quello di Salem (vv. 18-20). Il formato insolito di questa finale induce a ritenere che non sia priva di importanza, come anche la citazione di molte parole dei personaggi, che contrasta con il resto del racconto di questo capitolo. Contrariamente a un uso caratteristico dei racconti biblici, infatti, l’episodio non contiene alcuna parola in stile diretto. Sono riferiti solo fatti, senza un discorso o un dialogo, mentre, al contrario, l’epilogo è incentrato su parole citate. Nella finale di un racconto basato interamente sull’azione, ovviamente la cosa attira l’attenzione.

17 E uscì il re di Sodoma a incontrarlo, dopo il ritorno dalla sua vittoria su Chedorlaomer e i re che erano con lui, nella valle di Save è la valle del re.
18 Melkisedek, re di Salem, aveva portato pane e vino – era un sacerdote di ‘El ‘elyôn. 19 E lo benedisse e disse: «Benedetto è Abram per ‘El ‘elyôn, creatore di cieli e terra. 20 E benedetto è ‘El ‘elyôn che consegnò i tuoi oppressori nella tua mano». E gli diede la decima di tutto.
21 E il re di Sodoma disse ad Abram: «Da’ a me le persone, ma i beni prendi(-li) per te». 22 E Abram disse al re di Sodoma: «Alzo la mia mano verso YHWH ‘El ‘elyôn, creatore di cieli e terra: 23 no, da un filo fino a una cinghia di sandalo, no, non prenderò (nulla) di tutto ciò che è a te, e tu non potrai dire: “Io arricchii Abram”. 24 Nulla per me (dunque) tranne quello che mangiarono i servi e la parte degli uomini che sono andati con me, Aner, Escol e Mamre: loro prenderanno la loro parte».

In modo caratteristico, la scena che comincia con il re di Sodoma è interrotta dall’intervento inaspettato di un re finora sconosciuto, prima di riprendere in seguito. Questa costruzione «a sandwich» permette di abbozzare una scena unica nella quale prendono posto due dialoghi di Abram. Il fatto che i due re assistano insieme alla scena accentua il contrasto fra loro e, di riflesso, sottolinea la costanza dell’atteggiamento di Abram.

Quando il re di Sodoma viene incontro ad Abram, cresce nuovamente la suspense che l’esito della spedizione aveva fatto cadere: dopo la sua pietosa fuga raccontata al v. 10, che ci viene a fare Bera con colui che ha liberato i prigionieri della sua città e riporta il bottino del quale i re stranieri avevano fatto man bassa? La risposta a questa domanda si farà attendere. Infatti, è presente un altro re, sbucato dal nulla: Melchisedek. È presentato sotto una doppia veste. L’accento cade anzitutto sulla sua regalità: malkì-sedeq melek salem, «re di giustizia, re di pienezza» – sarebbe forse lui il «re» di cui la valle di Save porta il nome (v. 17b)? Basta questa presentazione a contrapporlo ai nove re bellicosi dell’inizio dell’episodio. Del resto, egli non fa parte di nessuno dei due gruppi coalizzati per la guerra. Ciò che fa, portare pane e vino, mostra che non è quello il suo spirito. La scelta del verbo che riferisce la sua prima azione, «fare uscire», lo contrappone subito anche al re di Sodoma che semplicemente «esce»: mentre quest’ultimo arriva a mani vuote, il primo ha portato come omaggio il cibo e la bevanda tipica della festa.

Forse la sua differenza rispetto ai re deriva dall’altra sua veste: quella di «sacerdote di ‘El ‘elyôn». Mentre il nome ‘el può designare una qualsiasi divinità, il qualificativo di origine sconosciuta che precisa di quale dio Melchisedek è sacerdote significa probabilmente «altissimo». La formulazione della sua benedizione permette di precisare: in essa presenta la divinità di cui è sacerdote come «il creatore di cieli e terra»; il termine usato significa al tempo stesso «che possiede» e «che crea». In breve, è il signore dell’universo, il che giustifica il titolo che gli viene attribuito. Ma non è la sua unica caratteristica: ‘El ‘elyôn è anche una divinità in grado di sottomettere i nemici e di accordare la vittoria.

È quindi in nome di questo Altissimo che, oltre ai viveri che porta, Melchisedek benedice Abram. Questa benedizione getta un fascio di luce sui fatti appena accaduti. Infatti, qui il sacerdote di ‘El ‘elyôn non invoca la benedizione divina su coloro che sono presenti. La sua formulazione è quella di una constatazione espressa mediante un doppio «benedetto» (baruk ). Pronunciando queste parole, riconosce e svela una realtà nascosta che propone al riconoscimento di tutti, di Abram per primo. Dichiarando benedetto da «’El ‘elyôn creatore di cieli e terra» colui che ritorna con i prigionieri, afferma che Abram è stato portatore della vita di cui Dio è il solo padrone, per coloro che riconduce a casa dopo averli liberati. Volgendosi poi verso Dio stesso per benedirlo, il re di Salem conferma e precisa ciò che ha appena detto, riconoscendo in ‘El ‘elyôn la fonte della benedizione , che è consistita nel sottomettere i nemici al potere di Abram.

