Vai all'archivio : •

Diario – 15 giugno 1941

da “Diario 1941-1943” di Etty Hillesum

Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno di aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione di «sfasciarmi» sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all’improvviso mi ha permesso di andare avanti, con maggior forza. Ho provato a guardare in faccia il «dolore» dell’umanità, coraggiosamente e onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa, molti interrogativi disperati hanno trovato risposta, l’assurdità completa ha ceduto il posto a un po’ più d’ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più.

Ho scritto che mi sono confrontata col «dolore dell’Umanità» (questi paroloni mi fanno ancora paura) ma non è del tutto esatto.            Mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo.               L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con «Umanità», «Storia Universale» e «Dolore» s’è interrotto un’altra volta. Così dev’essere, del resto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia; dobbiamo poter recuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi – scrupolosamente e coscienziosamente – la nostra vita limitata, tre quei momenti di contatto quasi «impersonale» tutta l’umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi. Forse, in futuro, saprò esprimermi meglio, o farò queste cose a un personaggio di una novella o di un romanzo, ma sarà solo fra molto tempo.