La benedizione di Melchisedek è seguita da una brevissima annotazione: «Gli diede la decima di tutto». La mancanza di precisione riguardo al soggetto suscita una domanda: chi dà la decima all’altro, Abram o Melchisedek? In genere, i commentatori non esitano molto: poiché il secondo è sacerdote, è logico che sia il primo a sdebitarsi della decima verso di lui. E poiché Abram ha a disposizione solo ciò che riporta dalla spedizione, la decima deve corrispondere a un decimo di questo bottino. Ma, alla luce di ciò che ha appena dichiarato il re di Salem, questo bottino appare come il segno concreto della benedizione di cui Abram è al tempo stesso beneficiario e portatore. Perciò, quando ne dà la decima al sacerdote, Abram condivide per così dire la benedizione con colui che ha riconosciuto in lui il benedetto di Dio, facendosi così egli stesso agente della realizzazione della parola di YHWH: «Benedirò coloro che ti benediranno» (12,3). Entra anche in uno scambio con colui che ha portato pane e vino, il che conferma che nell’incontro con questo «re di pace» è presente una dinamica di alleanza.

Quest’ultima osservazione trova una conferma nel modo in cui Abram formulerà poco dopo il suo giuramento al re di Sodoma. Dicendo: «Giuro davanti a YHWH ‘El ‘elyôn, creatore di cieli e terra» (v. 22a), mostra di aver riconosciuto, nella divinità suprema invocata da Melchisedek, il suo proprio Dio, YHWH. Ora, venerare lo stesso Dio è un segno di profondo accordo. Resta da sapere per quale motivo Abram assimila così il suo Dio e quello del re di Salem. Il motivo mi sembra abbastanza chiaro. Infatti, che cosa afferma quest’ultimo riguardo a ‘El ‘elyôn se non che è il signore del mondo, che benedice e rende vittoriosi? Non è forse anche ciò che Abram ha sperimentato con YHWH, il quale, fin dai primi istanti, si è rivelato a lui come un Dio che benedice per far trionfare la vita minacciata, e, questo, per tutti i clan della terra (12,1-3)?

Veniamo ora al re di Sodoma, a proposito del quale sappiamo dal v. 2 che si chiama Bera’, «nel male» o «per malizia». È perché ha visto Abram rimettere a Melchisedek la decima di tutto, o era venuto per questo? In ogni caso, propone ad Abram un accordo riguardo a ciò che ha riportato dalla spedizione contro i re. Dice: «Dammi le persone e i beni prendi(-li) per te» (v. 21). Con il suo primo verbo all’imperativo, il re ingiunge al patriarca di ripetere a suo vantaggio il gesto che ha appena fatto a favore dell’altro re («gli diede»). Ma questo «dare» non si inscrive più in uno scambio caratterizzato dalla gratuità come con Melchisedek. Là, una parola di benedizione è incorniciata da due doni spontanei – «fece uscire pane e vino» e «diede la decima di tutto». Qui, al contrario, l’ordine «Dammi!» esprime chiaramente la volontà di prendere chiarita dal secondo ordine, «prendi», mostrando che si tratta per ognuno di compiere un gesto di presa di possesso in risposta a quello dell’altro. Mentre lo scambio fra il re di Salem e Abram procede dal riconoscimento reciproco, l’accordo proposto dal re di Sodoma è ispirato da una logica di cupidigia che era già quella dei re mesopotamici quando, approfittando della rivolta dei loro vassalli, si sono impadroniti non solo dei beni ma anche delle persone. Questo mostra che il re di Sodoma si merita il suo nome. E conferma anche il giudizio divino secondo il quale gli abitanti di quella città sono «malvagi e peccatori, molto» (13,13).

Abram dà alla sua risposta un tono solenne. Prende Dio a testimone di un giuramento con il quale rifiuta senza appello la proposta che gli viene fatta: non prenderà nulla di ciò che appartiene a questo re, neppure un filo o un legaccio di sandalo. Probabilmente queste parole, che indicano le cose prive di valore che Abram non vuole tenere per sé, non sono scelte a caso. Al di là dei beni, fossero pure trascurabili, Abram rifiuta categoricamente ogni sorta di legami che lo collegherebbero con questo re, e anche la soddisfazione che Bera potrebbe trarre dall’idea di averlo arricchito e di averlo trascinato nel suo gioco del «prendere». Se ha condiviso spontaneamente la decima (radice ‘sr) con un re giusto e pacifico, Abram non vuole assolutamente dover nulla della sua ricchezza (radice ‘sr) a un uomo guidato dalla cupidigia.

Con questo, però, Abram non ha ancora finito. Nel suo rifiuto della cupidi­già, vuole essere preciso e giusto. Per se stesso non prenderà nulla, in ogni caso nulla di più di quello che è già servito a rifocillare gli uomini della sua truppa. Ma vi sono anche Aner, Esco! e Mamre, riguardo ai quali qui apprendiamo che hanno seguito il loro alleato nella sua audace spedizione. Egli non intende privarli della parte che meritano. Hanno condiviso i rischi e le fatiche del raid. Hanno quindi legittimamente il diritto di rivendicare il frutto della vittoria alla quale hanno contribuito.

Non si può spingersi un po’ oltre e pensare che Abram si mostra giusto anche verso il suo regale interlocutore? Infatti, non solo gli dà l’esempio della spogliazione, del distacco, ma gli dice anche le cose in modo da suggerirgli la possibilità di un atteggiamento diverso. Cominciando con l’invocare il Dio della benedizione e precisando, facendo eco a Melchisedek, che è lui a creare e possedere tutte le cose, invita il re di Sodoma a riconoscere che tutto appartiene al Creatore, per cui non deve essere accaparrato e neppure rivendicato da nessuno. Se così è, le parole di Abram spingono discretamente il re a rinunciare al possesso e alla sua logica per avvicinarsi alla benedizione. Ma il discorso rimarrà senza risposta.

A questo punto, si percepisce meglio l’opposizione radicale sottolineata dalla disposizione narrativa dei due incontri: con Melchisedek, la benedizione apre due uomini l’uno all’altro e permette lo scambio di doni; con Bera, che sembra non aver capito nulla dalla scena di cui è stato appena testimone, ogni benedizione è neutralizzata dalla cupidigia e dal possesso, non essendo possibile alcuna intesa fra coloro che sono di fronte. Ma entrando nel gioco del primo re e rifiutando di giocare quello del secondo, Abram dimostra di essere giusto davanti al Dio, il cui nome è evocato due volte, e davanti agli uomini che assistono alla scena. In queste circostanze inedite, egli rinnova la scelta della vita condivisa grazie alla benedizione e del rifiuto della cupidigia che lo separerebbe dal Dio creatore di ogni vita. E questo, pienamente in linea con ciò che YHWH gli ha chiesto proprio all’inizio dell’avventura (12,1-3).

Conclusione      

Il nuovo inizio di Abram dopo il suo ritorno a Betel in seguito alla sua cocente esperienza in Egitto (13,1-5) sembra molto migliore rispetto al progetto che YHWH coltiva su di lui. Il patriarca avrebbe tratto la lezione dal suo fallimento? Volgendo le spalle alla cupidigia, lascia andare Lot per evitare un conflitto deleterio, rinunciando così a un possibile discendente. Rifiutando di servirsi per primo, gli lascia anche la scelta della direzione nella quale condurre il suo gruppo. E la fine dell’episodio che segue mostra che blocca subito il tentativo del re di Sodoma di trascinarlo nel gioco di presa di controllo e di possesso che guidava già i re bellicosi capeggiati da Chedorlaomer.

Ciò detto, anche se quest’ultimo episodio sembra scostarsi per il tema e per il tono dalla trama generale della storia di Abram, si inserisce comunque in essa senza rottura di continuità. La distanza che la guerra dei re costringe a prendere, rispetto all’avventura individuale dell’eletto, allarga l’orizzonte del racconto e mostra il contesto nel quale è collocato come un mondo «reale», caratterizzato da violenza, guerre, rapacità dei potenti; un mondo in cui si incontrano anche persone buone e nel quale le alleanze sono possibili. È in questo mondo che vive Abram, non solo nel quadro ristretto dei familiari. È lì che è portatore di una benedizione destinata a tutti i clan, e in questi episodi ne incontra vari rappresentanti: cananei, perizziti, abitanti di Sodoma e dei dintorni, re locali e re di altri paesi.

In questo senso, i due capitoli costituiscono un richiamo della vocazione di Abram e delle sue regole del gioco: la benedizione può diffondersi solo se Abram adotta un comportamento adeguato e se qualcuno è disposto a riconoscere in lui un portatore di vita. Mentre il suo comportamento nei riguardi di Lot dimostra che è in grado di soddisfare la prima condizione, l’incontro con Melchisedek rivela che degli stranieri sono disposti a entrare nel gioco. Questo conferma la scelta che Abram ha dovuto fare quando ha accettato il piano di YHWH: rinunciare alla cupidigia, diventare un uomo di condivisione, di scambio, di alleanza, come lo è anche con Mamre e i suoi fratelli.

Infine, questi episodi vengono utilmente a completare il ritratto di Abram, che qui appare pieno di iniziativa, capace di coraggio e di audacia, risoluto nelle sue scelte e solidale con le persone a lui vicine: ovviamente Lot, ma anche i suoi alleati cananei. Prendendo l’iniziativa della separazione, poi volando in soccorso del nipote, mostra quanto abbia a cuore una vera fraternità. Ma questo non impedisce di chiedersi se, prendendo dei rischi per «suo fratello», Abram non abbia sempre in mente l ‘idea che la discendenza promessa potrebbe passare  attraverso Lot.